Filosofia
SENTI DA CHE PULPITO VIENE LA PREDICA! L’USO DEGLI ATTACCHI PERSONALI
Un attacco in cui viene contestata, anziché una posizione, la persona che la difende non rappresenta tout court una violazione delle regole del Galateo. Può infatti essere uno strumento necessario per mettere in discussione l’attendibilità di un esperto, qualora la sua opinione sia considerata decisiva nel corso di una disputa. Gli argomenti detti genericamente ad hominem possono però avere lo scopo di impedire all’interlocutore di sostenere una tesi: in questo caso sono da considerarsi fallaci. Gli attacchi personali, e di gruppo, come quello che in queste settimane si sta aggravando in Germania (vedi il caso Pegida, che è propriamente islamofobo e razzista ma sfrutta la nobile eredità delle manifestazioni del lunedì, che portò alla caduta del regime della Germania orientale) permettono, col passare del tempo, di costruire un’immagine stereotipata e rigida del proprio interlocutore, primo passo per radicare pregiudizi e intraprendere infine azioni efferate, nel più classico caso di escalazione.
A quali forme elementari di attacchi personali possiamo ricondurre l’infinità varietà della fantasia umana?
Tipi ideali
Innanzi tutto, l’attacco personale prevaricante (anche detto argomento ad personam), che consiste nell’impedire all’interlocutore di sostenere la sua tesi, al limite giungendo all’insulto o alla falsità, in genere con uno stile comunicativo emotivamente connotato (Perelman & Olbrechts-Tyteca 1966: 118; 336). Il problema consiste nel fatto che i contendenti in una disputa serrata talvolta sminuiscono il carattere dei loro oppositori, negano loro intelligenza o ragionevolezza e mettono in dubbio la loro integrità; il carattere di un individuo è però logicamente irrilevante rispetto alla verità o falsità di quanto la persona dice, o rispetto alla eventuale correttezza del ragionamento della persona medesima; se, perciò, si sostiene che le asserzioni dell’avversario sono false o inaffidabili perché l’avversario è stato denigrato, si trasferisce la presunta qualità di una persona sulle tesi che questa sostiene.
Così, in tribunale, la diffamazione del testimone ne mette in discussione l’attendibilità, e quindi può modificare l’esito del processo, sebbene dimostrare che il testimone in passato abbia mentito, anche abitualmente, non dimostri che lo stia facendo nel caso in questione.
Un esempio classico dell’uso di questo argomento in politica è la svalutazione delle tesi dell’avversario in quanto questi è preda di un vistoso “conflitto di interessi” (qualsiasi allusione a precedenti presidenti del consiglio non è casuale), o poiché una delle due parti è notoriamente “radicale”, “estremista”, “fascista”. “comunista”, “vecchio” o “giovane” ecc.
Se, insomma, qualcuno vi dimostrerà qualcosa in modo inoppugnabile, e non vorrete rispettare le regole del Galateo, vi basterà dire: questo è il tuo chiodo fisso. Attaccherete insomma il vostro interlocutore per le sue convinzioni, anziché gli argomenti sulla base dei quali le sostiene, spostando così l’attacco dalla persona alle sue opinioni (comunque inaccettabili). In tal modo, evaderete l’onere della prova.
In secondo luogo, l’argomento ad hominem circostanziale consiste nel tentativo di indebolire una tesi facendo riferimento al contesto e alla persona (non competente, interessata, incoerente) che la sostiene; si riferisce alle circostanze nelle quali una persona dice quello che dice. Tuttavia, sebbene le circostanze possano influenzare una persona, non sono una prova della verità o falsità dell’asserzione.
Così, potremmo contestare la legittimità delle leggi che stabiliscono quale debba essere la retribuzione dei parlamentari italiani in quanto sono gli stessi parlamentari a stabilire, senza controparti, a quanto deba ammontare tale “indennità”.
