Filosofia
Siamo come la Cina
L’esempio della vicenda, gravissima, delle morti nascoste al Pio Albergo Trivulzio di Milano ci apre le porte per una riflessione più ampia, cercando di unire vari spunti che questo periodo drammatico ci offre. Abbiamo accusato la Cina di aver favorito il diffondersi del virus arrestando i dottori e cercando di sminuire la gravità della sua situazione. Ora le morti nascoste le abbiamo noi. I dati confusi, i consigli sulle mascherine incoerenti, i test prodotti a Brescia ma poi spediti negli USA. A due settimane dalla riapertura delle industrie ancora si è incerti sulla linea da tenere. Ma non sono solamente la voluta incertezza comunicativa o i morti celati a farci rassomigliare a quella che è una delle più potenti dittature del pianeta.
Una situazione lontana dal nostro immaginario di individui psicologicamente liberi nelle proprie scelte e azioni si è creata da un giorno all’altro. All’improvviso ci troviamo prigionieri in un mondo orwelliano con dirette televisive in cui elicotteri inseguono dei poveri malcapitati; automobili con megafoni che intimano la clausura; droni pronti a sorvegliarci; app per il tracciamento; posti di blocco e polizia ad ogni angolo a cui siamo obbligati a giustificare ogni minimo spostamento come nell’Italia occupata. Un popolo bambino che il giorno prima giocava libero sulle altalene e ora invece si trova sorvegliato in ogni minimo spostamento da una Mary Poppins più inquietante del solito. Quant’è stato facile passare da una situazione all’altra? Quanto è stato semplice trasformarci in occhi pronti a scrutare i vicini come ladri, a monitorare ogni passo per la strada con sospetto? Non sono solo le macchine statali a controllarci, ma noi stessi siamo diventati tutti delatori e sbirri in un attimo. Eppure ci sentivamo così liberi.
Forse così liberi e così diversi dalla Cina non siamo dopotutto. Partiamo con ordine dall’aspetto psicologico. Il cittadino cinese, per farla breve, si sente parte di un tutto, ha una visione olistica della sua società in cui il dittatore Xi Jinping è lì grazie a lui cittadino, e lui è lì per merito del dittatore. Ogni cosa è in equilibrio ed è per questo che per noi è così difficile comprendere la possibilità di accettare la dittatura cinese: il cinese non crede sia una dittatura. Questo però accade anche noi. Se è stato possibile privare la nostra libertà in un momento, modificando proprio il controllo delle singole persone e tra le singole persone, ciò significa che così liberi non siamo sia dal punto di vista istituzionale che da quello individuale. Innanzitutto è più corretta il modo di vedere all’orientale, anti-atomistico e non individualista, proprio perché la nostra coscienza è stata riprogrammata nel suo complesso verso un’ottica del controllo l’uno sull’altro, ciò dimostra che siamo parte di una coscienza comune e non tante singolarità indipendenti.
Senza inoltrarci in tematiche metafisiche, il controllo reciproco agisce attraverso quello che Michel Foucault chiamava biopotere. Una serie di dispostivi di controllo che non sono solo fisici, ma fanno parte di un’ideologia permeata in noi. L’apparato di repressione e controllo è parte integrante dell’istituzione statuale e parte integrante della nostra educazione. Nessun popolano dei secoli addietro avrebbe mai esultato nel vedere tanti poliziotti in giro: il poliziotto non era una figura positiva, perché era il simbolo giustamente e più correttamente riconosciuto del monopolio della violenza dello stato, dell’obbedienza al re, al dittatore, del dominio di uomini su uomini, come dice Weber. Il poliziotto è discendente, in senso lato, dei bravi di Don Rodrigo.
È vero che questa restrizione della libertà individuale, il lockdown come è chiamato perché anche nella nostra comunicazione non bisogna essere chiari, e contenimento forzato non è altrettanto cool, abbia una sua efficacia. Ma ciò che gioca un suo ruolo, più che la clausura nelle proprie abitazioni, è il distanziamento sociale a cui probabilmente dovremo rassegnarci forse per un anno ancora, dopo il 3 maggio. Tutt’altro valore e tutt’altro discorso ha invece quello della chiusura economica, con la cui arbitraria scelta delle imprese necessarie e lo smart working siamo arrivati a bloccare circa il 50% delle attività economiche. Su chi continua a lavorare ovviamente pesa un forte classismo: c’è differenza tra i lavoratori assembrati e forzati a respirare la stessa aria di una fabbrica, o chi può portarsi i compiti a casa. Ma questo è un altro discorso. O forse no.
