Filosofia
#VENTUNO_IV: OLTRE IL CONFINE (DELLO STATO)
Michele Silenzi La settimana scorsa abbiamo parlato di come la politica sembra avere perso la sua funzione storica. Il potere che era chiamata ad amministrare ha mutato di forma. Non è più stretto all’interno dei confini di uno Stato ma è diventato radicalmente trasfrontaliero perché il mondo, come tutti sappiamo, si trova in un processo di crescente apertura e le relazioni, che un tempo si svolgevano all’interno di confini ben stabiliti, oggi sono unicamente globali. A questo, e forse è il punto più importante, si aggiunge il fatto che questo processo non è nato per volontà specifica di qualcuno ma si è generato spontaneamente dalla libera interazione degli individui. È senza dubbio un processo estremamente complesso, doloroso per molti versi ma che apre la prospettiva di una nuova epoca storica in cui gli Stati-nazione tendono a perdere quei compiti che per secoli hanno svolto. E in fin dei conti, questa crisi economica, che è mutata da crisi finanziaria a crisi degli Stati, mostra ineluttabilmente questa evidenza. Mi sembra la crisi non possa passare senza ripensare la funzione degli Stati.
Lorenzo Castellani Lo Stato è radicalmente cambiato negli ultimi trent’anni. Potremmo sostenere che si è svuotato: dal basso attraverso la liberalizzazione dei servizi pubblici, di lato attraverso un’amministrazione segmentata e federata cioè divisa in miriadi di enti pubblici, enti locali ed agenzie, dall’alto attraverso la formazione di regole e processi sovranazionali a cui è corrisposta la perdita di sovranità. Si registrano due fenomeni significativi: il primo è che nonostante lo Stato sia rimasto estremamente pervasivo nella vita dei cittadini ed incontra enormi difficoltà nel riformarsi, dall’altro si è molto indebolito a favore di una stratificazione di poteri e istituzioni che rende al cittadino difficile la comprensione su chi prenda effettivamente le decisioni e su chi sia responsabile di cosa.
MS Allora una domanda sorge spontanea. Quale sarebbe oggi la funzione dello Stato? Visto che come dici tu si è svuotato di quelli che erano i suoi compiti storici, cosa gli resta da fare? Come può continuare ad esistere nel modo in cui è esistito fino ad ora? Mi viene da dire che la risposta sia la più semplice e diretta: non può più avere lo stesso peso che aveva prima. E non perché questa decisione viene calata dall’alto, ma semplicemente perché lo Stato mi sembra avere perso gran parte delle funzioni sostanziali. Si è capito che la maggior parte dei suoi compiti possono essere svolti in modo ben più efficace e puntuale da strutture che possono essere affidate ai privati. Ma qui il problema non è nemmeno quello di privato e pubblico perché questa è una distinzione che tende essa stessa a perdere di significato. Sarebbe più corretto parlare di presa di responsabilità dei cittadini.
LC Questo spunto richiede parecchie riflessioni. Partiamo dagli insegnamenti della crisi, quali economie hanno retto meglio? Tendenzialmente sono due le caratteristiche degli Stati che hanno resistito meglio: quelli con istituzioni inclusive e quelli con un apparato pubblico non clientelare. Per istituzioni inclusive, riprendendo l’intuizione di Daron Acemoglu e James Robinson in Perchè le nazioni falliscono, s’intendono tutela e valorizzazione di proprietà privata, concorrenza, libertà contrattuale e d’impresa, certezza del diritto, livelli bassi di burocrazia. A questo si somma la seconda caratteristica ovvero un utilizzo della spesa pubblica non indirizzato a formare o difendere rendite di posizioni pure. Faccio un esempio: Svezia e Grecia hanno livelli percentuali simili di spesa pubblica, cioè molto alti, ma l’una è un esempio di efficienza seppur con una tassazione molto elevata, l’altra è un disastro burocratico, con inefficienza e servizi di pessima qualità. Come sottolineavi tu, non è nemmeno tanto una questione di divisione tra pubblico e privato ma come, in questo e quell’altro, viene fatta valere la responsabilità personale. Questa è naturale nel mercato libero, ma deve essere indotta a livello pubblico per garantire efficienza, reggere la competizione con il privato, soddisfare le aspettative dei cittadini. Le società con poca cultura della responsabilità individuale sono un disastro: spesa pubblica senza regola, scarsa efficienza, inferno burocratico e fiscale. L’effettività e l’efficacia di governi e amministrazioni sono diventati un fattore cruciale di successo. Questo si collega a ciò che hai chiamato le “funzioni originarie dello Stato”, in realtà ben prima del welfare consensus che si è sviluppato dagli anni ’40, le funzioni dello Stato erano molto più simili a quelle di un arbitro che di giocatore: protettore del cittadino, garante dei diritti, regolatore della concorrenza. Forse è quel concetto che dovremmo riprendere adattandolo all’epoca che viviamo.
MS Proprio alla luce di quello che dici, mi sembra che siano due gli aspetti principali su cui si concentra il governo dello Stato, e sono due aspetti che tra loro si parlano: la tassazione e i diritti. Si spaccia la convinzione che le tasse debbano restare alte perché è il solo modo per garantire una teoricamente benefica e necessaria redistribuzione del reddito. Dietro a questa menzogna, che tradizionalmente colpisce le persone con basso reddito e che certo non hanno la possibilità di spostare chissà dove i loro capitali, si cela la volontà dei governi di conservare intatto il potere dello Stato che amministrano e quindi il loro stesso potere. Il welfare, in fin dei conti, è l’ultimo baluardo a cui gli Stati rimangono attaccati per preservare la loro stessa esistenza. L’ultimo modo che hanno per mostrarsi buoni e, soprattutto, indispensabili. Ma il welfare centralizzato e gestito dallo Stato cos’è se non un cortocircuito tra tassazione e presunti diritti? Diritti che poi, in questo caso, non sarebbero altro che ciò che i governi decidono essere giusto per i cittadini. Come se esistesse una ricetta univoca e buona per tutti. La presa di responsabilità individuale, l’idea di non dover trovare scuse o di non cercare riparo sotto la grande sottana dello Stato, mi sembra il punto cardinale. E la responsabilità individuale può partire solo ed esclusivamente da un rapporto più integro con la realtà e con la politica. Bisogna superare quel rapporto superstizioso, di cui parlavo l’altra volta, con il complesso e a volte spaventoso mondo contemporaneo. Altrimenti si rischia, inevitabilmente, di risprofondare nel ventre di uno Stato-padre che non riesce più, in alcun modo, ad esercitare quella funzione di tutela assoluta che troppo spesso è stata perseguita.
LC Non solo va superato quel rapporto superstizioso per cui lo Stato debba provvedere a tutto, ma è opportuno portare il mercato nello Stato. Questo significa cedere alcune attività amministrate dallo Stato ai cittadini, cioè ad attività d’impresa in concorrenza. Dall’altro significa mettere in competizione i corpi amministrativi tra loro e con i privati. Bisogna non solo ridurre l’influenza dello Stato, e della politica, nella vita dei cittadini ma reinventarsi il modo con cui il pubblico opera e si relaziona con il privato. Questo significa responsabilizzare non solo tramite il concetto di responsabilità individuale ma anche attraverso infusioni di mercato nell’attività amministrativa. Così si può creare il ponte per superare il dirittismo, ma ne parliamo la prossima volta.
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