Fotografia
Mario Dondero: un fotografo che voleva essere marinaio
Mario Dondero prima che un fotografo è stato un incontro, una relazione, un instancabile curioso di professione. La sua Leica è il suo occhio e la sua voce, nonché il suo più sensibile polpastrello con cui riesciva ad entrare in contatto con il prossimo. Partigiani del Polesine (Giunti, 2014) è il suo personale viaggio nella memoria di un mondo che fu ribelle e contadino, giovane e incantato, forte e vitale. Un mondo che lascia tracce e impressiona la pellicola di Dondero con tutta la forza del tempo accumulato.
La memoria tra le fotografie di Dondero è materia morbida, priva della durezza e del peso di una monumentalità incapace di sguardo, ma pretenziosa di visione e carica di ideologie sempre più inservibili. Dondero ha costruito il proprio racconto senza pudori, mostrando i luoghi e i protagonisti di quell’epica con la semplicità di un paesaggio di provincia oggi attraversato sia dalla contemporaneità non più contadina ma ugualmente ricca d’ingenuità e discrezione, sia da un tempo spesso ostile ai ricordi e alloro mantenimento.
Il volume arricchito con gli interventi tra gli altri di Valentino Zaghi e Massimo Raffaeli si apre con un’immagine di Adria in un giorno di mercato: uno scorcio della piazza, un piccolo mercato e le piccole bancarelle di frutta e verdura. Il palazzo principale ha un porticato e al suo centro ospita un campanile con un’orologio: il palazzo è in ottimo stato, probabilmente da poco ristrutturato, alle sue spalle s’intravede una gru a testimoniare gli ultimi lavori ancora in corso.
Adria, Caverzere, Rovigo, Mesola sono solo alcuni dei comuni attraversati dalla Leica di Dondero, che evita la testimonianza in favore di un racconto che non si fa mai compiaciuto, ma ricerca nei volti delle persone la spinta iniziale, l’orgoglio libertario non tanto di una generazione ma di un umanesimo che fu il segno primario unificante e coalizzante del movimento partigiano.
Dondero incontra uomini e luoghi che raccontano chi come lui furono già giovanissimi ribelli e sognatori. Commuovendolo come solo un semplice cippo può fare: “Il ragazzo del Polesine, falciato sedici anni, gli ricordava troppo da vicino quel ragazzo ribelle che era stato lui, Mario Dondero, quando un mattino di molti anni prima aveva deciso di salire in montagna tra i partigiani della Val d’Ossola .E di diventare, da allora in poi, un convinto e tenace custode di quei valori sempre attuali incarnati dalla Resistenza italiana.”.
Il tempo è quello terribile di vite e libertà violate con folle e assurda violenza. Quelli erano i tempi vissuti sulla pelle e sulle colline di paesaggi dolcissimi sferzati dal sole e dalla fatica contadine.
Mario Dondero per tutta la vita ha dato fiato ad un popolo. Politicamente impegnato almeno quanto tifoso genoano Mario Dondero ha viaggiato e lavorato saltando da un treno all’altro eccitato dall’idea di viaggio come imprevisto e occasione di incontro. Nessuna retorica e nessun monumento lo hanno mai sedotto o attirato, la memoria era per lui una forma di consapevolezza del presente e di eleganza dell’azione.
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