Letteratura
Alessandro Milan: “la mia vita a Radio24”
Seguo Alessandro Milan da molti anni, chi ascolta Radio24 non può non conoscerlo, mi ha tenuto compagnia per molti anni durante i miei numerosi spostamenti in auto, fuori regione, la mattina alle 6.30, e quando non ero in macchina cercavo di ascoltarlo a casa o in ufficio. Impagabile la sua rassegna stampa e il seguito in compagnia di Oscar Giannino. Giornalista, scrittore, conduttore televisivo ma soprattutto radiofonico, la radio, il suo grande amore, da sempre la sua grande passione. Un po’ è anche la mia, come ascoltatore sia chiaro, la preferisco di gran lunga alla TV, (eventi sportivi e film a parte). È stato un piacere conoscerlo e farmi raccontare la sua carriera che inizia con la nascita di Radio24 nel 1999, dove tutt’ora conduce trasmissioni di successo.
Laureato in scienze politiche all’Università degli Studi di Milano, conduttore radiofonico, conduttore televisivo e scrittore. Le faccio la stessa domanda che ho fatto a Vittorio Feltri pochi giorni fa: quando ha capito che voleva fare il giornalista?
A 13-14 anni. A quell’età vedevo le partite di calcio a casa e nella mia mente facevo la radio cronaca, naturalmente a voce bassa per evitare le ire di mio padre e dei miei fratelli. L’obbiettivo era chiaro: volevo fare il radiocronista delle partite di calcio, che poi ho fatto per un breve periodo. Poi a 17-18 anni, tra la fine del liceo e l’inizio dell’università, ho iniziato quotidianamente a leggere il Corriere della Sera, del quale mio padre era un affezionato lettore, la soddisfazione era tenere in mano il giornale e sfogliarlo con una grande curiosità.
Arriva a Radio24 nel 1999 primo anno di trasmissioni dell’emittente, ci racconta la sua prima esperienza?
Sono a Radio24 fin dagli inizi, la radio fu accesa il 4 ottobre del 1999 e già un paio di mesi prima lavoravo nella redazione di Giancarlo Santalmassi, con una mansione che in TV verrebbe definita “autore”, ero assistente alla produzione, cioè colui che sta dietro le quinte, non ero al microfono e parallelamente facevo le radiocronache per qualche radio locale, mantenevo e coltivavo così la mia passione, insieme al lavoro a Radio24, stando “dietro” al microfono. -intanto in video appare la lunga coda del gatto di Alessandro Milan– Per me è stata un’emozione indescrivibile perché ho visto letteralmente nascere la radio, ero presente alla prima edizione del giornale radio, alla quale seguiva la prima trasmissione di Giancarlo Santalmassi. Un bellissimo ricordo, che rimarrà indelebile dentro di me.
Nei suoi anni a Radio24 ha condotto numerose trasmissioni da Linea 24 a Reporter 24, poi per molti anni 24mattino, la rassegna stampa che ha tenuto compagnia a molti ascoltatori, me compreso, in viaggio e a casa al risveglio. Storiche le rubriche “Mani sul volante” e “La carta costa”. Un successo la coppia Alessandro Milan/Oscar Giannino. Ha nostalgia di quelle levatacce?
