Filosofia
Quando la normalità è indice di malattia
Una serie di saggi di Erich Fromm indagano come la salute psichica umana sia messa a rischio dai processi di adattamento sociale pretesi dalle esigenze del mercato
Il volume di Erich Fromm (Francoforte 1900-Muralto 1980) I cosiddetti sani, pubblicato da Mimesis due anni fa, risulta dall’assemblaggio di diversi saggi, riuniti in una prima edizione inglese nel 1991: documenti che rivelano una disposizione ideologica datata, soprattutto nell’ingenuo utopismo che li anima, ma comunque ancora di grande impatto emotivo, e di importanza testimoniale sullo sviluppo coerente delle convinzioni politiche ed etiche dell’autore.
Fromm, filosofo e psicanalista ebreo tedesco emigrato negli USA e in Messico per sfuggire al nazismo e infine morto in Svizzera, negli anni ’70-80 era arrivato a imporsi internazionalmente con due titoli divenuti leggendari: L’arte di amare e Avere o essere. Aveva contribuito ad allargare la dottrina psicanalitica dall’indagine sulla psiche individuale a quella sull’inconscio sociale, criticando la teoria freudiana delle pulsioni biologiche come chiave per la comprensione del comportamento umano, a favore di un’interpretazione più vasta della psicanalisi, destinata a indicare un nuovo equilibrio tra l’uomo e l’ambiente socio-culturale circostante. Suo merito principale è stato infatti quello di riconsiderare l’influenza negativa che i sistemi produttivi producono sui processi di adattamento psichico attuati dall’uomo per corrispondere alle esigenze dell’economia: ciò che nella nostra società determina il successo del singolo è in contrasto con la sua salute psichica, per cui deriva nell’individuo e nella collettività una sofferenza patologica espressa nello scollamento dal reale, nell’alienazione dal sé e dal mondo.
I cosiddetti sani raccoglie interventi e lezioni pubbliche tenute negli anni dal 1953 al 1973, che hanno perlopiù un tono colloquiale derivato dalla trascrizione di nastri registrati in quelle occasioni. La terza e quarta parte del volume presentano contributi più specifici, affrontando invece il tema di un auspicato nuovo umanesimo scientifico per rispondere alle sofferenze della società contemporanea, attraverso una concezione umanistica della persona. A partire dall’analisi dell’orientamento autoritario, mercantile e necrofilo delle società contemporanee, Fromm descrive alienazione e narcisismo come fenomeni psicologici di rilevanza clinica. Individuando tra le caratteristiche della società moderna l’individualismo, l’ambizione a emergere, l’iniziativa privata, l’economicismo e lo scientismo, rileva come nei paesi occidentali a democrazia avanzata gli esseri umani siano particolarmente soggetti a soffrire di depressione, solitudine, ansia, aggressività, manie suicidarie, dipendenze da droghe o alcol, persistenti stati d’animo di noia e pigrizia. La mancanza di riferimenti che forniscano un senso all’esistenza, e il bisogno frustrato sia di riti collettivi sia di scopi che vadano al di là della produzione di materie di consumo, ha prodotto un senso diffuso di infelicità e di insicurezza. Il piacere del lavoro è diventato dovere, o adorazione della produzione fine a sé stessa. In una società dominata dal mercato come quella in cui viviamo, anche il valore dell’individuo viene determinato non tanto dalle sue qualità morali o dalle capacità professionali, “quanto dal suo essere più o meno commerciabile, dal fatto che quello che ha da offrire sia più o meno richiesto”.
Il modo di produrre capitalistico ha infatti esercitato un’enorme influenza sulla struttura della personalità dell’individuo medio, pretendendo dal singolo il totale adattamento alle necessità dell’economia, e asservendo la medicina e la psichiatria a tale esigenza di normalizzare ogni opposizione conflittuale. Il senso comune identifica l’individuo “normale” con quello perfettamente “sano”, inserito nel suo ruolo sociale, soddisfatto, equilibrato e sicuro di sé. Ma in realtà, in una condizione caratterizzata da mancanza di relazionalità, astrattezza del pensiero, abitudine a una routine di gesti e orari che garantiscano conformismo e obbedienza, l’individuo cade in preda a depressione, privo di speranza nel futuro, di qualsiasi interesse e coinvolgimento nell’attività professionale.
Cosa propone quindi Erich Fromm per guarire una società malata, che crea individui malati? Recuperando le analisi di Freud e Marx, incoraggia la nascita di una nuova religione umanistica, che trasformi i rapporti lavorativi non tanto e non solo socializzando i mezzi di produzione, quanto anche le condizioni e le funzioni del lavoratore, affinché ognuno possa diventare soggetto attivo e cooperativo, e il lavoro stesso riacquisti dignità e significato, diventando un’espressione della forza vitale dell’uomo. Diventa fondamentale liberare l’energia che in ogni uomo è rimasta paralizzata, perché ritenuta pericolosa per l’ordine sociale, restituendo responsabilità e creatività nel processo lavorativo ormai iper-specializzato, valorizzando concentrazione, attenzione e competenza di ogni salariato, decentrando le industrie e riconvertendole a misura d’uomo nel rispetto dell’ambiente naturale, restituendo valore sociale o culturale a ciò che si produce …
Un progetto insomma che mette in primo piano non il profitto e il mercato, ma l’essere umano, con la sua indipendenza di pensiero e giudizio, il diritto a esprimere liberamente le proprie capacità, la fantasia, la possibilità di sognare, il piacere di esistere non solo come meccanismo destinato alla produzione e al consumo.
ERICH FROMM, I COSIDDETTI SANI – MIMESIS, MILANO 2023, pagine 170
Prefazione e cura di Rainer Funk, traduzione di Marina Bistolfi
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