Filosofia
Perché iscriversi a filosofia? Risposta a Camillo Langone
Il 25/08/2020 Camillo Langone ha pubblicato dalle colonne della sua storica rubrica su Il Foglio un articolo al vetriolo raccomandando alle future matricole di non iscriversi a filosofia (https://www.ilfoglio.it/preghiera/2020/08/25/news/chi-ama-la-liberta-e-la-sapienza-non-si-iscriva-a-filosofia-331889/). Qualche giorno dopo Langone ha rincarato la dose, sostenendo che “Chi si iscrive a filosofia lo fa solo per conservare lo stipendio ai professori” (https://www.ilfoglio.it/preghiera/2020/09/02/news/chi-si-iscrive-a-filosofia-lo-fa-solo-per-conservare-lo-stipendio-ai-professori-332552/). Facendo parte della categoria e sperando in effetti di conservare il mio stipendio vorrei provare a rispondere a Langone delineando i motivi per cui invece raccomanderei a tutti gli interessati di iscriversi a filosofia.
Gli argomenti di Langone si riducono, in fondo, a uno solo: le facoltà di filosofia sarebbero “scuole di sottomissione e conformismo”, popolate di “professori che impongono tesi su Deleuze o Derrida” e ostili a chi non si sottometta ad “ambientalismo, animalismo, femminismo, immigrazionismo, omosessualismo, statalismo”. Ergo la necessità di ispirarsi a quei veri amanti della sapienza, da Socrate a Wittgenstein, che non hanno studiato filosofia ma hanno coltivato le proprie idee lontano dall’accademia.
Quella di Langone è una caricatura della filosofia accademica che, come tutte le caricature, ha sicuramente una parvenza di somiglianza con la realtà, ma ne distorce selettivamente alcuni tratti per ottenere l’effetto ‘retorico’ desiderato. È vero infatti che in Italia la filosofia è stata molto politicizzata a partire almeno dal ’68, con l’idea che gli Atenei dovessero fungere da tribune per portare avanti un progetto di lotta di classe. Sebbene io simpatizzi con la lotta di classe (almeno nello stesso senso in cui simpatizzo con i mammut quando porto i miei figli al museo di storia naturale…come vorrei che esistessero ancora!), ritengo che l’Università sia e debba essere un luogo di ricerca spassionata della verità e tenersi il più possibile lontano dalla politica. Inoltre è vero che la filosofia Italiana ha flirtato per anni con un certo mondo ciarliero francofono, dove il gioco era dire e non dire, ironizzare e alludere, fare il verso a testi e autori del passato e soprattutto, quando possibile, lanciarsi in sessioni spericolate di psicoanalisi alla bourguignonne. Aggiungi a questo un certo fare altezzoso e snob, l’ostentazione di una spasmodica raffinatezza culturale e la pignoleria in sede d’esame spesso usata per marcare il territorio, ed ecco che la caricatura di Langone prende vita e mi riporta alla mente alcuni dei miei vecchi docenti (si parla di vent’anni fa!). Sottolineo: alcuni, perché già anni fa c’era invece chi prendeva la filosofia terribilmente sul serio e la trattava per quello che è, ossia una scienza al pari della fisica, della matematica e della biologia.
Per la mia generazione, quella dei trenta-quarantenni, che per essere in cattedra ora ha dovuto farsi un mazzo non indifferente nei quindici anni anni precedenti, imparare lingue straniere, passare anni all’estero, pubblicare a nastro ecc. ecc. la concezione della filosofia accademica delineata da Langone, dove si cazzeggia alternando la politica alle manfrine francofone e si vessa chi la pensa diversamente, è al massimo un ricordo con filtro Seppia di quando eravamo giovani (perché, siamo sinceri, a vent’anni sei giovane, dopo i trenta anche basta). Oggi la filosofia accademica è una scienza come tutte le altre e come tale va approcciata e coltivata.
