Filosofia
Sugli instant-Covid-philosophical-books e lo Smartschooling
Ieri in classe, spiegando Hegel
(La nottola di Minerva) e accennando al fatto che solo alla fine di un processo storico si può comprendere razionalmente quello che è successo, mi sono udito dire: «Guardatevi dai filosofi del Covid, sono dei ciarlatani»! In realtà lo penso davvero: solo quando ciò sarà finito, si potrà scriverne o filosofare. E questo con buona pace di Badiou, Agamben, Finkellkraut, Zizek, ecc.
Ecco, piuttosto credo sia da leggersi un libro, scritto in tempi non sospetti, ovvero questo:
Chiosa 1:
E se la realtà non fosse razionale? Se l’alea fosse molto più importante? Da adolescente scelsi di fare filosofia dopo aver letto – in totale solitudine – un libro di Severino sulla storia della filosofia antica. Decisi allora di studiare filosofia perché pensavo che quando sarei diventato grande, almeno, avrei capito il senso della vita. Beh, ecco ora sono grande: e penso che il senso non stia né nella ricapitolazione pensante, né nella protensione anticipante, né nella rammemorazione melanconica del tempo che fu). Ma… mi verrebbe in mente una battuta tratta da Zelig di Woody Allen («Sul letto di morte, Morris Zelig dice al figlio Leonard (il protagonista) che la vita è un incubo di dolore senza nessun senso, e l’unico consiglio che gli lascia è: conservare bottiglie vuote»). Ma seriamente, penso a Rilke, la Nona Duinese.
«E queste cose che vivon di
morire,
lo sanno che tu le celebri; passano
ma ci credono capaci di salvarle, noi che passiamo più
di tutto.
Vogliono essere trasmutate, entro il nostro invisibile
cuore
in – oh Infinito – in noi! Qualsia quel che siamo alla
fine.
Terra, non è questo quel che tu vuoi, invisibile
risorgere in noi? – Non è questo il tuo sogno,
d’essere una volta invisibile? – Terra! invisibile!
Che è mai, se non trasmutamento quello che sì
pressante ci commetti?
Terra, tu cara, accetto».Amen!
Chiosa 2
A scuola alcuni colleghi sono preoccupati che con l’occasione del Covid-19 siano inseriti protocolli di insegnamento digitale ( per ora solo integrativi e non sostitutivi ) che rimarranno permanenti , a modificare la “forma di vita” Scuola come è stata finora concepita e vissuta ( spazio reale , classe di ragazzi in corpi fisici, comunità di vita e apprendimento giocata sulla presenza). Credo che sia inevitabilmente così, e certo un po’ dispiace anche a me (oltre ad essere stressante perché non ci siamo abituati ), ma non so se sia un male quoad se. In ogni caso è inevitabile, già ora ad esempio molte riunioni si fanno in digitale , e anche queste appartengono alla scuola. Più in generale, molte relazioni sono ormai mediate dall’uso di strumenti tecnici che rendono “ obsoleta “ la presenza prossimale (anche il telefono dei primi del Novecento ebbe questo effetto). La comfort zone dell’uso domestico dei dispositivi digitali prenderà via via piede e lentamente diventerà normalità.Viviamo questa transizione . ma vorrei notare che fino a venticinque anni fa nessuno di noi girava con uno smartphone in tasca . Oggi sarebbe inconcepibile. Certe lamentele sembrano analoghe a quelle del passaggio dall’oralità alla scrittura del VI-V sec A.C, in Grecia. Notare che a sostenere il mantenimento dell’oralità erano le classi aristocratiche, mentre quelle democratiche e commerciali erano ovviamente più legate alla scrittura. vedremo …
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