Fotografia
Simone Casetta e la poesia
Simone Casetta è nato a Milano nel 1961, e ha iniziato giovanissimo a lavorare come assistente presso lo studio e nella camera oscura dei fotografi Luciano Ferri e Gianni Greguoli. Più avanti, ha prestato assistenza anche presso altri fotografi di moda e pubblicità. Il lavoro indipendente è iniziato nel 1980, con incarichi per la stampa periodica e per aziende private.
Dall’inizio degli anni ‘90 la sua attività si è concentrata sul reportage sociale, il ritratto e sulla ricerca personale, con la produzione di numerose serie di immagini realizzate in Europa, Romania, Sudan, Ruanda, Zambia, Somalia, Ciad, Kenya, Tanzania, Marocco, Pakistan, Cambogia, Argentina, Costa Rica, Nicaragua. Le problematiche legate alla ineguale distribuzione delle risorse alimentari sono il tema che, dalla metà degli anni novanta in poi, ha costituito il filo conduttore dei suoi viaggi. Attualmente affianca la produzione di lavori commissionati a progetti di mostre anche a carattere multi-mediale.
Nel 2010 ha fondato il Conservatorio della Fotografia, centro di cultura fotografica pre-digitale impegnato nella pratica delle tradizionali tecniche di stampa dirette da negativo. Il Conservatorio forma giovani collaboratori e offre servizi di stampa e sviluppo a fotografi, artisti, archivi storici e Istituzioni. Dal 2007 insegna fotografia presso l’Istituto Superiore per le Industrie Artistiche ISIA di Urbino, al biennio Magistrale di Grafica Editoriale.
Buongiorno Simone, fotografo e amante della poesia. Nel 2010 lei ha dato avvio alla singolare iniziativa di un Registro fotografico dei poeti di lingua italiana. Quanti poeti ha ritratto, e di quali ritiene di essere riuscito a catturare più intensamente la sensibilità artistica?
Buongiorno a lei. Ho iniziato a ritrarre i poeti un po’ per caso e mi sono trovato in un’impresa decisamente più grande delle mie possibilità. Dopo dodici anni di lavoro e 150 ritratti realizzati in tutta Italia mi sono dovuto arrendere e credo che non arriverò a completare questo archivio. Le fotografie sono generalmente fatte a casa del poeta, o in luoghi che per il poeta sono casa. Non ho una classifica di intensità
riguardo al risultato. Ogni ritratto testimonia di un incontro e si può dire riuscito nella misura in cui si è instaurata un’intimità condivisa, più o meno forte. Chi avrà l’occasione di vedere i poeti, nelle fotografie che ho fatto, potrà forse rispondere meglio di me in termini di maggiore o minore intensità percepibile.
Questo viaggio tra persone che ricercano, ricche di una sensibilità coltivata e attenta, è stato immancabilmente avvincente e ogni incontro è stato unico e importante. Non saprei mettere insieme una graduatoria, né delle preferenze. Questo non vuol dire che non ci siano stati incontri dalla maggiore o minore corrispondenza.
Immagino che prima di ritrarre i poeti, senta l’esigenza di leggerne almeno in parte la produzione. Dopo averli conosciuti di persona, avverte il desiderio di approfondirne lo studio dal punto di vista letterario?
Al contrario. Cerco di arrivare all’appuntamento completamente ignaro dell’opera. Quando so troppe cose rischio di offuscare la sensibilità immediata e
l’imprevedibilità di un incontro che, per me, è meglio non abbia tare. Dopo sì. Pur essendo un lettore minimo di poesia (ne leggo pochissime, centellinate nel tempo), dopo ogni incontro leggo con grande curiosità quello che i poeti hanno scritto.
Conosco il suo amore per la poesia di Raffaello Baldini. Cosa l’ha attratto nella scrittura e nella personalità di questo poeta romagnolo?
Anche questo è stato un incontro non ricercato. Dopo avere ascoltato un pezzo di una sua poesia, letta da lui stesso alla radio nel 1994, gli avevo scritto per sapere se vi fosse già una registrazione sistematica dei suoi lavori. Non c’era e sono riuscito a convincerlo a farla insieme. Abbiamo lavorato, saltuariamente, per dieci anni e dopo altri quindici si è arrivati alla pubblicazione di Compatto, il risultato delle nostre
sedute di registrazione. Con Baldini era stato amore a prima vista, o al primo ascolto, sarebbe meglio dire. A ciascuno corrisponde un modo poetico e credo di poter dire che il suo sguardo sul mondo mi corrisponda in pieno.
Poesia e fotografia, ciascuna con i propri mezzi espressivi, possono mostrare il lampo di una presenza, la concretezza di un particolare, l’ossessione di un volto, anche quando vengano subito riassorbiti dal buio del giorno e della memoria. Yves Bonnefoy, nel suo intenso saggio Poesia e fotografia, accomunava le due arti nella capacità di bloccare ed eternizzare l’immagine, preservandola per sempre. Lei si trova d’accordo con questa affermazione?
Penso che si possano lecitamente fare dei paragoni tra i due modi di comunicare. Le poesie generano immagini e comprensione, così come le fotografie provocano emozioni e pensiero. Sul rendere eterno avrei qualche perplessità. Può andare bene dirlo in metafora, perché quando scriviamo una poesia o produciamo una fotografia, quelle ci rappresenteranno nel tempo; per un certo tempo. L’eternità è un’altra cosa…
Nella sua esperienza di fotografo, quali sono i soggetti (oltre alle figure umane) che trova particolarmente poetici, e in che modo riesce a farli “parlare” poeticamente? Giocando con luci e ombre, con gli sfondi, con qualche dettaglio insolito?
Cito sempre questa frase di Jean Baudrillard, perché esprime in completezza quello che trovo nella poesia: “…è solo attraverso la dispersione del nome di Dio nel labirinto della poesia che si può percepire in filigrana la figura originale.” Quando mi trovo di fronte a una scena del mondo, capita che ci siano luoghi e tempi nei quali intravedo una comprensione maggiore, dove la bellezza mi appare più evidente. Cerco allora di fotografare per condividere, ricordare, gustare e amplificare il più possibile quel momento del mondo. Qualsiasi scena può essere portatrice di questa comprensione, testimone di questa bellezza. Se però faccio un’analisi statistica tra quello che ho fotografato finora, trovo una netta predominanza di persone. Vengono poi gli alberi, il cibo, gli oggetti
antropomorfi. Il resto in misura minore.
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