Fotografia
Dorothea Lange: la mostra A visual life a Napoli
Dorothea Lange, la prima donna fotografo a cui il MOMA ha dedicato una retrospettiva, è in mostra a Napoli, presso lo studio Trisorio, Riviera di Chiaia 215, fino al 15 settembre 2016. La mostra A visual life, ad ingresso gratuito, si compone di una trentina di fotografie, in bianco e nero, scattate tra gli anni Trenta e Quaranta in America. Sono le immagini della Grande Depressione americana: intere famiglie di contadini emigrano dalla campagna desertificata verso la città. Fiumi di braccianti, con al seguito mogli fiere e bambini increduli, stanchi. In tanti hanno perso il lavoro: le tempeste di sabbia hanno inaridito la terra e l’introduzione dell’aratro ha surclassato le energie umane. Risultato? Un milione e mezzo di americani cerca la salvezza in California, alimentando la più grande migrazione di massa dopo la corsa verso il West. Dorothea scatta per testimoniare, per allertare la politica, per dire: l’America sta cambiando, centinaia di famiglie sono affamate e noi non possiamo stare a guardare.
Gli scatti di questo periodo sono un classico, ancora oggi. Ritratti come carezze, mai rubati, mai invadenti. Sono dipinti di luce e a guardarli e riguardarli c’è da restare folgorati. Delicato e struggente, arrabbiato e generoso è l’occhio di Dorothea Lange.
Dorothea Lange nel 1933 potrebbe girarsi dall’altro lato e fare finta di non vedere le file di disperati che a S. Francisco attendono la distribuzione di un pasto. Dorothea a S.Francisco ha il suo studio e per lo più ritrae signore dell’alta società. Fa la fotografa fin da ragazzina, è zoppa a causa di un attacco di poliomielite, parla poco, ha grandi occhi grigi, sinceri. Quando un giorno scende in strada per immortalare quegli uomini che cercano cibo e dormono per strada, non sa che sta introducendo il reportage, mezzo di informazione, indagine e denuncia.
Dorothea chiude il suo studio e parte a bordo di una Ford, sulle tracce dei migranti. A richiamarla è un destino collettivo che sa cristallizzare con grazia e competenza. Il matrimonio con il pittore Maynard Dixon finisce. Dorothea diventa famosa, organizza delle mostre, Roosvelt prende provvedimenti per la povera gente, ma non è abbastanza. La California è invasa da disperati, bisogna scattare, scattare, scattare. Tra i sostenitori di Dorothea c’è Paul Taylor, un economista a cui stanno a cuore le ragioni dei poveri. I due iniziano a collaborare: Dorothea scatta, Paul scrive. Il risultato sono articoli che scuotono l’opinione pubblica e costringono i politici ad intervenire.
Ma il lavoro di Dorothea Lange è legato anche ad un altro fatto storico: la deportazione degli americani di origine giapponese. Durante la Seconda Guerra Mondiale, dopo l’attacco a Pearl Harbor, Roosvelt ordina che tutti i cittadini di origine giapponese vengano arrestati e deportati in campi di prigionia. Dorothea lo racconta, va e viene dai campi e denuncia questa barbarie. Quaranta anni dopo l’America porgerà le sue scuse ai superstiti, rimborsandoli.
Dorothea inizia a stare male nel 1945, come scrive divinamente Cristina Campo nel suo Americane Avventurose (Adelphi, bellissimo libro). Ciò nonostante, continua a viaggiare e realizza diversi servizi per Life. Paul Taylor è con lei, sono da tempo inseparabili e inarrestabili.
Nel 1963 a Dorothea diagnosticano un cancro, ma non smette di fotografare. I suoi soggetti sono i nipoti, bambini intenti a scoprire i fiori, le conchiglie, il sole. Dorothea Lange muore nel 1965 e ancora oggi esprime la quintessenza della fotografia: uno sguardo su gli altri, sul circostante, per non fissarsi troppo e invano su se stessi. È come un sentimento da mettere in circolo, un atto di generosità che passa da un click.
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