Letteratura

A proposito di racconti: tre raccolte da recuperare

12 Ottobre 2016

Negli ultimi tre mesi ho letto anche tre raccolte di racconti. Non si tratta di proposte editoriali recentissime, ma non importa. Ho sempre creduto che non c’è scadenza per i buoni libri e che c’è un tempo per ogni avventura libraria. Perciò, eccomi a condividere con voi qualche osservazione in merito.

  • Il principio del dolore, di Adam Haslett (Einaudi, traduzione di Giovanna Granato)

Ragazzini che sognano il futuro prossimo, donne dimenticate, uomini infelici e poco spazio per ridere. Haslett compone i racconti de Il principio del dolore, raccolta pubblicata da Einaudi qualche anno fa con uno stile carveriano (periodi brevi, molti punti, dialoghi incalzanti, pochi aggettivi e parole precise). Una raccolta, a tratti angosciante, rappresentazione di un’esistenza prismatica, feroce. Haslett prende il lettore per la gola, lo tiene sospeso, lo trascina lungo progressioni emotive e poi lo lascia andare verso un non finale. Tra ironia della sorte e disincanto, si svela un punto di vista che piacerebbe ad Ellis e che ha, però, il sapore del già letto.

  • Troppa importanza all’amore, di Valeria Parrella (Einaudi)

Forse non era amore. Bisognava dirsi questo. Che era sesso, perché avevano entrambi bisogno di un corpo nuovo di cui fosse possibile anche fidarsi. E allora avevano condito quel sesso con tutto il romanticismo di cui erano capaci, ma no: non era amore perché non era disposto a sacrificare nulla sul suo altare (…)”. Ho riletto il racconto che dà il titolo alla raccolta tre volte. La prima volta inconsapevolmente, come si legge qualcosa che hai davanti, che segui attraverso le frasi ma non sai dove ti condurrà. La seconda volta con consapevolezza, certa di avere tra le mani un racconto sorprendente per bellezza compositiva. La terza volta con ancora più consapevolezza, per riflettere sui passaggi, per capire come è possibile che, mentre l’occhio scivola veloce tra un periodo e l’altro, una parte di te vorrebbe rallentare per godere di ogni parola. Penso basti questo a comunicare la cifra di un coinvolgimento che solo Valeria Parrella riesce a scatenare. Ogni volta la scelgo per la sua capacità di raccontare, di incantare, di accompagnare, di sdrammatizzare, di intrattenere. La scrittura della Parrella risveglia una sensazione che ha molto a che fare con qualcosa che provavo da bambina, quando non volevo dormire e mi facevo leggere fiabe e favole a volontà. È fascinazione, è padronanza estrema della parola scritta, è talento. È Valeria Parrella.

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  • I mondi reali, di Abelardo Castillo (Del Vecchio editore, traduzione di Elisa Montanelli)

Non dico che ne I mondi reali, la raccolta dei racconti di Abelardo Castillo, scrittore, saggista e direttore di riviste culturali a Buenos Aires, alle quali collaborava anche Cortazar, i racconti siano tutti belli. Ma una cosa devo proprio precisarla: nella raccolta ci sono tre, quattro racconti sublimi. Di quei racconti che mentre li leggi devi prendere la matita e sottolineare i periodi per imprimere la gioia di una lettura emozionante. Prendiamo Il tempo di Milena, ad esempio (“Non la vidi più fino a quindici anni dopo. E anche questo è facile a scriversi. La cosa migliore, per ora, è dire che in quegli anni i grandi amori non duravano molto e anche il nostro non fu un’eccezione. Ci difendevamo dal tempo. Nessuno voleva che la donna o l’uomo della sua vita invecchiasse, e questo, suppongo, tendeva ad accorciare le passioni. Era preferibile ricordare: il ricordo, come la cecità, lascia i volti intatti. La casa dei cani venne demolita. Gli hippy si trasformarono in farmacisti o depressi. I Beatles si sciolsero. In Bolivia uccisero il Che. Io compii quarant’anni”): è un racconto sentimentale ma non sdolcinato, un racconto dove il tempo viene declinato tra passato, presente e immaginario, parallela temporale a tutti gli effetti. E tu ti perdi in questo quadro decadente che racconta di una ragazza luminosa e sfuggente negli anni Sessanta in Argentina e di un ragazzo che cerca di afferrarne in qualche modo l’essenza, con intorno l’elettricità di un’epoca irripetibile e di una città (Buenos Aires), stravagante e fiabesca. Castillo padroneggia una lingua sinuosa e poetica, crea un’alchimia verbale per niente ovvia. E questo vale anche per gli altri racconti: nessuno è banale o noioso, sono tutti una scoperta, una festa per gli amanti della letteratura e della narrativa sudamericana. Se volete provare qualcosa di nuovo ma anche di esemplare leggete Castillo.

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