Filosofia
Squarci di luce nei “secoli bui”. La lezione del pensiero politico medievale
Non passa giorno senza che qualcosa di “medievale” si annidi nelle pagine dei giornali o nei social networks: “medievali” sono gli haters di Fedez, “medievale” è il decreto sicurezza, dal Medioevo arrivano anche i sicari di Khashoggi, come ammoniva un articolo uscito su La Repubblica qualche settimana fa. Di recente ho anche scoperto che in Italia “c’è chi ha la mente chiusa ed è rimasto indietro, come al Medioevo”.
Benissimo, non credo che Fedez, Ghali, e nemmeno il giornalista Bernardo Valli ce l’abbiano con il periodo storico che si estende convenzionalmente dal 476 al 1500 o giù di lì. Dire che una cosa è “medievale” ha più un valore catartico, ossia si prende qualcosa di particolarmente scomodo e lo si butta in una sorta di buco nero in cui dimorano le cose peggiori, spesso purtroppo per non volerci fare i conti. Il Medioevo ha una funzione letteraria analoga a quella svolta da “in bocca al lupo”: nessuno infatti augura a un amico o a un conoscente di finire nelle fauci dell’animale. E in effetti qualche simpatico studioso d’oltremanica ha recentemente dichiarato di voler lottare per l’abolizione di questo augurio irrispettoso nei confronti della bestiola.
Nessuno, al contrario, ha mai proposto una petizione per lasciare in pace il Medioevo. D’altra parte, gli addetti ai lavori sanno perfettamente che il Medioevo non esiste: è una categoria storiografica inventata da chi aveva bisogno – esattamente come oggi – di creare un mondo malvagio, causa di tutti i mali. Dunque qualche strega o qualche rogo ci sarà pur stato (in mille anni di certo la statistica non aiuta), ma non così frequenti come in epoca moderna. Il Medioevo, poi, dovrebbe essere lasciato in pace anche da chi, viceversa, lo considera un’età dell’oro. Anche in questo caso qualche dato statistico sulla mortalità infantile o sulla speranza di vita ci fa guardare con maggior accondiscendenza tutti i comforts, anche inutili, di cui godiamo quotidianamente. Insomma si può continuare a parlare del Medioevo a patto che si abbia la consapevolezza che non si sta facendo riferimento a nulla o, nel migliore (o peggiore) dei casi, che si sta ammiccando a una battaglia storiografia (Medioevo, buono o cattivo?) che in accademia è passata di moda da almeno vent’anni. Certo l’opinione comune e anche la scuola (ma non è sempre colpa della scuola, perché l’accademia dimentica spesso di parlare con la scuola) non si è aggiornata e forse non ne sentirà mai il bisogno: avere un “Medioevo” a cui dare le colpe può essere sempre utile.
Bisogna dunque tacere sull’argomento? No, non necessariamente. Si può provare a leggere qualcosa di bello e interessante a proposito di questi “secoli bui”. Il recente libro di Gianluca Briguglia è senz’altro un buon punto di partenza. Il pensiero politico medievale, pubblicato in queste settimane da Einaudi, presenta alcuni ritratti di pensatori vissuti tra il XII e il XV secolo, mostrando al lettore quanto alcune analisi politiche dell’epoca fossero estremamente raffinate e dunque tutt’altro che “medievali”. Si scopre per esempio che nel 1159 Giovanni di Salisbury indicava nella vanità il principale problema delle corti. Nessuno aveva accesso a Twitter eppure pare che gli uomini che gravitavano attorno al potere si nutrissero di sciocchezze (nugatores) (p. 17). Quasi un secolo dopo, intorno agli anni ’40 del Duecento, Brunetto Latini, che generalmente conosciamo solo per la sua tragica collocazione nell’Inferno dantesco, si impegna nella lettura e nella traduzione in volgare di alcuni testi di etica di tradizione classica, studia Cicerone e, pur sfortunato nelle sue vicissitudini politiche, non smette mai di sottolineare come “la costituzione politica passa anche attraverso la morale individuale e i rapporti tra le persone”, o ancora come “la giustizia, la liberalità, l’amicizia, la magnificenza e tutte le altre virtù sono davvero pietre preziose da ammassare per renderle tesori di convivenza ordinata” (p. 45). Passano gli anni e tra la fine del XIII e l’inizio del XIV secolo, ignoti (al grande pubblico) teologi come Erveo di Nedellec, Giovanni di Parigi ed Egidio Romano ingaggiano dispute di politica ecclesiologica che, a confronto, quelle attuali appaiono più come questioni condominiali.
Insomma il libro di Briguglia è tutto da leggere. Non è uno studio per addetti ai lavori, o meglio può anche esserlo, ma presentando diversi piani di lettura, diventa un contributo utile per tutti.
Un altro saggio filosofico, in libreria da qualche giorno, invita la filosofia a riappropriarsi della sua vocazione politica. Parole sante. Perché non iniziare a farlo attingendo a risorse lontane? Forse è un’utopia, ma otterremmo due risultati interessanti: scopriremmo che la politica scaturisce da una riflessione teorica (considerazione ovvia, ma non tanto) e magari ci troveremmo costretti a riconoscere che in fondo il vero “Medioevo”, causa di tutti i mali, siamo noi.
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