A volte le circostanze vengono usate come argomento sia per convincere un uditorio che è meglio accettare o non accettare una proposta sia per spingere un oppositore, per coerenza con i suoi principi, ad accettare o rifiutare una conclusione sulla base della sua condizione di lavoro, della nazionalità, dell’affiliazione politica: così un uomo di chiesa dovrebbe accettare una proposta per non entrare in contraddizione con le Scritture, così i politici di un partito dovrebbero obbedire in modo disciplinato alle direttive della Segreteria, e i soldati agli ordini dei loro superiori.
In terzo luogo, quando un argomento ad hominem viene utilizzato contro chi l’ha presentato abbiamo la variante della ritorsione, detta tu quoque (letteralmente “anche tu”).
Possiamo illustrarlo tramite una barzelletta circolante nell’Europa dell’Est all’epoca in cui il comunismo non era ancora crollato (e che aveva talvolta come protagonisti due membri del partito o della polizia politica): «-Sai qual è la differenza tra comunismo e capitalismo? -No. -Be’, il capitalismo, come ci insegnano Marx ed Engels, è il dominio dell’uomo sull’uomo. -Sì, questo lo sapevo. E il comunismo? -Il comunismo… è l’esatto contrario…(sguardo d’intesa)».
Per chi non avesse capito l’arguzie facciamo un altro esempio: se lo accusassimo del barbaro massacro di animali inoffensivi, un cacciatore potrebbe ribattere che anche noi mangiamo carne, provocando la macellazione industriale di molti più animali tra ovini, bovini e suini. A questo punto, come potreste dargli torto? Come dite? Siete vegani? Ah, be’ allora… con voi non funziona.
L’argomento della ritorsione è molto utilizzato anche nel campo dell’umorismo, e si estende ai gruppi, oltre che agli individui. La replica, nella variante del tu quoque, sostiene che chi chiede di rispettare una regola è il primo a non applicarla, e si basa su di un utilizzo morale del principio di non contraddizione: bisogna fare una cosa ma non la si fa (a volte, chi è molto abile, fa passare l’argomento ad hominem attraverso termini connotati o ridefinizioni dei termini).
Le circostanze relative all’oppositore non hanno alcun rilievo in un argomento serio, ma il richiamo all’attenzione su di esse può risultare efficace da un punto di vista psicologico per conquistare il consenso (era l’ethos degli antichi oratori), per persuadere altri, al limite, per costruire un pregiudizio.
Tornando sulla distinzione di base tra attacco prevaricante e attacco circostanziale è utile ricordare (con Perelman e Olbrechts-Tyteca) che, sebbene spesso i due tipi di argomento si rinforzino reciprocamente, il secondo fa riferimento a contesti che riguardano l’interlocutore o l’uditorio, mentre solo il primo può essere considerato come un attacco mirante a squalificare la persona stessa. L’argomento ad hominem, cioè, sarebbe a fondamento di ogni argomentazione, perché si discute sempre ex concessis (sulla base di quanto è stato concesso dall’avversario in termini di credenze, valori, fatti).
A volte, infine, l’argomento utilizzato è irrilevante, in quanto anziché affrontare l’avversario reale si crea un avversario ipotetico contro il quale argomentare. L’avversario reale, la sua posizione e i suoi argomenti vengono così aggirati, non citati direttamente (o citati solo in modo parziale, incompleto, volutamente deformato e manipolato), sostituiti da una tesi diversa (più debole o più estrema). La fallacia dell’uomo di paglia (dall’inglese straw man) è un modo per impedire la discussione e vincere senza combattere: risulta essere tanto più convincente quanto meno l’avversario ha la possibilità di replicare. Certo, in questo modo noi non convinceremo mai l’avversario, ma poco importa a chi impiega questa tecnica in modo sistematico, più che di convincere l’avversario si tratterà infatti di ottenere il consenso di un giudice, di un pubblico, di un uditorio (che si presuppone disattento o maldisposto verso il nostro avversario).
