Fotografia
1989: persi nell’insensatezza di quel Muro
Tutti sapevano che sarebbe avvenuto. Era questione di mesi, forse di giorni; che fosse invece questione di ore nessuno proprio se lo poteva immaginare, nessuno se lo aspettava. Rimasero tutti sorpresi quel giorno, quel 9 novembre del 1989, quando in seguito ad una dichiarazione ambigua e un po’ improvvisata di Günter Schabowski si diede via libera al passaggio tra Germania est e ovest. Rimase sorpreso anche lo storico Robert Darnton che documentò quei giorni cruciali in Diario berlinese 1989-1990 (Einaudi, 1992), uno dei resoconti più interessanti e intelligenti sulla caduta del Muro (da tempo malauguratamente fuori catalogo). Tutto accadde all’improvviso, l’euforia fu contagiosa e il senso di liberazione inondò le strade: l’impressione fu quella di una Rivoluzione tranquilla i cui colpi erano ormai consegnati alla storia e al Muro.
Tuttavia nel suo parallelo con un altro 89, quello della Rivoluzione francese, Darnton già individuava i limiti e le difficoltà di una riunificazione che, se non affrettata, di certo pareva non considerare appieno il valore storico e relazionale che la società dell’est aveva comunque instaurato e costruito, seppure all’interno di un sistema autoreferenziale e autoritario. Augusto Bordato per dieci anni è stato interprete presso l’Ambasciata italiana nella DDR; fotografo per passione ha ritratto la Germania dell’Est in quelli che saranno i suoi ultimi cruciali anni. DDR. Ricordando la Germania dell’Est (Contrasto, 2014) è un reportage fotografico nelle strade e nei luoghi di un tempo lontano negli anni e ancor di più nella percezione.
Il 1989 è stato l’anticipo della fine di un secolo, la DDR il tentativo estremo, tragico, di prolungare un primo Novecento violento e ideologico eppure ancor oggi capace di un fascino ineludibile, generatore di una nostalgia di certo non priva di senso. Quello di Bordato è un viaggio sentimentale, un viaggio dentro una società autarchica vissuta con complicità, ma anche con il disincanto a tratti ingenuo dello straniero che arriva e passa oltre. Il Muro che arriva a Lübars, quartiere paludoso di Berlino, si fa così di rete e di acciaio, cambia la propria conformazione, si adatta come si adatta lo sguardo di chi vi guarda attraverso.
Nelle fotografie di Bordato lo sguardo è sempre filtrato da un passaggio: una finestra, un ponte, una rete metallica, i graffiti del Muro e quelli della propaganda sovietica. Lo sguardo si posa sempre di rimbalzo: mostra per svelare l’architettura ideologica e con lei l’essenza di una vita vissuta all’ombra dell’Occidente.
La sensazione è quella di una perenne attesa laica, di una nostalgia già in essere, di una pesante eredità, quella nazista a cui si assomma l’ingiustizia ipocrita del regime comunista. Un peso che ha caricato di disillusione i suoi abitanti abituandoli a un futuro che in realtà si è ogni volta rivelato un passato remoto: non c’è libertà possibile nei loro sguardi, solo momenti di alcolico ed entusiastico delirio, di festa eccitata. Hiddensee è un’oasi naturale, un’isola sul mar Baltico, meta turistica amata da Thomas Mann e Albert Einstein; qui Bordato ferma il tempo su una coppia: un uomo e una donna di circa cinquant’anni sdraiati su una spiaggia in una giornata nuvolosa, maglioni e pantaloni di velluto indosso. Leggono insieme un libro, solo i piedi nudi. Ma basta un raggio di sole e ritroviamo la coppia sdraiata, nudi, lui legge e lei sonnecchia al sole, attorno solo il silenzio di una spiaggia libera in un giorno di primavera fuori stagione.
Ed è sui confini che si conferma maggiormente la Leica di Bordato, le sue foto più interessanti riguardano i luoghi estremi tra la RDT e la Cecoslovacchia e la Polonia, i cosiddetti confini fratelli, le uniche vie di fuga possibili almeno sulla linea dell’orizzonte. Le fotografie di Bordato non si limitano alla documentazione storica, anzi più volte se ne sottraggono andando a cogliere quei movimenti minimi, spesso impercettibili, che allo scorrere del tempo rivelano poi con più esattezza il senso di un’onda montante che inizia a mostrare le proprie conseguenze, anche in quel mondo che fu Occidentale oggi al centro di una crisi dalle proporzioni allora impensabili e ad oggi ancora lontan dall’essere esaurita.
Ripercorrendo i volti ritratti non possiamo non domandarci quanto di quella nostalgia ci abbia oggi conquistato, o meglio invaso. Non c’è differenza nei volti dolenti, negli sguardi rassegnati rispetto a quelli delle nostre strade sempre più eccitate quanto desolatamente abbandonate. L’immagine in copertina ritrae due giovani, una ragazza e un ragazzo, entrambi indossano delle divise militari comuniste, entrambi ironizzano sul regime e sulla sua estetica ormai del tutto ridicola. Si sa, i cimeli di quel regimi sono ambitissimi. Tuttavia i loro sguardi sono tesi e inquieti, l’ironia non libera e loro sembrano imprigionati nei ricordi come nelle angosce che il futuro rivelerà (è di questi giorni il dato che vede la disoccupazione nei territori che furono della Germania Est doppia rispetto alla media tedesca, file alle mense sociali e stipendi più bassi del 40%) con durezza spietata.
Lo sguardo è simile e rivela a Est come a Ovest l’assoluta insensatezza di quel Muro, insensatezza prima di tutto retorica. Quel Muro non solo non serviva, ma in un certo senso non è mai esistito. Dall’altra parte non c’era una diversità da celare gelosamente, ma vivevano le medesime logiche solo estremizzate all’interno di un’ideologia autoreferenziale svuotata di ogni visione (o radioso avvenire).
La libertà, si dice, ha un prezzo e quel prezzo viene ricondotto all’unico sistema oggi possibile (o meglio pensabile), quello capitalista. Tuttavia la nostalgia che sta caricando i popoli in questo nuovo secolo sembra rivelare un prezzo più alto ancora, forse perché la ricostruzione sembra essere passata attraverso gli stessi mattoni e le stesse mani che costruirono quel Muro e non attraverso chi lo abbatté a rischio della propria stessa vita e felicità.
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