Letteratura

Appunti per (evitare) un naufragio

8 Luglio 2017

E naufragar m’è dolce in questo mare

G. Leopardi

 

In questi tempi in cui in Europa si discute se chiudere o meno i propri porti all’arrivo di migranti, cercando di coniare fantasiose distinzioni tra migranti “di guerra” e migranti “economici” sarebbe opportuno leggere Appunti per un naufragio di Davide Enia, edito da Sellerio.

Ci sono tanti naufragi qui dentro” fa dire l’autore a uno dei suoi personaggi, lo zio Beppe. Ed è vero, Enia parte dal racconto dei suoi viaggi a Lampedusa – dove è testimone diretto degli sbarchi, raccoglie le testimonianze dei superstiti e dei soccorritori dei vari naufragi che si sono succeduti nel canale di Sicilia – per allargare il concetto di naufragio, estenderlo a noi stessi.

La narrativa si nutre spesso di metafore marine – anime alla deriva, abisso dell’umanità, ecc. – ma in questo caso è il libro stesso a diventare mare e leggendo il testo si ha l’impressione di essere in balia delle vicende di coloro che animano le pagine. Le ondate di disperazione dei migranti che cercano i propri cari dispersi si alternano ai momenti in cui si manifesta da parte dei personaggi – strettamente biografici –  l’incapacità di gestire i propri sentimenti adulti nei confronti di un fratello malato, la rabbia bambina per una partita di pallone persa o la consapevole disperazione per un amico morto. In questo alternarsi di registri – cronachistico, intimo, aneddotico – risiede la ricchezza di questo scritto che disvela al lettore la sua vera natura, un quaderno di appunti per evitare il naufragio dell’umanità, dell’essenza stessa dell’essere umano. Suggerisce di ritrovare la capacità a superare quei primi dieci secondi in cui Paola e Melo, i ragazzi che ospitano Enia nei suoi soggiorni a Lampedusa, istintivamente chiudono le finestre alla vista dei migranti che sbarcano sugli scogli davanti a casa loro. Per poi uscire subito dopo per recuperarli e offrire loro aiuto e cibo. Mettere da parte le proprie convinzioni ideologiche perché come racconta un sommozzatore “in mare ogni vita è sacra. Se qualcuno ha bisogno di aiuto noi lo salviamo (…) è la legge del mare”.

Al tempo stesso, però, tra gli appunti si capisce che le persone che abitano gli approdi hanno bisogno di attenzioni, non possono essere lasciate sole a sobbarcarsi il peso della fatica e del dolore a cui la migrazione, così come la vita, ci sottopone. In un passaggio appare comprensibile perché la sindaco di Lampedusa abbia perso le ultime elezioni – “l’isola è frantumata (…) le persone parlano sempre meno (…) constatando come tutta l’attenzione sia stata focalizzata su chi arrivava dal mare, mentre delle difficoltà quotidiane (…) sembra davvero non importare a nessuno” – nonostante quello che succede a Lampedusa sia diventato di dominio internazionale grazie a lei.

Chiuso il libro, il lettore avrà l’impressione che la condizione di naufrago possa presentarsi a ciascuno in qualsiasi momento, inaspettatamente, disvelando le proprie fragilità di fronte ai marosi della vita.

Come i barconi che attraversano il Canale di Sicilia. Come il 3 ottobre 2013.

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