Fumetti
L’ebraismo a fumetti di Szlakmann
L’“altro” non è mai un’astrazione: è reale e, se esige o soltanto implica un confronto con la concretezza della sua sostanza, allora è da questo dato che bisogna partire. La piena diversità dell’altro non è aggirabile e non va sottovalutata, non va mitizzata o nascosta, va piuttosto rispettata, accolta e, per quanto possibile, conosciuta. L’alterità è sempre materiale, corporale, fisica, ha odore e sapore, l’alterità è un complesso dispositivo culturale, una presenza politica insopprimibile, una lingua e una tradizione che si dispiegano nella storia. È quanto vien fatto di pensare riflettendo su “L’ebraismo per principianti” dello scrittore e vignettista francese Charles Szlakmann, edito in italiano da Giuntina (traduzione di Daniel Vogelmann). Perché questo riferimento di pensiero? Perché, se nella tradizione culturale occidentale c’è un popolo che, pur nella sua costante presenza, incarna e rappresenta da sempre il senso dell’alterità, questo è il popolo ebraico e lo è in tutta la straordinaria e nobilissima varietà delle sue articolazioni storiche, geografiche, spirituali e politiche. Il libro di cui scriviamo è sostanzialmente un manuale che spiega, con semplicità e raffinato umorismo, l’ebraismo a coloro che con esso non hanno confidenza diretta o indiretta: la storia antica e medievale d’Israele; il rapporto tra Dio e uomo.; la Torah (anzi le Torah), il Talmud, la Cabala; l’etica e la società ebraiche; la coppia, la famiglia e i rapporti parentali; il calendario ebraico e tutte le varie feste; il culto e i simboli; le leggi alimentari; le grandi figure di ebrei (mistici, pensatori, artisti, politici) nella storia mondiale e il destino di Israele ed ancora, per finire, un altro capitolo di riflessione storica fino all’orrore dell’olocausto, all’antisemitismo sovietico, al conflitto arabo israeliano e alla situazione degli ebrei oggi. Tutto con la leggerezza dei fumetti. L’utilità è doppia. Anzitutto di tipo conoscitivo. Ci sono ancora oggi nel mondo, e sempre più spesso, rigurgiti di velenoso antisemitismo e non bisogna smettere di credere che unico antidoto a questo male sono la consapevolezza culturale e la memoria. E poi c’è una seconda utilità di tipo più genericamente filosofico: come si diceva, non bisogna porre l’alterità nel campo vasto dell’astrazione, dell’idealità, della metafisica. No, la categoria dell’alterità si concretizza in qualcosa di reale che, soprattutto nella comunicazione pubblica, non può essere bypassato seguendo superficialmente la scia di chi dice (in buona fede e magari anche giustamente da un punto di vista filosofico o psicologico) che, ad esempio, l’“altro” che evitiamo, condanniamo, odiamo, temiamo, cacciamo, respingiamo, si trova dentro di noi ed anzi è una parte irrisolta e misteriosa noi stessi. Si tratta di posizioni certo affascinanti, basate su elaborazioni molto profonde, raffinate, cogenti, colte, ma che spesso indicano all’opinione pubblica una via “facile” per vivere il rapporto morale con l’alterità, laddove invece la prima difficoltà in questo rapporto sta proprio nell’accettare la complessità dell’alterità, la sua strutturata e incoercibile irriducibilità alle coordinate entro cui si dispiegano il nostro essere e la nostra quotidianità.
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