Immaginiamo per esempio che un qualsiasi cittadino americano, sulla base di prove fornite al limite dagli stessi militari americani, ritenga di dover criticare l’operato degli Stati Uniti in una delle loro più recenti guerre, per esempio in Iraq (per esempio, l’uso della tortura nel carcere di Abu Grahib). Un avversario che volesse manipolare il dibattitto potrebbe trasformare la posizione, facendo del cittadino americano un “elemento antiamericano”, “filoterrorista”, “amico dei terroristi” o “terrorista lui stesso” (gli amici dei miei nemici sono terroristi). Il problema, naturalmente, è che il cittadino citato potrebbe essere convinto che i terroristi vadano combattuti, ma che gli errori commessi mettano a repentagli la lotta al terrorismo. Ma tutto questo non interessa ai suoi detrattori, perché farne un amico dei terroristi, benché fallace, è una mossa più utile in vista del loro obiettivo: la manipolazione di un pubblico.
Come si replica a un attacco personale? Si può adottare un controattacco (personale) – per esempio, quando in una mensa universitaria (tedesca) in Germania negli anni novanta una studentessa che credevamo si interessasse a noi (poveri illusi) ci chiese se fossimo italiani e, alla nostra risposta affermativa, aggiunse: mafia. Avremmo potuto rispondere con: Sei tedesca? Heil Hitler.
Questa replica è una tecnica di botta e risposta molto diffusa, ma non contribuisce alla risoluzione di una eventuale disputa nel merito. Si può allora replicare insistendo per concentrarsi sulla cosa stessa (con un argomento ad rem), anziché sulla persona. Nel caso in cui le nostre tesi siano state citate fuori contesto, deformate o alterate, si cercherà allora di ripristinare il senso originario delle nostre parole, difendendosi contro i malintesi.
Immaginiamo che esista ancora la pubblicità delle sigarette, e che “Big Tobacco” usi un medico per sostenere che non vi siano prove dell’esistenza di una correlazione tra fumo e tumore. Con un argomento ad ignorantiam in più si potrebbe aggiungere che, allora, il fumo non è nocivo alla salute. L’uso di questo esperto è fallace, perché potrebbe essere stato citato fuori contesto. Dovremmo allora verificare che cosa l’esperto abbia detto, e potrebbe risultare qualcosa di questo tipo: «Sebbene non esistano prove decisive di un legame diretto tra il fumo e il tumore al polmone, esistono invece prove di una correlazione tra il fumo e l’indebolimento delle difese naturali contro l’insorgere del tumore, e quindi, indirettamente, di un legame tra fumo e tumore». L’esperto, insomma, potrebbe aver cercato di spiegare perché e come il fumo provochi il tumore: non direttamente, bensì indirettamente. Ciò significa che lo provoca, solo che la relazione di causalità è più complessa di una semplice relazione diretta.
In definitiva, è sempre possibile inventarsi qualche argomento ad hominem che faccia al caso nostro, ma esso si presenta per lo più quando mancano argomenti ad rem: un attacco all’affidabilità di una persona, alla sua sincerità, coerenza, imparzialità è perciò sempre una mossa che dimostra la propria debolezza. Per distinguere comunque un uso lecito da uno fallace, sarà opportuno fornire alcuni accorgimenti di metodo.
Fallace o accettabile?
Innanzitutto occorrerà prestare attenzione alla forma dell’argomento: se è posto come domanda, e se una replica è possibile e se la risposta eventualmente fornita è rilevante, allora l’argomento stesso può essere ragionevole. Una domanda posta in modo aggressivo, magari tramite la tecnica della domanda complessa, rende difficile la risposta, ma questo non deve necessariamente essere interpretato nel senso che, essendo debole la replica da parte di chi è stato attaccato, allora l’attacco personale è ragionevole. Inoltre bisogna riconoscere i diversi tipi di attacco personale. Un argomento ad hominem circostanziale può non essere irragionevole, mentre un attacco diretto e ad personam è più probabile che lo sia. Studieremo dunque prima i punti critici dell’attacco diretto, in seguito quelli legati all’attacco circostanziale.
