Filosofia
“In 5 anni di Filosofia non ho mai sentito la parola internet (e ho 30 anni)”
Qualche settimana fa il CEO dell’azienda in cui lavoro mi manda un articolo dal titolo “Amore per la sapienza nell’era della trasformazione digitale”. Inizio a leggerlo e la parte di me un po’ sopita dello studioso di filosofia si risveglia in preda al pathos e all’eccitazione. Si parla di futuro e allo stesso tempo di filosofia. Addirittura ad un certo punto si legge di un “trend in crescita nelle aziende della Silicon Valley di assumere filosofi per supportare strategia e envisioning, arrivando ad immaginare anche nuovi ruoli in azienda quali il Chief Philosophy Officer o il Philosopher in Residence”. Dico fra me e me, veramente? E poi aggiungo, finalmente anche i filosofi che fuori dall’accademia viaggiano senza meta e dentro uguale – si esagera per dire la verità – hanno la possibilità di acquisire un posto nel mondo e soprattutto di avere un ruolo nella progettazione del futuro. Io, che in 5 anni di filosofia all’Università non ho mai sentito parlare di Internet. E ho 31 anni, non 80.
L’autore dell’articolo è Cosimo Accoto, Research Affiliate all’MIT di Boston e autore de “Il mondo dato. Cinque lezioni di filosofia del digitale“ edito da Egea. Nello stesso istante in cui leggo l’articolo vengo a conoscenza del libro e lo compro subito. Lo leggo in un fiato e scrivo a Cosimo che il suo libro mi ha aperto un mondo e che c’è bisogno come il pane di una guida filosofica alla tecnologia. Mi risponde di essere a Milano per alcuni speech perchè il libro sta avendo successo. A quel punto gli chiedo di vederci, lui gentilissimo mi risponde che va bene. Ci diamo appuntamento in un bar e stiamo insieme tre ore a parlare di filosofia e del futuro della filosofia.
Ma perché “il mondo dato” è un libro importante? Naturale, perché parla di “governo del codice”. Perché dice chiaramente richiamandosi a Foucault che “la capacità di strutturare il campo d’azione degli altri” è ora in capo al codice software, agli algoritmi, al machine learning e in futuro alla blockchain. Dice Accoto in un passagggio del suo libro: il codice software “è una sorta di inconscio tecnologico che dà forma e dinamizza le nostre vite personali quanto professionali, private quanto pubbliche. È il motore invisibile della nostra società contemporanea che – e questo è il punto centrale – detta le condizioni di possibilità del nostro mondo”. E il codice, apparentemente invisibile e in costante aggiornamento andrebbe dissezionato e sottoposto a critica dalla riflessione filosofica che è invece tremendamente assente. Ciò rischia di causare un deficit di comprensione profonda delle nuove tecnologia e l’espulsione della filosofia dal dibattito sulla contemporaneità.
Ancora, è un libro importante perchè parla della necessità di costruire una nuova ontologia del mondo. Si chiede Accoto: che cos’è il codice e che cosa accade “quando il software diventa l’orizzonte dell’esperienza?” Orizzonte dell’esperienza sì, perchè uno degli aspetti che si stanno verificando è una progressiva “sensorizzazione della realtà” da cui emergono nuovi concetti che definiscono di conseguenza una nuova realtà tutta da disvelare filosoficamente. Smart-phone, tablet, braccialetti e tute da neonato per monitorare la salute, elettrodomestici, arredamenti, case, giardini, alberghi, strade, città, mari, uffici, laboratori, fabbriche. Punti sensorizzati dentro reti e piattafome ancor più grandi. Per Accoto le reti sensoriali non sono semplicemente strumenti di misurazione della realtà ma tecnologie che creano a tutti gli effetti nuove esperienze e contribuiscono alla “costruzione del mondo”. I trasduttori per esempio sono in grado di sentire e “agire” in corrispondenza del dato raccolto.
Per Cosimo si tratta di una rivoluzione scientifica al pari della scoperta del telescopio o del microscopio in quanto si parla di tecnologie che consentono di illuminare eventi e fenomeni che altrimenti rimarrebbero invisibili.
Potrei riempire altri paragrafi con le tante suggestioni lanciate da Accoto nel suo libro ma chiudo con una questione che mi è particolarmente cara essendomi laureato su Foucault: la costruzione della soggettività contemporanea. Ossia, che soggetto è quello che pratica un mondo governato sempre più interamente dal codice? Accoto – coniando un termine usato nei media studies – parla di soggettività elementale volendo indicare un soggetto calato in una nuova dimensione ove non è il solo ad avere la capacità di sentire e agire. Le reti sensoriali, digitali e artificiali operano in maniera simultanea al soggetto secondo livelli e scale che sono al contempo “sopra e sotto la dimensione dell’umano”.
Sfide stimolanti e bellissime per i filosofi di oggi e di domani. Certamente occorre studiare un pò di matematica, criprografia e programmazione per potersi approcciare a certe riflessioni in modo sensato. Ma perchè no, questo tipo di competenze potrebbero essere acquisite nelle facoltà di filosofia di domani che devono liberarsi dall’ossessione del commento ai testi per tornare a sporcarsi le mani e fabbricare pensiero.
Cosimo ha chiamato questa nuova “branca” della filosofia “Philtech” che dovrà darsi il compito di rispondere alla crescente domanda di “pensiero filosofico che è, al medesimo tempo, una domanda di senso (sulla natura dell’umano), di critica (sulle finalità del tecnologico), di guida (sull’etica e la governance del futuro)”.
Durante la conversazione con Cosimo, all’inizio e non alla fine, mi è venuto spontaneo chiedergli: ma perchè non combattiamo una battaglia per introdurre una cattedra di filosofia del digitale in Italia?
Twitter: @Stefconsonni
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