Filosofia

Umorismo yiddish e argomentazione

10 Gennaio 2015

Il ridicolo può essere considerato una forma specifica dell’argomento ad hominem. L’analisi di alcune barzellette yiddish che ridicolizzano i nazisti può permetterci di vedere l’umorismo come uno specifico strumento di resistenza mirante a sminuire l’autorità e, quindi, qualsiasi argomento basato sulla paura, delle due forme dell’argomento d’autorità, quella basata sulla gerarchia e quella basata sulla competenza, è la prima che viene messa in ridicolo (la seconda essendo scartata in partenza). Tanto più alta l’autorità, tanto più efficace la barzelletta.

 Si racconta dunque che una volta il direttore delle poste del Terzo Reich fosse stato preso dall’angoscia, nel momento in cui aveva dovuto annunciare al ministro della Propaganda (un certo Goebbels) che tutta la nuova serie di francobolli con l’effige del “Führer” doveva essere ritirata dalla circolazione. Si racconta anche che Goebbels avesse replicato chiedendo di individuare il problema con maggiore precisione. Alla spiegazione fornita dal direttore delle poste, secondo il quale i francobolli non si incollavano, Goebbels avrebbe ipotizzato, secondo quanto si riferisce, un difetto nella colla utilizzata, ordinando imperiosamente di cambiarla. Inutile, avrebbe infine replicato, dopo un penoso silenzio, il direttore delle poste, aggiungendo il vero motivo del malfunzionamento: la gente insisteva a sputare dal lato sbagliato.

 Il ruolo svolto dall’umorismo nel campo dell’argomentazione non si limita a questo. Una battuta può spiazzare, provocare un riso amaro, esemplificando così un’ulteriore, importante, funzione: far vedere l’assurdità di certe posizioni, aprendo così una diversa prospettiva di pensiero.

La sapete quella del nazista che incontra un anziano ebreo durante gli ultimi anni della compianta Repubblica di Weimar? Sembra che si sia messo a urlare, asserendo che il mondo stesse andando in rovina, che il lavoro fosse scomparso, che l’inflazione fosse alle stelle, che non nascessero più figli e che fosse tutto colpa… be’, sosteneva che fosse colpa degli ebrei, sapete com’erano i nazisti, no? Ma forse non sapete cosa si dice abbia replicato il vecchio: “Sì, è vero, è colpa degli ebrei, e dei fabbricanti di biciclette”. Sembra che il nazista, spiazzato, abbia chiesto: “Perché dei ciclisti?” e che il vecchio abbia a sua volta chiesto: “Perché degli ebrei?”

 Ecco infine un motto di spirito che ha come obiettivo quello di richiamare alla realtà coloro che, sulla scia dei “Protocolli dei cento savi di Sion” credono in un complotto ebraico per il dominio del mondo o in una “lobby ebraica” che si intrometterebbe nei governi degli Stati più potenti (può darsi che non ci faccia ridere, se non provocando in noi contemporaneamente anche un pirandelliano “sentimento del contrario”):

Due amici ebrei, dopo una lunga e bella passeggiata nel parco di Vienna, si siedono su una panchina e tirano fuori dalla tasca un giornale per riposarsi leggendo un po’. Uno dei due ha un quotidiano yiddish, l’altro l’organo ufficiale del partito nazista. Il primo ebreo è sbigottito: Ma come puoi leggere un giornale simile? Sei impazzito? Calma, replica il secondo. Anch’io leggo i nostri giornali, ma quando lo faccio soffro come un cane: pogrom in Cecoslovacchia, persecuzioni in Ungheria, leggi razziali in Italia, odi razziali in Polonia, attacchi in Palestina, spedizioni punitive in Romania… Non ne posso più. Almeno su questo giornale c’è scritto che gli ebrei governano il mondo, che dirigono grandi fabbriche, che hanno in pugno la finanza e che influenzano le decisioni economiche degli Stati più potenti. Mi sento così bene, quando lo leggo!

