Letteratura

A casa Pound tra economia e letteratura

9 Febbraio 2016

1 . “Ah la mia vita è un romanzo!” spesso ci sorprendiamo  ad esclamare. Ma un momento: intendiamo dire forse che la nostra vita è come quella di Frédéric Moreau del romanzo “L’educazione sentimentale” di Flaubert che  da   “eroe inattivo” –  come lo definiva il suo autore –  non fa altro che andare a zonzo per Parigi, vedere gente, fare cose,  disfarle,  innamorarsi, disinnamorarsi  e alla fine, piatto piatto tomo tomo come ha vissuto dichiarare fallimento  ben ventisette  anni dopo,  e ricordare con un amico che, in effetti, loro due non avevano avuto di meglio nella vita se non  quei momenti in cui avevano  frequentato  i bordelli da giovani? O anche,   intendiamo dire  che il romanzo della nostra vita è  come l’ Ulysses  di Joyce il  cui  protagonista –  Leopold Bloom, un pubblicitario ebreo, homme moyen sensuel  – è ritratto in un solo giorno della sua vita, dalla levata allorché è colto seduto sulla tazza del water mentre in cucina sfrigolano dei rognoni, quindi  durante la sua passeggiata per le strade di  Dublino, dove incontra amici,   vede gente,  fa cose, va al bordello  – e nel frattempo  qualcuno nasce,  qualcun altro muore in città e la moglie ha le sue regolari ancorché  deliranti  mestruazioni?

No, quando noi esclamiamo “la mia vita è un romanzo” probabilmente vogliamo dire che noi non siamo degli “uomini medi sensuali” come Leopold Bloom, né degli héros inactif come Frédéric Moreau, intendiamo dire  piuttosto che noi siamo esseri  eccezionali, che a noi sono successe delle cose straordinarie:  colpi di scena a ogni snodo della nostra esistenza, amori  travolgenti, exploit sessuali, vincite milionarie, fallimenti clamorosi, risorgimenti repentini…  vogliamo dire insomma che la nostra vita è stata come quella di Barry Lyndon, di Tom Jones, di  Gil Blas, di Lucien de Rubempré, di Rastignac, ossia una vita “romanzesca”.

E dunque: cosa intendeva dire Ezra Pound quando scriveva  che «Joyce ha preso in sua mano l’arte dello scrivere dove  Flaubert  l’aveva lasciata»? Intendeva dire proprio questo:  che non di eroi  piumati e di vicende romanzesche si cura  il romanzo moderno ma proprio di uomini medi più o meno sensuali. Insomma, de nobis fabula narratur!

Scriveva  Ezra:

Messieurs  Bouvard e Pécuchet son le basi della democrazia; Bloom  anche lui la base della democrazia; egli è l’uomo della strada, l’uomo accanto, il pubblico, non il  nostro pubblico ma il pubblico di Mr.  Wells; e per Mr. Wells  è il pubblico di Hocking,  è l’homme  moyen sensuel; egli  é  inoltre Shakespeare, Ulisse, l’Ebreo Errante, il lettore del  Daily Mail, l’uomo che crede a ciò che legge nei giornali, Ognuno, e il « capro espiatorio…  πoλλά…πάθειν…καθά…θυμόν [molte cose soffrì  nel suo cuore ndr.]

Flaubert, avendo registrato le abitudini provinciali in Bovary e le abitudini di città in L’Éducation,  si accinse a completare la sua testimonianza sulla vita dell’Ottocento presentando ogni sorta di cose che l’uomo medio del periodo avrebbe avuto in testa; Joyce ha trovato un metodo più svelto di sommario e di analisi. Dopo che Bouvard e il suo amico si sono ritirati in campagna la narrativa incompiuta di Flaubert si trascina; in Ulysses ad ogni istante può succedere qualsiasi cosa; Bloom soffre kata thumon; « ogni poveraccio che va braccando il suo fegato e i suoi lumi »: egli è polumetis [sa molte cose, è multisciente,  ndr] e uno che accoglie tutto.

Ezra Pound intendeva suggerire   con queste parole che l’epos  nell’era  democratica e massificata  è impossibile  nelle configurazioni  dateci dalla letteratura  occidentale prima di Flaubert e Joyce; che nell’età  dell’uomo democratico l’epica  è possibile solo nella vita ordinaria, che il romanzesco –  l’Odissea – è lo sviluppo “narrativo” della vita  di ogni giorno, e  inizia non appena varcata la porta di casa Eccles Street, 7; che la “tragedia” del quotidiano è “nel” quotidiano,  si svolge lungo i marciapiedi delle  grandi città, nella sua Nervenleben (Vita dei nervi secondo George Simmel); che possiamo trasalire al dramma della vita e  vibrare nell’intimo anche  attraversando il corridoio che dalla camera ci porta  alla cucina di casa, e dove la vista del  tinello desolatamente  vuoto ci provoca  inenarrabili risonanze interiori che neanche in Guerra e pace; che lo straordinario della vita è nella vita ordinaria, che in quanto  uomini ordinari  il quotidiano  è la nostra unica, possibile,  dimensione epica. “In questo super-romanzo il nostro autore ha anche oltrepassato i confini dell’epica”, chiosa  eccellentemente Pound.