Delle levatacce direi di no. Mi svegliavo alle 5 per essere fuori di casa alle 5.25 circa, con gli imprevisti fantozziani che capitavano in quei 25 minuti: la stringa di una scarpa slacciata, una dimenticanza… Ma volevo essere in radio alle 5.40, per poter leggere i giornali prima di andare in onda alle 6.30. Ho nostalgia di quello che ho provato per tanti anni, andavo in radio generalmente in motorino, spesso con il freddo e la pioggia, che se vogliamo è la parte più fastidiosa, però vedere Milano a quell’ora semi deserta, frequentata da transessuali, ubriachi di fine notte, i primi autisti, qualche tassista… Ecco questo lato di Milano era affascinante. L’emozione all’arrivo in radio era quella di prendere in mano il plico dei giornali, mi sembrava di sapere quello che accadeva prima di ogni altro, il privilegio di padroneggiare prima di altri gli editoriali e le notizie, l’illusione che il mondo passasse prima da me, ma solo per una questione di orario, questo mi manca molto, la sveglia direi di no. Mi fa piacere che molti ricordino ancora la rassegna stampa, per qualcuno può sembrare noiosa, ma invece è una cosa complicata, ci si trova davanti a 20 giornali, ognuno di 60 pagine, un totale di 1.200 pagine e in un tempo breve devi scegliere, fare una selezione e creare una sorta di percorso che abbia una sua logica. Una rassegna stampa raffazzonata, fatta senza leggere i giornali, osservando velocemente solo i titoli è facilmente riconoscibile. Il mio percorso prevedeva anche alcune rubriche curiose, nate dallo stimolo degli ascoltatori, “mani sul volante” nacque quando alcuni ascoltatori mi dissero di smetterla di dare certe notizie, altrimenti avrebbero preso a pugni il volante della propria auto e io dicevo di non spaccare il volante, perché non potevo risarcirlo. “La carta costa” è nata quando in redazione si parlava di articoli un po’ leggeri, riempitivi, da lì la mia riflessione sul costo della carta, che mi portò ogni giorno a scegliere un articolo da inserire nella citata rubrica. Ci sono stati colleghi che si sono offesi, altri che si sono compiaciuti, presa con la giusta dose di ironia è diventata poi una cosa divertente. A volte ero io stesso la vittima, quando scrivevo su Libero o su La Verità, oggi scrivo sul Quotidiano Nazionale.
Arrivano poi i Funamboli con Veronica Gentili e Leonardo Manera, poi il recente Uno, Nessuno, Cento Milan, tutte trasmissioni di successo. Penso non sia affatto facile ripetersi, oltre alle capacità di chi la affianca e alla qualità degli ospiti, ritengo sia vincente la varietà dei temi trattati e la sua conduzione sempre pacata, mai aggressiva, ma sempre ferma su posizioni chiare, con la giusta dose di ironia, che ne pensa?
Da qualche anno c’è questa formula che si chiama infotainment, informazione con un po’ di intrattenimento, bisogna miscelare bene le due cose. Teniamo presente che Radio24 è prima di tutto una radio di informazione, qualche ascoltatore a volte mi accusa di essere diventato un comico, come Manera, (cosa che non considero affatto un insulto) ma resto un giornalista. La vita è già molto complicata, se si riesce a raccontare le notizie, condite, dove si può, con un po’ di leggerezza, di lettura ironica, trovo sia una cosa positiva, questo è un insegnamento che ho ricevuto da Leonardo Manera, che nel corso degli anni, pur essendo una persona molto seria e intelligente, con le sue posizioni precise, non ha mai disdegnato questo suo lato leggero, scherzoso, che poi è un po’ il segreto della vita. È importante avere chiarezza delle proprie posizioni e mantenerle, che siano condivise o meno, non essere mai aggressivi, rispettare il pubblico e i propri ospiti e mostrare apertura alle idee altrui. Oggi purtroppo è diffusa l’idea che se il conduttore ospita una persona per un’intervista, significa che il conduttore stesso la pensa come l’intervistato, questo non è giornalismo, il giornalismo è informazione, dare voce e spazio agli altri, anche con opinioni e idee diverse. Quindi fare questa miscela di informazione, però anche con leggerezza, andando poi in onda dalle 9 alle 11 del mattino, trovo sia opportuno.
Molti suoi colleghi, che hanno iniziato in radio, si sono poi spostati in TV. Lei è rimasto fedele al vecchio amore, nonostante le sue esperienze televisive.
Ho sempre voluto fare il giornalista e, potendo scegliere, il giornalista in radio: ci sono riuscito. Non amo la TV, prima di tutto bisogna essere in grado di farla, ci ho provato, l’ho fatta in passato a 7Gold per un anno, ho declinato la richiesta per un secondo anno, perché si finiva all’una di notte e con la levataccia del mattino diventava pesante. Poi gli eventi della mia vita mi hanno fatto dire basta definitivamente. Non credo di saper fare bene la TV. Oggi mi invitano in televisione abbastanza spesso, la cosa diventa poi un circolo, perché se ti invitano da una parte ti chiamano poi in un’altra e così via. Per evitare questa cosa ho deciso, oramai da un anno, di non andarci. Tornerei da Lilli Gruber per correttezza, perché prima di smettere andavo da lei, ma non andrei da un’altra parte. Quindi non mi piace farla e non mi sento nemmeno a mio agio a essere ospite, è un mezzo che non sento, non fa parte di me.
