Letteratura

Ammutolite e oscurate

22 Marzo 2022

Quello a cui Daniela Brogi (docente di Letteratura Contemporanea presso l’Università per Stranieri di Siena), allude nel saggio einaudiano Lo spazio delle donne, può risultare risaputo e scontato. Che la cultura femminile sia stata per millenni assente dalla considerazione e dal riconoscimento pubblico, che la tradizione patriarcale e monologica abbia “oscurato, silenziato, internato” il lavoro materiale e creativo dell’altra metà del cielo, è un concetto acquisito e assodato. Le donne sono state addestrate a non avere talento, ad accettarsi supinamente in ruoli definiti dall’universo di pensiero e di pratica maschile. Continuare a ribadire tale indiscutibile affermazione potrebbe risultare addirittura controproducente, nella sua monotona e lamentosa ripetitività. Brogi sceglie quindi una tattica operativa diversa, più intelligentemente proficua, proponendo un’indagine sulla produzione culturale femminile attraverso una prospettiva meno consueta, analizzata attraverso il termine chiave di “spazio”, inteso come campo di espressione e verifica delle identità. Spazio occupato dalla fisicità delle donne, dal loro operare concreto e quotidiano, dalla loro narrativa, soprattutto per ciò che riguarda gli ultimi due secoli. Prevalentemente rinchiuse in ambienti limitati e separati dal mondo esterno – salottini, cucine, camere da letto, orti, collegi, monasteri –, sono rimaste bloccate in complessi di insicurezza e sfiducia.

 

Dalla stanza tutta per sé reclamata da Virginia Woolf al “pezzetto di giardino” conquistato da Sibilla Aleramo, dallo studio reclamato da Alice Munro al tinello di Grazia Deledda, ecco che “la domanda di spazio, come dispositivo fisico e simbolico di un riconoscimento sociale” indica l’esigenza di possedere un luogo proprio, dove potersi riconoscere in quanto soggetti liberi dal dominio esercitato sui loro corpi. Gli spazi destinati alle donne hanno funzionato per migliaia di anni come “cifra di un destino imposto”, che le ha costrette a vivere in “recinti di minorità”, fuori dai campi professionali pubblici. Cosa fare, quindi, e come reagire per recuperare la visibilità e l’identificazione sottratte al mondo femminile, per farne emergere capacità e ingegni inabissati? Daniela Brogi propone di cambiare linguaggi e prospettive, sfruttando qualsiasi interstizio che permetta forme diverse di espressione, mappando tutte le occasioni in cui si professi cultura e si elaborino strategie di intervento politico, occupando ambiti istituzionali trascurati, riscoprendo la sapienza e il coraggio di autrici dimenticate, utilizzando attivamente ogni “fuori campo” alternativo, multietnico, extra-generazionale.

Si tratta, in fondo, di trovare il coraggio di “dispatriarcarsi”, e di assumere uno sguardo su se stesse autonomo da quello maschile (quante letterate e artiste si sono mimetizzate dietro a uno pseudonimo, o al cognome del marito…), con la coscienza di essere brave senza doversene vergognare. Si deve rileggere la storia delle donne sia relativamente allo spazio che non hanno avuto, sia a quello che hanno affettivamente avuto, ma che “è stato reso invisibile, irrilevante, dimenticabile, o persino caricaturale”. Eccole, allora, le tante eccezionali scrittrici che Brogi elenca, invitando a rileggerle tutte, riguadagnandone la complessità attraverso le competenze e i codici necessari, forniti soprattutto dalle lenti dell’ottica femminista. Tra le italiane, per non limitarsi alle conclamate Morante e Ginzburg, si citano Serao, Negri, Percoto, Banti, Masino, Campo, Guiducci, Livi, Romano, d’Eramo, Passerini… Riflettendo sulla scrittura e la creatività delle donne, Daniela Brogi individua le problematiche che hanno reso difficile l’emergere delle loro potenzialità. Il tempo che esse dedicano a se stesse è da sempre vissuto come strappato ad altro, a urgenze familiari e domestiche più pressanti, e quindi vissuto con sensi di colpa, se non addirittura come un tradimento. Lo stesso luogo delimitato in cui possono lavorare artisticamente nasce da una situazione artificiale, perché costruito apposta, e in seguito a una scelta personale volontaria: “Scrivere significa collocarsi in uno spazio di autorevolezza e credibilità, anche narrativa, dove non era affatto scontato o naturale trovarsi”.

Proprio a causa “del silenziamento, oscuramento, inabissamento, estirpazione e perfino istupidimento delle donne praticato per secoli dalla cultura patriarcale”, la produzione artistica femminile non sempre è riuscita a raggiungere i livelli linguistici, espressivi e contenutistici richiesti dai canoni di valore letterario riconosciuto, e ha occupato un ruolo marginale in termini di merito; parlare di memorie autobiografiche, amori delusi, tormentosi rapporti familiari, disagio del corpo, ha troppo spesso relegato tali argomenti in ranghi estranei alla rilevanza formale, svalutandoli in modo pregiudiziale. Le donne hanno così finito per interiorizzare come debolezza strutturale e incapacità personale una reale condizione di svantaggio e di minorità sistemica, derivata da radicate e ininterrotte ingiustizie sociali, da asimmetrie legali, politiche, ideologiche.

Daniela Brogi termina la sua riflessione sull’autorevolezza e il prestigio negati alle donne auspicando che possano essere riconosciuti e riconquistati, nella nostra contemporaneità abitata da tante pluralità differenti, a cui è più che mai necessaria una cultura democratica del rispetto, dell’inclusione e della considerazione delle voci femminili.

 

DANIELA BROGI, LO SPAZIO DELLE DONNE – EINAUDI, TORINO 2022, p. 128

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