Se è così – e così è –  la stessa tecnica narrativa,  aggiungiamo noi, subisce  una mutazione. Non è più la storia classica con i suoi quattro momenti:  a) preparazione della  vicenda;  b) sviluppo della stessa;  c) acmé; d) scioglimento (che corrispondono  grosso modo ai quattro momenti del coito secondo Master & Johnson: eccitamento, plateau, orgasmo, risoluzione!).   Il romanzo vero somiglia alla nostra vita ordinaria di tutti i giorni, non alla fiammeggiante poesia epica ma alla prosa del quotidiano. Il nostro romanzo direbbe Hegel ( Estetica ) è “la prosa del mondo” e per scriverlo,  aggiungeva quel filosofo, occorre “aver molto vissuto, molto visto e molto conservato”.  Non ha scene madri il romanzo di ogni giorno,  non ha coup de théâtre, né agnizioni clamorose, non si organizza insomma come un “meccanismo di risoluzione” (come nei gialli), non è neanche  una sinfonia che porta e sviluppa un tema musicale, ma piuttosto una suite di scene, un susseguirsi di situazioni, spesso prive di senso, che scivolano le une sulle altre, fino alla fine,  che non è probabilmente neanche “il” fine della nostra esistenza, ahimè!

2. Ezra Pound è dunque questo straordinario critico letterario che abbiamo appena intravisto.  Ho ripreso in questi giorni in cui le squadre di giovanotti  di “Casa Pound” si affacciano sulle prime pagine dei giornali,  le quasi 600 pagine dei suoi intuitivi  Saggi letterari (Garzanti 1973, trad. di Nemi d’Agostino) . In questi saggi non v’è traccia del Pound a cui questi giovanotti si richiamano. Probabilmente per loro  Pound  è  il “grande economista e zelatore di Mussolini” (E.Montale), anticapitalista e antimarxista degli anni Trenta, l’uomo che tuonava contro l’usura e le banche, e che, nell’incontro che ebbe con Mussolini pare abbia proferito la frase che farebbe andare in sollucchero non solo i “forconi” rossi o neri, ma di tutti i colori dell’arcobaleno,  e  anche noi assennati uomini della strada: “Duce, ho la possibilità di non far pagare le tasse ai cittadini.”

Nulla so  di economia e di  finanza ma  a naso – il naso di un homme moyen sensuel –  questo Pound  che nel nome portava la sua fissazione   – la moneta: straordinario caso di nomen omen – mi sembra pericolosamente accostabile a molti santoni catodici che nei talk show mostrano di possedere la soluzione per ogni intricato problema di  economia politica creato tra l’altro da altri santoni.  Ma anche in  letteratura ne abbiamo visti di questi economisti improvvisati o politici estremisti. Certo, Louis-Férdinand Céline fu più oltranzista di Pound sul terreno della teoria politica, con punte inammissibili di antisemitismo che neanche Pound avrebbe probabilmente sottoscritto, che pure non scherzava su questo versante.  Eppure il suo nome resterà per due capolavori assoluti quali Viaggio al termine della notte e  Morte a credito. Cosa dire dunque? Nient’altro che questo: che  anche presso l’uomo di più alto concetto resta abbastanza stoffa per ritagliarne un imbecille. Siamo “uomini medi sensuali” noi; per quanti libri superraffinati  abbiamo letto restiamo uomini della strada  come Leopold Bloom dopotutto,   e abbiamo perso la bussola nel gurgite vasto delle idee economiche, frequentate da quei geni totali che spesso richiamano le alzate di ingegno del buon Ezra.

3. Ezra Pound visse moltissimi anni in Italia durante e dopo il fascismo. Dopo la guerra venne  fatto prigioniero per la sua adesione al fascismo, e, a causa dei suoi interventi alla radio – anche antisemiti – in favore dell’Italia fascista e repubblichina  fu internato prima in Italia e poi negli USA perché ritenuto pazzo. Ritornò dunque in Italia e prima di morire a Venezia nel  1972 visse  lungamente a Zoagli e Rapallo, luoghi incantevoli della nostra Italia prima che venissero “rapallizzati”.  Qui, a Rapallo, venne ritratto da Montale in alcune prose raccolte poi ne  Il secondo mestiere (Meridiani Mondadori 1996).

