Letteratura

Anniversari. Il 31 marzo 1996 ci lasciava Dario Bellezza

1 Aprile 2024

Dario Bellezza (5 settembre1944- 31marzo 1996). In memoriam

Leggevo di Bellezza negli anni ’70 i versi di “Invettive e licenze” e il “romanzo”  “Lettere da Sodoma” e “Morte segreta” (premio Viareggio 1976) dal quale ero partito.  Furono gli ultimi libri di poesia (unitamente all’antologia di Mengaldo nei Meridiani) che riuscii a leggere non appena uscito dalle infelicità giovanili, prima di diventare definitivamente adulto o semplicemente un lettore di prose incapace di leggere versi avendone smarrito il codice di accesso. Giovanissimo, dalla provincia più remota ero entrato in corrispondenza epistolare con lui non ricordo più come. So che non mi corrispose più quando, per somma improntitudine e sincerità, osai scrivergli ciò che pensavo di “Lettere da Sodoma” e “Invettive e licenze”. Prose scucite e versi senza slancio. Lui amava molto Anna Maria Ortese e me ne scriveva, io, avendoci torto, pochissimo, ma stavo leggendo a tappeto Brancati e cercavo me stesso nella città natale dove ero tornato dopo lungo girovagare in quei non-luoghi che sono i collegi. Brancati come Flaubert erano scrittori che non avevano mai scritto un verso, perché, evidentemente, si nasce prosatori come si nasce poeti: per vocazione e destino. Io gli dicevo che tranne i sommi, Baudelaire, Montale, Gozzano, Pascoli, non capivo i poeti e preferivo la prosa; lui mi rispondeva che “La prosa è la pulitura del verso”. Non ho mai capito cosa volesse dire! Allora abitava in una stradina dalle parti di Ponte Sisto. Mai osai andare a fargli visita nei miei frequenti passaggi a Roma; avrei dovuto confessargli che ero lì per oceanici e avvilenti concorsi pubblici al Palazzetto dello Sport o al Palazzo dei Congressi. Ma avevo vergogna ed ero decisamente eterosessuale per dirla tutta, o forse avevo paura di finire nel gorgo della letteratura, alla quale preferii il catasto e la “prosa del mondo” come avevo letto proprio in quei giorni nell’Estetica di Hegel e appuntatone il famoso passo: <<Questa è la prosa del mondo quale appare alla propria e all’altrui coscienza, un mondo fatto di finitezza e di mutamenti, inviluppato nel relativo, oppresso dalla necessità, alla quale il singolo non è in grado di sottrarsi>>.

Ma “Morte segreta” resta un bel libro. Non più riaperto. E di cui ricordo dei versi a memoria che quando li lessi mi parvero belli…

Questo nel dolore è compimento felice.
Chi ama la vita lo conservi e bruci,
ma resti impassibile, di marmo
a contemplare la sventura mia
e il disinganno. Ché solo morte
esiste e a lei m’affido, tranquillo
negatore terrestre delle Stelle.

P.S. Riporto anche un mio apoftegma rugoso vergato in qualche  molle quaderno giovanile: <<I poeti sono dei violenti che non avendo a disposizione un esercito, si impadroniscono del mondo chiudendolo in un verso>>.

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