Fumetti

Renzi o Salvini? Meglio Dylan Dog

16 Dicembre 2014

L’ultimo anno è servito a gettare le basi. Mesi intensi di lavoro sulle innovazioni da apportare, i sacrifici da mettere in conto, la direzione da prendere. Ora è finalmente iniziata la nuova fase. Si cambia verso, e nulla sarà più come prima.

Ovviamente stiamo parlando di Dylan Dog, l’indagatore dell’incubo.

Il personaggio creato da Tiziano Sclavi è al centro di un dibattito che divide il Paese. Gli schieramenti non sono compatti. Come sempre accade in Italia, ogni fazione è attraversata da spifferi e correnti, in cui tutti sono convinti di interpretare come nessun altro la vera aria che tira. Su una cosa, però, tutti concordano: Dylan Dog non è più quello di una volta.

Il Dylan delle origini era un ragazzo degli anni ’80, figlio di un immaginario che non era solo di Sclavi ma di un’intera generazione. A questo punto, ci vorrebbe una freddura di Groucho, il suo impagabile assistente, per prendersi gioco di un’affermazione tanto banale. Eppure, a quel tempo, Dylan Dog dava veramente corpo agli umori di una generazione. La prova è che all’inizio in pochi se n’erano accorti. I primi numeri, si vocifera, non vendevano poi così bene e solo l’amore incondizionato per il fumetto di Sergio Bonelli, unito alla sua proverbiale lungimiranza, ha salvato l’indagatore dell’incubo da un brusco risveglio fuori dalle edicole. Troppo splatter, troppa violenza, troppi nudi. Era un personaggio volgare, si diceva. Ambiva a rompere con la tradizione del fumetto popolare ma senza mostrare il minimo rispetto per i padri. Troppi schemi rotti in un colpo solo per pensare di farla franca. Il solo fatto di stare a fianco di Tex suonava come una bestemmia.

La verità è che al nostro Paese serve sempre un po’ di tempo supplementare per aggiustarsi gli occhialini sulla punta del naso e vedere finalmente un palmo più in là. Quando nei primi anni ’90 Dylan Dog superò il milione di copie mensili, molti salirono sul carro del fumetto del momento. Se la cosa vi ha fatto pensare a Zerocalcare, il parallelo è quello giusto.

Dylan Dog era il nuovo re. Splatter, violenza, sesso ma anche numeri da capogiro. Per qualche tempo, fece mangiare un po’ di polvere pure a quel satanasso di Tex. A quel punto molti gridarono al miracolo e cominciarono a spiegare Urbi et Orbi le ragioni profonde che rendevano quell’inarrestabile parabola così maledettamente prevedibile. Almeno con il senno di poi. Presto, ai tanti baci di carta, si aggiunsero pure quelli accademici. Il più famoso di tutti resta quello di Umberto Eco (“Passerei giorni e giorni a leggere la Bibbia, Omero e Dylan Dog”). Per Dylan Dog non restava che il bacio finale, quello della morte. Avrebbe dovuto essere il suo preferito, in effetti. Invece la morte, lenta e inesorabile, cominciò a diventare un incubo vero anche per chi sugli incubi avrebbe dovuto camparci.

Il Dylan Dog di oggi è il lontano parente di quello che fu. Da più di un decennio, l’erosione di copie è lenta ma costante. Più che l’inesorabile perdita di lettori – comunque marginale rispetto ad altre testate – a preoccupare è proprio lui, il personaggio. Con tante storie alle spalle, la forza dirompente degli esordi, la carica fresca e sottilmente eversiva, sono diventate un lontanissimo ricordo.

Cosa si fa se un eroe sta male?

Alla Sergio Bonelli Editore sono ripartiti dalle idee. Avrebbero potuto cominciare con le primarie, ma qualcuno deve averli messi in guardia. L’obbiettivo era rinnovare, ripensare tutto su basi nuove e tornare ad immaginare un futuro all’altezza dei tempi. In una parola, cambiare verso.

