Fotografia
Francesco Sambati: intervista al fotografo malinconico
Minimalista, ironica, sognante. Sono gli aggettivi che mi vengono in mente per definire, in qualche modo, la fotografia di Francesco Sambati, artista salentino, autodidatta, già citato su riviste (Witty Kiwi Magazine, Hayo Magazine, C-41 Magazine, Analog Magazine, Il Fotografo, Foto Cult, Polaroiders Selection Vol. 1-2) e presente con i suoi lavori in alcune mostre. Sambati gioca con i paesaggi (cielo, mare, fiori, piante), con i dettagli quotidiani (stanze, tavoli, finestre), con una bellezza femminile fuori dagli schemi, conturbante sì, ma anche spiritosa, essenziale.
Chi guarda le sue fotografie si ritrova dritto dritto in un immaginario con un che di vintage, rievocativo di mode e stili senza tempo.
Curiosando tra i suoi lavori su Instagram o su Flickr ripenserete ad un motivetto dei Righeira, ad una canzone dei Baustelle, ad un libro di Joan Didion, ad un film di Sofia Coppola. Direte che alcune volte pare ispirarsi a Ghirri, eppure il paragone non sarebbe esaustivo, dal momento che la fotografia di Francesco è varia e in piena trasformazione. In alcuni scatti, prevale un senso di sospensione. In altri, dominano il gioco, la sensualità, la reminiscenza di radici e appartenenze.
Per conoscerlo meglio noi degli Stati Generali lo abbiamo intervistato.
Quando hai iniziato a fotografare e perché?
È iniziato tutto nel 2010, casualmente, dopo aver scattato una foto ad una mia amica in spiaggia. La foto mi piacque talmente tanto che mi diede il giusto stimolo a continuare, per curiosità. Certo, guardandola ora mi rendo conto che non è granché (era il periodo del boom di Instagram e filtri vari), ma chissà cosa farei ora se non avessi realizzato quello scatto. Comunque, solo nel 2015 ho iniziato a far circolare le mie foto con regolarità e per questo motivo ho la perenne sensazione di dover recuperare il tempo perduto. Sono autodidatta e ancora oggi persisto nel non ricorrere a corsi o a manuali. Mi diverto troppo nello scoprire da solo, con la pratica, i vari meccanismi fotografici. D’altronde, non si faceva così anche un tempo, quando non esistevano i manuali?
Cosa cerchi quando fotografi? Cosa attira la tua attenzione?
Questa è una domanda a cui non posso rispondere con precisione. Non so quale sia “la mia strada” e non credo di volerne trovare una, effettivamente. Quando penso di aver trovato un genere a cui mi sento più vicino, finisce che mi attira anche qualcos’altro e mi va bene così. D’altronde, perché precludermi qualcosa puntando su un solo genere? L’unico fattore certo che accomuna tutte le mie foto è una malinconia di fondo e quando vedo qualcosa che la fa riaffiorare scatto, anche se la foto non ha apparentemente un senso. So che lo ha per me e questo aspetto “terapeutico” è la cosa più importante.
Tu sei salentino, di Lecce. A Lecce hai anche esposto i tuoi lavori. Qual è l’attenzione della città verso la fotografia contemporanea?
A dispetto di quanto possa far credere la posizione geografica particolarmente “remota”, devo dire che a Lecce c’è una discreta attenzione verso la fotografia contemporanea, anche se forse è più corretto parlare di fermento. Tra meno di un mese, la prima settimana di Settembre, si svolgerà il Bitume Photofest, che nonostante sia solo alla terza edizione è già diventato un’istituzione per gli addetti ai lavori e gli appassionati proprio grazie all’altissimo livello della manifestazione. Per chi fosse interessato: http://2016.bitumephotofest.it
E invece on line, dov’è che ti relazioni con gli altri fotografi?
Purtroppo non mi relaziono molto, non per mancanza di voglia ma di tempo, visto anche il numero sterminato di fotografi, siti di fotografia, ecc. Il mezzo di comunicazione che uso più spesso è Instagram e tramite la messaggeria privata mi tengo in contatto con i fotografi che mi seguono da più tempo.
Credi ci sia un’influenza, per quanto incontrollata, tra i luoghi che abiti, le cose che vivi e la tua arte?
Indubbiamente sì, impossibile negarlo. La terra in cui vivo, circondata dal mare, associata al sole e alla gioia per antonomasia, sembra dimenticare il passare del tempo. Eppure, esiste un lato più oscuro che solo chi è cresciuto qui può cogliere. Una specie di saudade, non so come dire. Tutto questo si fa prepotentemente sentire. Qui, nel cuore del Salento, bellezza e malinconia non esisterebbero l’una senza l’altra, e io come artista esisto con loro.
Smartphone, macchine fotografiche digitali e analogiche: quanto, secondo te, la fotografia è una questione di mezzi?
Siccome ho iniziato con la fotografia mobile, mi risulterebbe facile dire che non importa il mezzo, tirando così acqua al mio mulino. In parte, però, è proprio vero. Nel senso: se con la fotocamera del cellulare (ormai alcune hanno raggiunto una qualità pazzesca, inutile negarlo e fare i puristi) riesco ad ottenere gli stessi risultati che otterrei con una macchina fotografica, tanto vale usare la fotocamera. Non è raro vedere persone equipaggiate con attrezzature da migliaia di euro per fotografare (spesso male) qualcosa per cui sarebbe bastato un cellulare. Non credo ci sia il bisogno di essere inutilmente complicati e ridurre tutto ad una mera questione “muscolare” di attrezzatura. Diciamo che secondo me ogni foto va fatta con il mezzo che più le si addice. Io l’ho sperimentato sulla mia pelle: da quando mi sono avvicinato alle Polaroid riesco a dare alle mie foto un’atmosfera che col digitale non sarei riuscito a ricreare.
Una domanda standard: chi sono i tuoi fotografi del cuore?
Non ho dei nomi in particolare da fare, se non altro perché cerco di seguirne il più possibile. Se proprio devo nominare qualcuno, ci sono due fotografe che seguo con attenzione. La prima è Aëla Labbé: è stata una dei primi fotografi che ho scoperto, spronandomi involontariamente a continuare con la fotografia. Per quanto lontano dal suo stile e dalla sua tecnica, agli inizi mi ha stimolato molto nel tentativo di imitarla. La seconda è Greta Langianni: credo che nonostante sia molto giovane abbia uno stile e una tecnica eccezionali. Difficilmente mi lancio in elogi (sono maledettamente selettivo), ma sono certo che lei diventerà qualcuno e sono ansioso di vedere cosa sarà capace di fare in futuro.
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