Dall’abbandono di 24Mattino arriva Telese poi Latella, Simone Spetia, ma ancora nessuno può vantare una continuità come la sua, Simone potrebbe essere in scia…
La sveglia alle 5 della mattina è dura, dissi a Simone all’inizio: “ci vediamo tra due anni”. I conduttori da lei citati sono tutti collaboratori esterni, Simone invece è una risorsa interna, cresciuto da molti anni qui in radio, secondo me finché resiste fisicamente alla levataccia può farcela. Lo spero, svegliarsi a quell’ora, con continuità, è una prova fisica, tutti noi abbiamo delle vite, dei figli, impegni, un minimo di socialità, anche semplicemente vedersi una partita di calcio, ecco tutto questo fa sì che a volte ti ritrovi a dormire 4-5 ore per notte.
Da dove nasce il rapporto con Leonardo Manera.
Leonardo mi scrisse anni fa su messanger di Facebook invitandomi a fare uno spettacolo a Zelig, nel quale si mischiavano l’informazione, cioè la mia parte che era proprio la rassegna stampa e la parte comica, che lui interpretava nei suoi personaggi. Fu poi un embrione diventato quello che ascoltiamo oggi in radio. Il rapporto nacque così, all’inizio avevo un po’ di ansia, mi sentivo impacciato sul palco, lui mi tranquillizzò. Poi ad un certo punto sparì, tre giorni prima della serata pensai che quindi non se ne sarebbe fatto più niente (pavido, pensai, meno male) gli scrissi e mi rispose di presentarmi allo Zelig alla data fissata, che saremmo andati in scena e così andò. Con grande piacere sono riuscito poi a coinvolgerlo all’interno della radio e adesso siamo praticamente una coppia di fatto.
Veniamo al Milan scrittore. In “Un giorno lo dirò al mondo” affronta il tema della pena di morte, sulla quale non ha mai nascosto la sua posizione contraria. La storia ripercorre la condanna a morte di Derek Rocco Barnabei, nello Stato della Virginia, 22 anni fa, dichiaratosi innocente. Qui si ripercorre anche la prima parte della sua carriera in radio. Quando ha deciso di scriverlo e perché dopo tanto tempo?
Dopo molto tempo perché questa storia era “troppo” dentro di me. All’epoca Santalmassi, una volta pronunciata la sentenza di morte per Barnabei, mi invitò a scrivere un libro sulla vicenda, fu una storia emotivamente troppo coinvolgente, piangemmo tutti, Santalmassi compreso. Una storia troppo intensa, lo è ancora per la verità. Quando due anni fa mi rivolsi a Mondadori per scrivere questo libro, provavo ancora tensione nel raccontarlo. Incontrai in quel periodo su Facebook il figlio di Barnabei e pensai fosse un segno del destino. Gli scrissi che avrei voluto raccontare la storia di suo padre, lui all’epoca dell’esecuzione aveva 11 anni e non vedeva suo padre da quando ne aveva solo 3, quindi non aveva un ricordo e un’esperienza diretta della vicenda, mi disse però che gli avrebbe fatto piacerebbe. Quello è stato il segnale per raccontare una storia che prima o poi avrei dovuto scrivere. A volte scrivere un libro è un po’ come chiudere un cassetto, questa è una storia che rimarrà dentro di me per sempre.
La scrittura per lei è stata anche “terapeutica” nell’affrontare il lutto di sua moglie, con il libro “Mi vivi dentro” e la fase di rinascita con “Due milioni di baci”. Come ha vissuto il tempo fra i due libri? Il secondo è stato una naturale evoluzione del processo che stava attraversando?
Sono libri che all’inizio non avrei voluto scrivere. Quando la mia agente letteraria, che poi era anche l’agente letteraria di Francesca, con molta delicatezza mi propose di scrivere il primo libro, risposi “non scriverò mai un libro che riguardi me e Francesca”. Poi invece l’ho scritto e inseguito è arrivato anche “Due milioni di baci”. Pensavo fosse un percorso da compiere, a volte il dolore “congela”, io invece ho avuto un atteggiamento diverso, ho cercato di attraversarlo, un po’ come nuotare in un fiume contro corrente. Scriverlo è stato molto terapeutico, mi ha aiutato a buttare fuori tutto quello che avevo dentro, è valso sicuramente più di mille sedute di psicoterapia. Il secondo libro è stato un tentativo di affermare la necessità di riappropriarsi della vita, di una mia vita, con la famiglia, con i miei figli, in sintesi il senso di una parola oramai abusata nell’uso che è “resilienza”, un termine a cui tengo molto, ho creato un’associazione in proposito Wondy sono io. Dopo aver scritto il secondo libro però ho detto basta, questa cosa oramai è chiusa, quello che dovevo dire, o scrivere, l’ho detto e scritto, porto avanti il ricordo di Francesca con l’Associazione, ma nulla di più.