Tiziano Sclavi, il creatore di Dylan Dog, e alcuni degli eccellenti professionisti che per anni ne hanno scritto, disegnato, corretto e riscritto le storie hanno pensato a come rinnovare il personaggio. Dopo anni di strada, serviva una nuova via. Serviva un quando, un dove e un come. Serviva anche, ovviamente, un chi. Quest’ultimo è stato individuato circa due anni fa in Roberto Recchioni, una delle personalità più forti e controverse del nuovo fumetto italiano. Un autore di grande talento ma, per alcuni, troppo distante dallo stile della casa editrice e forse anche dall’essenza del personaggio. Recchioni – RRobe, per gli assidui del web – ama la tecnologia, le arti marziali, la letteratura di genere (ogni genere) e gli action movies. Oltre al porno, ovviamente. Per molti era la persona sbagliata al posto sbagliato. Ma non per la Sergio Bonelli Editore.

Così Recchioni, in oltre due anni di lavoro, ha rimodulato l’universo narrativo di Dylan Dog. L’obiettivo dichiarato? Non recuperare lo spirito delle origini, ma restituire il personaggio di Sclavi allo spirito di oggi. Per usare una felice espressione di Recchioni, “riportare il mondo dentro Dylan Dog”.

Dall’inizio del nuovo corso sono usciti tre albi. Da “Spazio profondo”, passando per “Mai più, ispettore Bloch” e “Anarchia nel Regno Unito”, mattone su mattone, viene costruito un nuovo edificio. La prima impressione è che si stiano evitando con cura i passi azzardati. Ogni mossa è calcolata e rientra in un disegno più ampio. A Dylan Dog serviva un pensiero lungo, con il respiro di un arco di tempo fatto di anni e non di mesi.

Le reazioni non si sono fatte attendere. Nei forum storici, si possono trovare discussioni accanite. Gli esegeti del flame e gli appassionati di estetica da due troll troveranno pane per i loro denti. I profili Facebook ufficiali e non sono stati presi d’assalto. È divertente come, nei luoghi della condivisione 2.0, le dinamiche siano identiche a quelle di un qualsiasi talk show televisivo: gente spesso impreparata che pontifica su tutto, attacchi personali come regola base della discussione, rissa immediata, contatti alle stelle.

Intanto, però, Dylan Dog sta cambiando davvero. In un Paese immobile che vive di ricordi, forse è il caso di prendere appunti.

1. Dopo anni di servizio e tonnellate di antiemetici, l’ispettore Bloch va in pensione e si ritira a Wickedford, un piccolo centro lontano da Londra. Dylan perde un punto di riferimento essenziale. I vecchi equilibri vacillano e la sensazione è che nulla sarà più come prima. Il nuovo Dylan Dog, però, non rottama i padri a cui deve quasi tutto: impara suo malgrado a fare a meno di loro. Contando solo sulle proprie forze, senza distintivi scaduti di Scotland Yard e amici ai piani alti pronti a dargli una mano, tutto si complica. Bisogna ingegnarsi, affrontare problemi complessi e storie avvincenti senza deus ex machina o comunque con meno scorciatoie narrative del solito. In una parola, bisogna crescere.

2. Nell’universo di Dylan Dog irrompono tablet e smartphone. L’indagatore dell’incubo non è mai stato un nerd. Eppure, senza arrivare agli splendidi eccessi dell’Holmes di “Sherlock”, è davvero impossibile immaginare una storia ambientata nella Londra contemporanea in cui la tecnologia sia ferma alla metà degli anni Ottanta. Dylan quindi, pur non arrivando a possedere uno smartphone, comincia a considerarlo parte del suo mondo, anche a costo di affidarlo a Groucho come è sempre stato per la pistola. Ma se già nell’albo numero 339 intitolato “Anarchia nel Regno Unito” abbiamo visto Dylan googlare per salvarsi la vita, non credo che lo troveremo mai retwittare il selfie di Groucho che coglie alla sprovvista una cliente e la abbraccia con l’inganno. Quando accetta un caso, Dylan Dog si occupa di quello. Essere all’altezza dei tempi e sfruttare la nuove forme di comunicazione è cosa diversa dal culto della personalità, per giunta fine a se stesso. Al narcisismo c’è un limite e non sono i 180 caratteri.