È possibile individuare quattro errori nell’uso degli attacchi personali. Alla base si trova il passaggio dal rilievo di una contraddizione circostanziale o di un rischio di imparzialità alla conclusione ingiustificata che, perciò, la tesi dell’interlocutore è falsa. Tale conclusione non permetterebbe replica alcuna. Tale errore è tanto più grave quanto più la conclusione tratta dall’argomento ad hominem è presa come assoluta, e la tesi criticata come definitivamente e completamente confutata; gli argomenti ad hominem sono per lo più aperti alla replica, e le tesi che subiscono un attacco ad hominem sono sempre ulteriormente difendibili.
È possibile commettere un secondo tipo di errore, sostenendo che c’è una contraddizione tra il comportamento dell’interlocutore e la sua tesi ma non esplicitando questa contraddizione, che potrebbe non essere vera o facilmente eliminabile. Anche in questo caso l’errore consiste in una conclusione affrettata. Se non si danno ragioni conclusive la strategia di spostare l’onere della prova non funziona. L’argomento è considerato (erroneamente) più forte di quanto non sia realmente.
Il terzo tipo di errore si verifica quando l’attacco personale è del tutto irrilevante nel contesto del dialogo. Questo errore si identifica praticamente con l’argomento ad personam o attacco personale diretto: mettendo in discussione l’imparzialità o i fini dell’interlocutore ci si spinge in tal caso “troppo in là”, attaccandolo in ragione del carattere, dei gusti sessuali, della lingua parlata, dell’accento e simili. Quanto più tale argomento si fa emotivo e abusivo quanto più sembra essere solo un trucco per sviare la discussione dal vero problema o dal tema del dialogo. Può fallire perché è irrilevante o perché la pertinenza è trascurabile (l’argomento essendo di conseguenza molto debole).
Possiamo mettere in questione l’integrità personale di un ex Presidente del consiglio che ha evaso le tasse ed è riuscito fortunosamente a sfuggire al carcere perché ha modificato i termini di prescrizione per evasione fiscale, ma questo non è un motivo per mettere in discussione la sua competenza nel campo della politica economica (anche se non è detto che manchino altri argomenti a questo fine).
Il quarto tipo di errore è l’estremizzazione del terzo: attacchiamo così violentemente la sincerità, la capacità, l’integrità, forse addirittura l’umanità di una persona o di un gruppo che non sembra restare più spazio alcuno per una replica o una discussione. Il dialogo è avvelenato, il linguaggio anche. È un punto di non ritorno sulla via dell’escalazione di un conflitto, e in genere precede atti come i massacri o le guerre.
L’errore fondamentale alla base di tale tipo di argomenti è quello di considerarlo forte mentre invece è debole, di considerare la conclusione incontrovertibile mentre è solo opinabile, di non cogliere il fatto che per lo più non si dimostra nulla attraverso l’insulto. Ma un argomento ad personam è forte in un altro senso. Nell’argomentazione quotidiana sembra essere diventato il modello preferito di chi non ha argomenti, o di chi cerca solo di impedire il dialogo (denigrando la parola stessa “dialogo”, così come la tolleranza o il politically correct come se fossero insulti).
Riferimenti
Chaïm Perelman e Lucie Olbrechts-Tyteca, Trattato dell’argomentazione. La nuova retorica, Einaudi, Torino 1966.
Frans H. van Eemeren, Rob Grotendorst, Peter van Straaten, L’argomentazione a fumetti, Mimesis, Milano 2008.
Le puntate precedenti:
1) Il compito
2) Il canovaccio del codice di condotta
3) Le minacce
4) Il dilemma
5) Argomento d’autorità
I. Introduzione
II. La “prova” dell’esperto in tribunale
6) Argomenti basati sull’analogia
8) Ogm e inversione dell’onere della prova
Devi fare login per commentare
Accedi