 Per concludere, riportiamo anche un caso di tu quoque o ritorsione (questa barzelletta può essere utile se la si associa a un argomento per analogia).

 Due amici, un rabbino e un prete cattolico, discutono amabilmente, dopo una giornata faticosa passata in un simposio sul dialogo interreligioso. Il prete domanda: «Senti, David, siamo amici da tanto tempo e oggi abbiamo condiviso una meravigliosa esperienza, tanto che mi sono deciso a farti una domanda che mi tengo dentro da tanto tempo. Ecco… ma tu… il maiale… no eh? Mai neanche una fettina di prosciutto San Daniele?» «Lascia stare, Benedetto» gli risponde il rabbino. «Scusami, non volevo importunarti, ma vorrei sapere se, prima di rinunciare a qualcosa, hai almeno scoperto che cosa ti perdi». «E va bene, proprio perché oggi abbiamo passato questa meravigliosa giornata voglio essere sincero fino in fondo, amico mio. Ebbene sì. Una volta ho assaggiato il prosciutto crudo, tanti anni fa. Me ne sono mangiato un chilo intero», risponde il rabbino. E il prete: «Buono, eh?». «Macché buono! De-li-zio-so! Semplicemente sublime. Ma… senti… visto che oggi è il giorno della sincerità e del dialogo… posso farti anch’io una domanda un po’, come dire, un po’ indiscreta?». «Certo, domanda pure». «Io so che voi preti cattolici dovete restare celibi ma… non ti è mai successo, almeno in gioventù, di conoscere carnalmente una donna?». «Ma David! Che domande mi fai?». «Non ti offendere, caro Benedetto, era solo per restare in quest’atmosfera di dialogo interreligioso e confidenze. Se non te la senti di rispondere lascia stare». «Hai ragione» dice il prete «allora ti risponderò. In effetti quando ero appena diventato parroco, a poco più di vent’anni – sai, ero uno studente modello – una giovane donna, in lacrime, venne a confessarsi da me. Era giovane, bella, procace, anche non del tutto innocentemente vestita…. anzi, era piuttosto discinta… di vestiti ne indossava proprio pochi… ecco …. io cercai di consolarla e le mie mani iniziarono ad accarezzarle i capelli, il viso…. e anche altro… lei allora appoggiò il suo capo sul mio petto e in quel momento sentì il mio cuore impazzito, il mio respiro che si faceva più veloce e… sollevò le sue labbra verso le mie… le sue mani corsero curiose sul mio corpo, togliendomi il talare, mentre le mie le sfilavano quei succintissimi abiti che indossava e… ». Dopo aver detto questo, improvvisamente, il prete tacque, contrito e rosso dalla vergogna e dalla rabbia di essersi lasciato andare, di aver provato ancora lo stesso sentimento di allora, e di averne manifestati segni esteriori inequivocabili. Il rabbino tacque per qualche minuto, aspettando che l’amico si riprendesse, poi, cauto, disse: «Senti, Benedetto, posso farti ancora una domanda?». Il prete, visibilmente contrariato, fece cenno di sì. E il rabbino, con un sorriso innocente e al tempo stesso con uno sguardo complice: «Era meglio del prosciutto, vero?».

 E con questo abbiamo concluso. L’argomento del ridicolo può essere agevolmente aggirato, come tutti gli argomenti ad hominem o ad personam, sostenendone l’irrilevanza, oppure con un controargomento dello stesso tipo, ma in genere è proprio utilizzato come replica. Quando invece la sua funzione prevalente non è quella di sminuire l’avversario ma quella di aprire la mente, non c’è replica, se non quella che consiste nel rifiutarsi di pensare. Se non l’avevamo ancora capito, ora ci è chiaro perché i dittatori in genere, o coloro che aspirano a diventarlo, tanto temono la satira e il riso.

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