Perché da una parte abbiamo la salute e dall’altra la ragione economica. Titolava molto male ilPost: dobbiamo scegliere tra salute ed economia? No, dobbiamo scegliere tra la salute e il capitalismo. E in un periodo che sembra stravolgere la percezione comune delle cose è doveroso ricordare che anche l’economia può cambiare. Che poi è lo stesso capitalismo della Cina, benché si dichiari comunista, facendo solo del male alla memoria dei Marx o dei Bakunin. Noi invece facciamo male alle memoria degli ateniesi chiamandoci democrazia. Sebbene la nostra concezione individualistica non ci faccia accettare la somiglianza con l’istituzione dittatoriale cinese, la nostra forma oligarchica, il nostro governo dei pochi che come quello cinese ha la funzione di preservare l’economia capitalista, non è così libero come crediamo. E il rapido passaggio da uno stato di cose all’altro sta qua a dimostrarlo.
Ma tecnicamente l’ideale di libertà della Rivoluzione francese (unica violenza non monopolizzata dallo stato presentata positivamente sui sussidiari) è fallace proprio perché il principio su cui fondiamo la nostra democrazia, l’eleggibilità, la scelta dei nostri governanti è un’ideale aristocratico per Aristotele. Gotico, addirittura collegato alla sottomissione e al vassallaggio, dicevano Montesquieu e Rousseau. Derivante nella sua sostanza a garantire la continuità della ricchezza economica. Democrazia significa che tutti possono essere eletti e infatti gli ateniesi ricorrevano a un complicato sistema di sorteggi e controllo attivo e passivo di selezione. Certo c’era la schiavitù e quindi i 30’000 cittadini erano già la classe ricca. In Francia invece per essere eletti all’assemblea nazionale del 1789 bisognava pagare il “marco d’argento”: 500 giornate lavorative. Non così libero e democratico.
Oligarchia o democrazia realista, delle élite la si chiama oggi, una democrazia descritta da Schumpeter come una cerchia di politici divisi in partiti di cui cambia poco l’uno con l’altro (si guardi al paradigmatico caso americano) e che si contendono gli elettori come le aziende si contengono i clienti. In cui notiamo dinastie o monopoli in maniera del tutto simile alla metafora economica: si vedano i casati Kennedy, Clinton, Bush o le rielezioni continue di Putin e Merkel o Berlusconi. Per i greci la democrazia prevedeva che una volta ricoperta una carica vi si era interdetti per anni o tutta la vita. Nella oligarchia invece c’è anche estrema distanza tra elettori ed eletti, che sostanzialmente sono liberi di comandare nel giorno delle elezioni e poi tornano sudditi per i restanti 5 anni. Anche nelle nostre istituzioni e non solo nella nostra psicologia non siamo così dissimili dai cinesi.
I totalitarismi novecenteschi non sono stati sconfitti con la Seconda guerra mondiale o la guerra fredda, ma si sono integrati nelle oligarchie. Non abbiamo ereditato solo il panottico, il controllo totale, dal Grande Fratello ma anche il bispensiero, il mutare delle parole: contenimento forzato, lockdown; oligarchia, democrazia; essere liberi, produrre e consumare. Ma nel lascito troviamo anche le informazioni date dal governo, vaghe, incoerenti, i dati modificati, le morti nascoste. Tutto per cercare di controllare la nostra psicologia e farci accettare questa prigionia, collegandoci anche al nazionalismo, alla patria sofferente abbracciata da un camice. Quarantena necessaria per carità, ma che espone tutto il classismo e le differenze tra i lavoratori, espone quanto uno stalinismo implicito possa diventare esplicito.
“Le persone possono essere elettori, ma se la rappresentanza è costituita in modo tale da attribuire a una o più delle classi naturali di uomini nella società un ascendente improprio sulle altre, è imperfetta; le prime diventeranno gradualmente padrone, e le ultime schiave[…]. Dire alle persone che sono elettori e che possono scegliere i loro legislatori, se per la natura delle cose non possono scegliere degli uomini fra i propri pari, e che siano come loro, significa ingannarle.” The federal Farmer, Letter VII
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