Perché dunque iscriversi a filosofia? Direi anzitutto per tenersi alla larga dai corsi di laurea fuffa tipo “Scienze della comunicazione interculturale plurilinguistica per le multinazionali del digitale innovativo” (l’ho scritto di getto ma temo di cercarlo su Google per paura che effettivamente esista), corsi che purtroppo proliferano nei nostri Atenei. In un mondo in cui qualcuno ha inventato TikTok, ritengo che sia una scelta lodevole per un diciottenne decidere di passare i tre anni successivi della propria vita a imparare qualcosa di serio, difficile e solido semplicemente perché vale la pena farlo. Non sto dicendo che “la filosofia apre la mente” (ogni volta che sento questa frase cerco istintivamente con lo sguardo un balcone nei paraggi dal quale potenzialmente gettarmi). Di cose che si propongono di aprirci la mente e renderci più creativi ce ne sono già a bizzeffe, le nostre povere menti sono talmente aperte da essere sparpagliate in giro come gelati squagliati sul marciapiede. La filosofia ti insegna, piuttosto, a ‘chiudere’ la mente nel senso di ‘avvolgerla’, per così dire, intorno a qualcosa di definito, irregimentare e indirizzare il pensiero in modo da renderlo effettivamente fruttuoso. I professori che Langoni critica sono gli stessi che citando Heidegger ci spiegavano che “il domandare è la pietà del pensiero” e che le domande sono più importanti delle risposte. Balle. Qualunque idiota può chiedersi qual è il senso della vita, ma soltanto Camus ha scritto L’uomo in rivolta e per chiedersi che rapporto c’è tra la mente e il corpo basta riflettere un attimo sull’ultima sbronza che ci siamo presi, mentre per scrivere le Meditazioni Metafisiche e le Idee per una fenomenologia pura e una filosofia fenomenologica Cartesio e Husserl, rispettivamente, hanno lavorato come pazzi.
I tanti filosofi di oggi che, contrariamente a quanto crede Langone, svolgono questo lavoro con serietà e professionalità sono ricercatori che cercano per come possono di contribuire a dibattiti internazionali molto tecnici e talvolta davvero fruttuosi, anche se spesso lenti nel loro progresso. Abbiamo sviluppato un livello di sofisticatezza per parlare, ad esempio, di mente e corpo o di riferimento delle parole agli oggetti che sarebbe stato impensabile raggiungere se non vi fossero stati dei professionisti che a questi problemi si sono dedicati con la stessa serietà con cui i chirurghi operano e gli ingegneri progettano ponti (guadagnando per altro significativamente di più). Per altro, diversamente da quanto accade in altre discipline, il progresso non comporta l’obsolescenza dei lavori passati, anzi, più ci addentriamo nei misteri, ad esempio, della coscienza, più impariamo a scoprire dimensioni nuove nei grandi classici del passato. Iscriversi a filosofia ha dunque senso se si vuole provare a cimentarsi con questioni difficili la cui ‘remunerazione’ è interamente immanente, scelta che, in un mondo in cui tutto è fatto in vista di altro, è certamente un’affermazione di libertà (parola cara al nostro Langone). Capire meglio come stanno insieme la mente e il corpo, ad esempio, è appagante in sé e non è un sapere automaticamente rilevante al modo in cui farai i danè in futuro. Detto questo, di gente che dopo aver studiato filosofia seriamente (perché, diciamolo, filosofia si può anche studiare male o malissimo) non abbia trovato una collocazione lavorativa dignitosa io nei tre Paesi del mondo in cui ho insegnato non ne ho ancora trovata. Conosco invece diverse persone che dopo aver odiato ogni secondo dei cinque anni passati a studiare Economia nel nome dei danè futuri hanno poi scoperto che, ahimè, non si diventa automaticamente Warren Buffett e ora detestano ogni secondo dei tanti che passano in qualche ufficio deprimente a vedersi passare sotto il naso i soldi altrui. Quindi, se vi piace filosofia venite a studiarla dove ci sono persone serie che la insegnano e fatelo con lo stesso spirito con cui vi iscrivereste a matematica, fisica o biologia (tutte materie che, se vi piace filosofia, non possono non piacervi a loro volta!).
Visto che mi pare abiti proprio a Parma, dove insegno, non posso che concludere invitando di cuore Langone a venirci a trovare in dipartimento e magari ascoltare qualche lezione, questo semestre si può fare anche comodamente dal salotto di casa. Lo autorizzo a rimproverarci se sentirà citare Derrida o Deleuze!
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