3. Dylan Dog avrà un nuovo nemico: John Ghost. Al momento lo si è intravisto appena ma, come ha dichiarato Roberto Recchioni, rappresenta “il caos”. Dylan dovrà lottare contro un altro da sé che porta scompiglio e confusione in ogni aspetto del presente e rende precario il futuro. Un eroe all’altezza dei tempi raccoglie sfide così: non cedere al caos.

4. Dylan Dog deve fare i conti con un nuovo ispettore di nome Carpenter. Un vero duro, inflessibile e poco incline a chiudere un occhio quando si tratta di far valere le regole. Con lui i patti non si negoziano, si rispettano. Punto. Qualcuno potrà obiettare che a rendere Dylan adorabile era il suo spirito anarchico, unito ad una sana dose di sregolatezza e fantasia. Forse però anche le qualità migliori, senza autocontrollo, rischiano di diventare un boomerang. Il nuovo Dylan Dog potrà sempre contare sul suo quinto senso e mezzo, ma senza altre mezze misure.

5. Dylan Dog conosce Rania, detective di religione musulmana e braccio destro di Carpenter. Benchè per molti resti una sorta di collezionista seriale di fidanzate, le storie dell’indagatore dell’incubo hanno regalato tantissime figure femminili memorabili, complesse e ricche di sfumature. Raina potrebbe essere l’ultima in ordine di tempo. In attesa di approfondire, notiamo subito la novità più evidente: la multiculturalità. È nelle nostre vite ormai da decenni, ma fatica a diventare la normalità nelle storie che leggiamo. Era un limite. Il nuovo Dylan Dog, invece, racconta il mondo così com’è. Ed è l’antidoto migliore a razzismi e buonismi di casa nostra.

Raccontare una storia è una cosa seria. Quasi quanto farla. È difficile dire oggi come andranno le cose per Dylan Dog. Il nuovo corso presenta forti rischi. Ogni rinnovamento degno di questo nome se ne deve assumere l’onere. Anche se l’esito è incerto. Intanto una cosa si può già dire: non si cambia verso con le scorciatoie. Una nuova narrazione si costruisce senza perdere tempo ma prendendosi tutto il tempo che serve. Gli ingredienti per un rinnovamento profondo sono pochi ma sempre più rari.

1. Occorre mettere in pratica la saggezza dei nostri padri. E quindi fare esattamente come scelsero di fare loro: di testa nostra.

2. Occorre sfruttare le nuove tecnologie, comunicare di più e meglio, cambiare linguaggio. A patto di non ritrovarsi a ripetere soltanto vecchie ricette.

3. Occorre sfidare la complessità. La semplificazione al potere dà sollievo oggi ma peggiora il nostro domani. Ci vuole il coraggio e il talento per mettere in campo soluzioni complesse. Sono le uniche con una chance di funzionare.

4. Occorre saper fare autocritica. Chi vive nel culto di se stesso è un pessimo affare per la collettività.

5. Occorre aprirsi al mondo. La storia non si percorre contromano. Chi lo promette sa che non avrà nessuno a fianco o nei sedili posteriori.

Pochi ingredienti, quindi. Rari da recuperare e difficili da tenere insieme. Eppure qualcuno ci riesce o almeno fa un tentativo. Se l’Italia fosse un universo narrativo e volesse davvero cambiare, tra tutti gli esempi possibili, le consiglieremmo Dylan Dog.

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