La penna critica di “Eusebio” raggiunge nel ritratto di Pound vette  di chiaroscurale perfidia. Era forse pazzo Pound? si chiede Montale in “Fronde di alloro da un manicomio”,  scritto in occasione dell’assegnazione del premio Bollinger nel 1948 ai  Pisan Cantos

«Neppur  per sogno, a meno che non si vogliono considerare come pazzi i tre quarti degli scrittori d’avanguardia contemporanei. L’opinione corrente è che Ezra sia stato considerato pazzo per salvarlo dal carcere perpetuo e dalla pena di morte. Non era e non è un pazzo autentico, ma solo un caratteristico (sic!) tipo di esule americano […]  La catena dei cittadini che protestano contro la civiltà meccanica degli Stati Uniti e celebrano la vita degli istinti non si è mai interrotta. Al movimento che egli fondò, l’imagismo, la poesia moderna, non solo americana, deve l’acquisto di una libertà di ritmi  e di musiche che in lui fu sempre sostenuta da un profondo ritmo vitale ma che nei numerosi imitatori divenne ricetta e anarchia». «Nessuno di noi potrebbe immaginare un Eliot o un Joyce che si mettessero al servizio di un dittatore e, in tempo di guerra, si trasofrmasseo in complici e propagandisti dei nemici del loro Paese.  […] Ma a Ezra, spirito quasi puerile , non era possibile che la rivolta, e nulla è più penoso della rivolta di un vecchio (Marinetti insegni)».

Fin qui l’esule e il poeta. Segue l’economista  e l’italianisant Pound.

«In Italia egli aveva trovato il suo soggiorno ideale, non dico la sua patria perché l’Italia prefascista, l’Italia democratica non gli piaceva, e l’Italia fascista non seguiva i suoi precetti in fatto di economia e di agricoltura. Il bimetallismo e la coltura integrale delle arachidi erano i due chiodi della riforma ch’egli avrebbe voluto imporci. Inoltre, egli non credeva affatto nella pretesa rinascenza dello spirito italiano nel campo dell’arte e delle lettere. In vent’anni non era mai riuscito a imparare decentemente la nostra lingua, ma ciò non gli impedì di sostenere che la poesia italiana era finita con Guido Cavalcanti, poeta del quale egli dette una  edizione critica  che i competente giudicano mostruosa. Pretendeva di conoscere  a fondo il provenzale ma una sua conferenza sull’argomento, tenuta a Firenze, in palazzo Vecchio, tolse quell’illusione ai suoi stupefatti ascoltatori. Musicista, aveva scritto versi e musica di un melodramma in un atto, François Villon, che  non so  se sia stato mai rappresentato. Che cosa amava Ezra nel nostro Paese? Difficile dirlo. Firenze gli sembrava una città di cartapesta. Venezia, suo vecchio amore, non gli diceva  più nulla. Roma gli faceva orrore: solo a Rapallo, da lui definita “umbelico del mundo”, egli si trovava a casa sua ».

Ed ecco il colpo finale di perfidia:

«La Capua di Pier delle Vigne, la Genova di Lanfranco Cigala, la Pisa di Rusticano o Rustichello: ecco che cosa era l’Italia per lui. Scoppiata la folgore, isolato, egli si credette in obbligo di manifestare la sua fedeltà a una terra che perdeva la guerra per difetto di bimetallismo e di noccioline del Brasile, a una terra che da sei secoli era stata disertata dai geni creatori, ma che tuttavia accoglieva nel suo seno l’ultimo esule che non avesse tradito la causa della rivolta perpetua. Il germe del “tradimento” di Ezra è tutto qui.  Non tento di giustificarlo, ma mi sforzo di capirlo. Quando un uomo si isola nell’ “umbelico del mundo” è facile che compia un ultimo passo e si convinca di essere egli stesso, in persona, quell’umbelico».

Ciò detto, ci iscriveremmo noi a “Casa Pound»? Certamente sì, ma  a una “Casa Pound” fondata da noi, che accogliesse tranquilli letterati, uomini medi sensuali, eroi inattivi, prosatori e versificatori mansueti, di quelli che indossano maglioni lisi e lo stesso paio di scarpe in tutte le stagioni e che, obbedienti ai precetti degli ottici, si levano  gli occhiali con tutte e due le mani, per non far saltare le molle delle asticelle…  e  anche da innocui economisti sclerati, ce n’è tanti in giro in questi anni di crisi,  e si credono tutti un po’ “umbelico del mundo”…

 

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In copertina, una foto giovanile di Ezra Pound

 

 

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