Fotografia
Le parole sono lo stile che indossiamo
“Cold words tell intimacy
That ignore the depht of experience
They speak the language of a judgement”
Solitamente un ospedale è un luogo ospitale, in cui ci si prende cura dei malati. Immaginate se un infermiere nel soccorrere un malato gli dicesse che è un disastro. Il povero malato, oltre a soffrire per la sua malattia, dovrebbe persino accusare il colpo di essere tacciato come un fallimento. Un buon a nulla. L’ infermiere in questione mostrerebbe di non essere qualificato per il lavoro che svolge, un lavoro che richiede capacità di comprensione, supporto per una persona sofferente. Mostrerebbe, insomma, che quel lavoro è un semplice mestiere che svolge perché gli assicura una retribuzione con cui poter vivere. Infermieri, medici, tutto il personale che svolge il suo servizio in una struttura ospedaliera, dovrebbero considerarla un luogo di ristoro.
Certo anche la parola ristorante, ristorazione afferisce all’aria semantica del ristoro. Trattasi di una forma di ristoro che riguarda lo stomaco, che con le anime ha poco a che fare.
Si avverte un disagio sempre più profonde della parola. Utilizziamo un registro semantico che ha a che fare con l’elaborazione di un lutto collettivo che è una sorta di coazione a ripetere e che somiglia molto al modo in cui abbiamo registrato la sensibilizzazione della pandemia.
C’è una contraddizione tra una forma di freddezza delle nostre parole, espressione di un’emotività spettacolarizzata, che le colora rispetto alla profondità ad esempio della guerra. Occorrerebbe utilizzare un altro modo di parlare, scegliere parole che hanno a che fare con la profondità dell’esperienza e non con il cinismo del giudizio.
Un esercizio di stile che si oppone alla geopolitica, perché la guerra osservata dal punto di vista della geopolitica è una guerra che ha perso un senso profondo e radicale che concerne l’intimità di noi sessi e la nostra umanità.
In foto: Marcello Dudovich
Bagno turco
Collezione privata, Milano
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