Filosofia

Se Gesù avesse avuto le slide di Renzi

1 Novembre 2014

 

 

Il fine della moralità cristiana non è la felicità terrena,

ma l’infelicità terrena […]

[Il Cristianesimo] prima di congedarsi

ha lasciato sul muro un’iscrizione che non è ancora scomparsa:

il mondo è spregevole, il mondo è cattivo, il mondo è corruzione.

Nietzsche, Frammenti postumi

 

 

Mi è capitato più volte di immaginare il primo giorno di scuola del maestro Gesù. Una scuola all’aperto, approfittando dell’aria mite sulle alture intorno al lago di Galilea. Eppure Gesù aveva ugualmente realizzato un frontone decorato con il motto della scuola: “cambiate mentalità (metanoèite)” (Mt 4,17). Sì, è una scuola originale: ci si può entrare solo se si è disposti a cambiare il proprio punto di vista. Quelli rigidi, inflessibili, saccenti resteranno ripetenti a vita.

E quel primo giorno di scuola (Mt 5,1-12), come ogni buon maestro progressista che si rispetti, Gesù sceglie di cominciare dalle domande degli alunni. Solo così mi spiego come mai, nel vangelo di Matteo, la prima lezione di Gesù, abbia avuto come argomento la felicità.

 

Gli studenti (un pubblico assai variegato fatto di persone per lo più semplici, ragazzini, malati in cerca di consolazione, qualche giornalista curioso…) gli avevano servito su un piatto d’argento l’occasione di fare uno di quei discorsi alla Robin Williams dell’attimo fuggente. E invece Gesù fa una lezione drammatica e impopolare: l’emorragia di studenti era cominciata.

Piuttosto che farmi un discorso renziano sulla felicità, corredato con tanto di slide sulle opportunità, le innovazioni, i traguardi, mi fa un discorso in cui parla di poveri, di miti…di perseguitati! Del resto lo aveva detto che la sua scuola era per coloro che sono disposti a cambiare mentalità.

Mi sono chiesto cosa avrei detto io, quale sarebbe stata la mia idea di felicità, come avrei parlato alle folle nel momento in cui finalmente ne avessi avuto l’occasione. Sarei riuscito ad essere così impopolare?

 

Gesù parla un linguaggio nuovo, non usa il vocabolario dei vecchi filosofi, ormai morti. Per parlare di felicità non usa il termine eudaimonia tanto caro ad Aristotele, secondo il quali tutti gli uomini, è ovvio, cercano la felicità, sono animati da un desiderio. E allora mettono in atto comportamenti adeguati al fine di poter giungere prima o poi a quella realizzazione personale che è la felicità, la ricerca del proprio bene.

Chissà come mai il vangelo di Matteo che riporta questa lezione di Gesù sulla felicità non usa il termine eudaimonia, ma usa l’aggettivo macharios. E non dice che dobbiamo cercare di essere felici, ma dice che siamo felici quando prendiamo consapevolezza di essere poveri, miti, affamati di giustizia, quando cerchiamo di mettere pace…

Chissà se Nietzsche aveva ascoltato questa prima lezione: forse, ritenendosi geniale, aveva cominciato dal livello avanzato, come quelli che non si degnano di usare l’Assimil a partire dalla prima lezione, perché loro sono intelligenti! Se Nietzsche l’avesse fatto, si sarebbe accorto che Gesù non pensa ad una felicità da raggiungere da qualche parte nel cielo dopo aver fatto i bravi. Si sarebbe accorto, lui grande filologo, che quando Matteo parla di cielo sta usando una metonimia, una figura retorica, che usa il luogo al posto del suo abitante: il cielo è Dio stesso, “il Regno dei cieli” sta al posto della parola “Dio”. Il Regno dei cieli non è un luogo immaginario e futuro, il Regno dei cieli è la relazione viva e presente con Dio.

Per essere felice, dunque, secondo Gesù, non si tratta di agire in un certo modo per ricevere il bollino sulla tesserina, si tratta piuttosto di prendere consapevolezza che quando vivi una situazione di mancanza, quando non hai niente, quando non hai giustizia, quando non hai forza, lì c’è uno spazio per accogliere Dio. È quella condizione provvidenziale di vuoto che ti permette di fare spazio a Dio. Quando sei pieno, saturo, sazio…non c’è spazio per Dio, ma solo per il tuo sentirti autosufficiente. Facciamo fatica a lasciare dei vuoti. Tendenzialmente cerchiamo di riempire ogni spazio. Abbiamo paura del vuoto.

E ci sono poi altre situazioni in cui agisci per gli altri e non per te stesso: quando perdoni, quando guardi l’altro senza pregiudizi, quando cerchi la pace, quando accetti l’incomprensione…anche lì, stai facendo l’esperienza di Dio, perché è nell’amore umano che sperimenti le tracce di Dio.

Non si tratta di cercare Dio al di là del cielo, ma di scoprirlo qui, nella tua umanità, nell’umanità ordinaria di quello che vivi, nel tuo vuoto come nel tuo agire per amore. E proprio qui, quando incontri Dio, quando sei in relazione con quel cielo che è Dio sulla terra, che gusti il sapore della felicità.

 

Per due volte, nella sua lezione, Gesù mette in relazione la felicità con la giustizia: la giustizia, nella mentalità biblica, è lasciare che Dio rimetta le cose in ordine, così come le ha pensate. La felicità accade nella mia vita quando lascio al Signore la possibilità di rimettere le cose in ordine in me, ma anche quando io lo aiuto a rimettere le cose in ordine nel mondo: Dio ha pensato il mondo nella logica dell’amore. Il mondo è ingiusto, e noi siamo ingiusti, quando lasciamo vincere la logica dell’interesse, del privilegio e del potere.

 

 

Leggersi dentro

–          Quale idea ho io di felicità?

–          Sono disposto a lasciare a Dio uno spazio o colmo ogni vuoto?

 

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