Wondy sono io vuole farsi promotore di un messaggio bellissimo “trasformare le difficoltà della vita in opportunità” e lo fa anche attraverso un premio letterario. Quali sono i temi più toccati dagli scrittori che partecipano al bando, ha notato una costante o qualche cambiamento significativo negli anni?
La finale è imminente sarà il prossimo 2 maggio. All’inizio la cosa è stata interpretata in maniera sbagliata, l’aver scritto un libro sulla vicenda di Francesca, sul tumore, sulla malattia, ha identificato per molti l’iniziativa come “tematica”, nata solo per questi argomenti, che in ogni caso rappresentano un filone ancora importante. Storicamente in letteratura le storie legate alle difficoltà rappresentano un ampio settore. Nel corso degli anni però ci sono stati molti racconti legati alla Seconda Guerra mondiale, vinse la Postorino con “Le assaggiatrici” la storia di queste donne che dovevano assaggiare il cibo prima di Hitler, invece il premio popolare andò a Ritanna Armeni, con ““Una donna può tutto” la storia di una donna che si gettava sugli accampamenti nazisti con l’aereo, in Unione Sovietica. L’anno scorso ha vinto “Il treno dei bambini” di Viola Ardone, un’altra storia ambientata all’epoca della Seconda Guerra Mondiale. Quest’anno ci sono storie di malattia, c’è uno psichiatra il Prof. Milone che racconta la sua storia, c’è Simona Lo Iacono che ha raccontato la storia di Anna Maria Ciccone, laureata in matematica e diventata professoressa alla Normale di Pisa con molte difficoltà, in un ambiente sicuramente ostile alle donne. Il filone della malattia non è assolutamente preponderante, diciamo sempre che la parola “resilienza”, termine inserito nel Piano Nazionale, ci ha reso antipatici, ma noi non centriamo nulla con il Prpesidente Draghi. Resilienza in realtà è un atteggiamento vincente che si vede in tutti i campi.
Quali sono i nuovi progetti nel cassetto? Un nuovo libro? Nuove trasmissioni tv o radiofoniche?
Ci sarà un nuovo libro che uscirà per Mondadori all’inizio del prossimo anno, del quale ora posso dire poco, sarà un racconto di storie vere, legate a Milano, nel periodo della Seconda Guerra Mondiale.
Ogni tanto compare in trasmissione Mario Calabresi, un pezzo da 90 del giornalismo italiano.
Il rapporto con Mario è un rapporto di amicizia, anche qui nato per caso. Ci eravamo sentiti quando lui era ancora direttore di Repubblica e aveva presieduto la giuria del premio Wondy sono io, nella seconda edizione. Poco dopo l’uscita da Repubblica, uscì il suo libro, “La mattina dopo” e mi chiese di presentarlo da me in radio, ancora in via Monte Rosa a Milano. Venne in trasmissione a presentarlo, poi finita la trasmissione mi disse: “mia mamma abita qui vicino, visto che non sono più direttore, se ti fa piacere, qualche mattina vengo a trovarti, sto con te un’oretta, chiacchieriamo e poi vado a prendere un caffè da mia mamma”. Le cose sono andate veramente cosi, lui passava una volta la settimana, a volte anche due, mi chiedeva quali fossero i temi della giornata e stavamo insieme in trasmissione. Penso che anche lui abbia subito il fascino della radio, si trovava bene. Un giorno mi raccontò che su un isola greca un turista gli si avvicinò chiedendogli se Alessandro Milan glielo aveva poi offerto quel famoso caffè… Oppure venne chiamato da un ascoltatore in strada, dall’altra parte del marciapiede, con il nome di “comandante”, perché è così che lo chiamo in trasmissione quando ci viene a trovare. Penso che queste cose facciano piacere, tra noi è nato questo rapporto in estrema libertà, senza alcun vincolo, lo invito sempre, c’è solo da imparare da lui, dalla sua storia, come giornalista ed ex direttore de La Stampa e di Repubblica, siamo coetanei, è un rapporto che mi arricchisce, purtroppo viene quando può.
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