Filosofia

Simone Weil, l’Ebraismo e la Chiesa

24 Giugno 2021

Per il giudaismo ortodosso chi nasce da madre ebrea è ebreo, e anche se si converte rimane tale. Se invece è un non ebreo e si converte (ma la cosa è lunga e difficile), entra nel popolo d’Israele per sempre. Ad esempio, Lorenzo Milani Comparetti, conosciuto come Don Milani, che fu battezzato dai genitori appena nato (lui ne parlava come “battesimo fascista”) a causa delle leggi razziali (essi stessi si battezzarono), rimase ebreo, anche se poi si convertì “davvero” e si fece prete, per molti cattolici una specie di santo.
Ora il problema si pone anche per Simone Weil, sarebbe ebrea anche se si fosse “convertita formalmente ” al cristianesimo. E però qui il problema è spinoso, perché la filosofa espresse posizioni antigiudaiche (teologicamente e filosoficamente, ovviamente). Allora ella viene tacciata d’essere una antisemita tout court, di più una “ebrea che odia se stessa”.

In Lettera a un religioso (Adelphi 2018 [13a]), e anche soprattutto nei Cahiers (Quaderni, I-IV, Adelphi), eccepisce molti stereotipi tipicamente antigiudaici contro Israele  – che lei riduce a quanto ne legge nella traduzione cristiana in suo possesso della Bibbia. Figlia di una famiglia ebraica, ma agnostica e integrata, non ebbe nessuna formazione religiosa istituzionale, ma dopo un percorso di travaglio interiore e un lungo studio filosofico, alternato a generose – e a tratti autolesionistiche – pratiche militanti (fu operaia, partecipò alla Guerra civile spagnola, aiutò molti  – anche perseguitati, durante la guerra etc) in Lettera a un religioso, si proclama cristiana («Io credo in Dio, nella Trinità, nell’Incarnazione, nella Redenzione, negli insegnamenti dell’Evangelo (ivi p. 91) (…) ma non riconosco alla Chiesa alcun diritto di limitare le operazioni dell’intelligenza o le illuminazioni dell’amore nell’ambito del pensiero (…) “per tal motivo e per molti altri analoghi fino ad ora non ho mai rivolto a un prete a domanda formale del battesimo”, “gli anathemata sit non sono altro che storia, non hanno valore attuale ) (vi, p. 94). Per lei la Chiesa che emetta un “anathemata sit” è un totalitarismo spirituale (e anche politico). Per queste e altre ragioni S. Weil stigmatizza anche l’ebraismo, di cui ignora tutta la tradizione talmudica, e che legge solo come espressione dell’Antico (sic) Testamento. In una lettera al ministro dell’Istruzione della Francia di Vichy repubblica di Vichy, si proclama aliena dall’ebraismo, e riconosce che la sua formazione è avvenuta nella tradizione cristiana, ellenica e culturale francese. E  (cosa grave, questa sì antisemita) proporrà ad un organizzazione di resistenza civile militare (OCM), una una completa integrazione  degli ebrei, (conversione forzata?) per riconoscerli solo come cittadini e non come nazione (ma questo è un punto che in Francia è presente sin dall’Assemblea nazionale del 1789, si pensi all’affermazione del conte Clermond-Tonerre nel discorso tenuto il 23 dicembre 1789 all’Assemblea Nazionale Francese: “Tutto deve essere rifiutato agli ebrei in quanto nazione; tutto deve .essere concesso come cittadini”»). Dunque, anche se non vuole battezzarsi formalmente (ma i teologi parlerebbero di “battesimo di desiderio”) S. Weil si autodichiara credente cattolica, una cattolica modernista : «la chiesa cristiana, senza il pericolo della tirannia della fede sugli spiriti, potrebbe essere collocata al centro di tutta la vita profana e di ciascuna delle sue attività, e impregnare tutto, assolutamente tutto, con la sua luce»- ivi p 95). Poi di fatto, ma questo è un problema filosofico a molti – me compreso – sembra molto più catara, ma questo è un dettaglio, per il discorso che sto facendo.
Dire, come fanno molti studiosi, che S. Weil è antisemita, è “un ebrea che odia sé stessa”, paragona l’ebraismo a Maurras, e perfino a Hitler, etc. (purtroppo tale affermazione è presente nei Cahiers, che ricordiamo, erano appunti privati) mette in risalto solo un corno del problema. L’altro, e cioè le cose analoghe che dice sulla Chiesa -Istituzione, non è nemmeno lambìto. Emmanuel Levinas e la sua allieva Catherine Chalier, ribadiscono questo concetto di antisemitismo implicito, di odio di sé. Ma almeno Levinas riconosce che Weil è diventata “loro” (cioè non è più ebrea), mentre Chalier, nel suo peraltro bel libro Il desiderio di conversione (Giuntina 2015), ne fa una analisi più psicologica, ma alla fine è altrettanto decisa nel proclamarla implicitamente un’ ebrea che odia sé stessa, anche per motivi psicobiografici (annulla l’io autobiografico, vorrebbe  annegarsi del nulla mistico, implicitamente aderendo a posizioni tipiche dell’Advaita,  ed ecco perché si rifiuterebbe al battesimo, in qualche modo riconoscimento di un sé come nome-e-cognome etc).


Ecco, io ho trovato un bel saggio di Cristina Basili dell’università di Madrid, che fa il punto su questo tema, incentrandolo sulla critica della Weil al totalitarismo religioso e politico, al potere in genere; Testo che merita di essere letto, se vogliamo restare a un livello alto di dibattito intellettuale e non vogliamo limitarci ad accuse binaristiche “noi vs loro” ebrea? cristiana? catara?, gnostica? O a usare stereotipi (molto famosi sono quelli cristiani avverso gli ebrei, meno quelli ebrei avverso i cristiani). E quello che io credo, la mia appartenenza religiosa o meno, etc. , in questo contesto non è un argomento. Così come non deve essere un argomento la simpatia o antipatia personale per una persona – Simone Weil- di cui si pretende anche di discernere i segreti moti della sua psiche travasati nei testi intimi, anche quando, come fa Levinas, ne parla come di «santa e geniale» (per poi dire, più o meno, che però non capiva niente di Talmud, porèta, ma questo non era colpa sua; e per fortuna Levinas era un genio e non usa argomenti misogini).
Bisogna rispettare ogni individualità, anche quando non rientra negli schemi generali e universali di una religione istituzionale. Ma la filosofia vera non è mai stata a suo agio con le religioni istituzionali. E con le ideologie identitarie, a maggior ragione.

Ps. Si veda, ad esempio, l’odio verso una filosofa attuale molto famosa, come Judit Butler – anche lei ebrea di nascita e allevata culturalmente da un rabbino conservative –  accusata dal mondo clericale e conservatore e dal giornalismo becero, né più né meno di essere una strega.

 

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