Filosofia

Responsabilità. Viaggio dentro i significati di una parola nel nostro tempo

17 Ottobre 2015

C’è molta ressa intorno alla parola responsabilità. Anche per questo vale la pena riflettere sulla cartografia e la circumnavigazione intorno a questo termine che propone Mario Vergani (Responsabilità. Rispondere di sé, rispondere all’altro, Cortina) nonché alla cartografia che ne consegue.

In un ipotetico vocabolario per virtuosi di questo nostro tempo “responsabilità” vi figurerebbe come uno dei lemmi principali. Parola che a lungo è stata in letargo e che solo recentemente è tornata ad essere presente nel lessico collettivo. Parola pass par tout che si propone come “scialuppa d salvataggio” dopo il secolo delle ideologie.
Responsabilità è termine che entra nel vocabolario pubblico nel Settecento, molto dopo la diffusione del termine “responsabile” che compare già alla fine del XIII secolo. Perché?

Perché si dia responsabilità deve darsi scelta, risponde Vergani.
Più semplicemente deve essere riconosciuto che il libero arbitrio abbandona il terreno del sacro e si fa criterio di azione quotidiano. Responsabilità ora non è più connessa a peccato, colpa morale.
E’ uno dei motivi del suo successo, soprattutto di quello odierno.
Questo, tuttavia, ancora non spiega mole cose.

Responsabilità presenta almeno due versanti che riguardano molto il nostro presente: da una parte responsabilità si presenta come salvaguardia e dunque risponde a un principio “securitario”. In questo senso si presenta come limitazione all’azione. Dall’altra, responsabilità si presenta come disponibile a rimettersi in gioco e dunque come estensione del limite dell’azione.
Nel primo caso responsabilità è assicurarsi, nel secondo è soccorrere.

Un’apparente sintesi di queste due diverse e per certi versi opposte accezioni è rappresentata dal principio responsabilità com’è stato proposto da Hans Jonas sulla dimensione dell’individuo nella’età della tecnologia e, soprattutto, per com’è stato assorbito nel linguaggio collettivo. Una dimensione che ha come motore generativo la paura e che perciò si sviluppa come principio di precauzione.
Tradotto in termini di decisione o di deliberazione significa muoversi secondo il doppio principio da una parte di tutela e, dall’altra, di salvaguardia dell’esistente.

Dunque si è responsabili se si ha precauzione di misurare le proprie deliberazioni sugli effetti che esse implicano. Il che significa che responsabilità nasce da un giudizio pesantemente negativo su ciò che ereditiamo dal passato.

Responsabilità significa anche assumere la dimensione del rischio come condizione che ci obbliga a fare scelte.

Il rischio appare oggi come il punto nevralgico che esprime la coscienza politica, sociale e morale nel tempo attuale. Condizione che forse si presenta anche come la filosofia politica dopo il crollo delle grandi ideologie. Una risposta, una chance di ripresa che non sta nella conservazione, nell’ideologia del limite.
Rischio non indica così avvenimenti più o meno minacciosi, ma la capacità di gestire i rischi, di saper riformulare e riequilibrare una condizione squilibrata e di esclusione o di marginalizzazione che oggi chiede di rivedere profondamente le pratiche della sicurezza sociale, su cui abbiamo costruito la società del benessere.

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