Filosofia

#Ventuno_II: La tirannide del linguaggio buonista

30 Novembre 2014

Michele Silenzi Oggi pensavamo di fare due chiacchiere sulle chiacchiere. Sul certificato di bontà con cui, ormai, ogni cosa che diciamo deve essere bollata. Il conformismo del linguaggio rende muto il linguaggio, svuota le parole di significato e rende anche più stupidi perchè se non si articolano più pensieri complessi e originali, anche se non necessariamente giusti, si smette anche di pensare in modo diverso dagli altri creando quello che poi diventa il conformismo par excellence: il pensiero unico. La preoccupazione di ferire gli altri con le cose che diciamo ha portato a prosciugare il linguaggio di significati, lo ha portato ad essere puro segno grafico svuotato di qualsiasi contenuto sostanziale.

Lorenzo Castellani Il problema del linguaggio è evidente nelle società pervase dai media: quando tutti parlano molto, in realtà pochi pensano. Siamo bombardati da messaggi, slogan, informazioni, hashtag e le parole si colorano del pensiero della maggioranza che permea organi di informazioni e luoghi di socializzazione. Usiamo un linguaggio che crea delle discriminazioni al contrario: chi non usa i vocaboli scelti dalla maggioranza viene considerato pericoloso, da isolare e punire. Quello del ventunesimo secolo è un linguaggio pedagogico e ortopedico teso a rieducare chi esprime concetti minoritari.

MS Il problema dei media è enorme ma ci torno dopo. Il linguaggio pedagogico/ortopedico di cui dici si pone per sua stessa natura di correggere il legno storto dell’umanità eliminando intere categorie di parole così da non dire ciò che, secondo il pensiero unico, non andrebbe detto. Una specie di perenne mamma anni ’50 che ti dice la mitica frase “adesso ti lavo la bocca con il sapone”. Ed è quello che viene costantemente fatto. Un potere repressivo ma buonissimo che si dipana in questo modo, attraverso queste sottigliezze, assume tutte le caratteristiche di quel “potere mite” e temibilissimo di cui parlava Tocqueville. Un potere che entra direttamente nelle coscienze degli individui e le svuota dall’interno. In nome della diversità si tende a rendere tutti uguali: in particolare nel modo in cui si parla e quindi nel modo in cui si pensa. Altro che Moloch della finanza e Bilderberg. È dagli educatori che dobbiamo guardarci! È lì il pericolo vero.

LC È ciò a cui ci condanna la superficialità del discorso presente. Bastano due esempi: da un lato la necessarietà di “creare un linguaggio” in politica, nell’arte, nella letteratura, mai è stato tanto forte questo bisogno di differenziarsi. Questo perché un linguaggio solo, conforme, unico, onnipresente non soddisfa più le esigenze profonde. Dall’altra la meccanica delle parole, ripetute migliaia di volte al giorno: crescita, austerità, giustizia sociale. Ogni giorno, da tutte fonti del linguaggio. È il disco rotto della contemporaneità che nasconde la vita vera che c’è sotto: storie, individui, imprese, relazioni tra stati, comunità, famiglie. Dietro alle parole del quotidiano si nascondono cambiamenti e sfide immense. Ma come usciamo dallo stagno di questo linguaggio?

MS Mi sembra sia possibile farlo solo attraverso una presa di responsabilità individuale. Rendendosi conto degli episodi repressivi da cui si è circondati, di cui viene fatto bersaglio istantaneo chiunque, anche casualmente, inciampi sulle regole del politicamente correttissimo. E in questo caso non si può non citare come esempio il fisico responsabile del progetto Rosetta che un paio di settimane fa si è trionfalmente presentato davanti alle telecamere con la camicia disegnata con procacissime donne fumetto. Immediata levata di scudi, orrore. La meraviglia per quella formidabile impresa tecnologica di tutto il genere umano è stata istantaneamente oscurata dall’orgoglio femminista oltraggiato da quella camicia. Accuse di sessismo da tutte le parti. Il rumore di queste idiozie linguistiche soffoca ogni possibile pensiero. La volontà individuale di liberarsi da questa tirannia linguistica mi sembra l’unica strada. Dire quello che ci pare e godercelo mentre lo diciamo.

LC Per non parlare delle varie misure legislative figlie della tirannia del buon linguaggio come le norme sull’omofobia o il femminicidio. Viviamo un corto circuito tra linguaggio, pensiero e realtà che produce una continua ricerca della crisi, dell’emergenza. Le donne, gli omosessuali, il razzismo. Un allarme continuo a colpi di neologismi quando invece gli anticorpi contro questi episodi dovrebbero risiedere negli individui, nelle famiglie, nella società senza moltiplicare i vocaboli ed incardinarli in una pandetta. Hai ragione, abbiamo bisogno di una risposta individuale figlia di John Stuart Mill, Locke e Tocqueville più che di Bentham e della pretesa di risolvere tutto con programmazione, leggi e nuove parole. Il rimedio è la diffusione del pluralismo e della tolleranza, contro la dittatura dei buoni sentimenti imposta dal meccanismo della maggioranza e dell’uniformità. Il linguaggio più semplice, profondo e diretto è anche il più libero. Lo stesso vale per le menti umane. Come sempre, è tutto nelle mani degli individui.

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