Filosofia
Maria secondo Cacciari
Riflettendo in margine a “La passione secondo Maria”, il piccolo saggio dedicato alla figura di Maria nell’arte medievale e moderna che Massimo Cacciari ha scritto, da par suo, per i tipi de Il Mulino (pp. 136, 2024), il problema che ci si pone non è tanto “che cosa sia” e, in fondo, nemmeno “perché sia stato scritto”, ma in qualche modo “cui prodest” e “a quale necessità risponda” nel contesto del dibattito culturale contemporaneo del nostro paese.
Al di là della fruizione degli specialisti infatti e di quella di chi segue i percorsi della teoresi contemporanea e il dispiegarsi del pensiero di questo filosofo, quali sono in questo piccolo saggio le questioni su cui Cacciari riflette e, in qualche modo, invita il lettore colto a riflettere? Il filosofo ha sentito la necessità di riassumere e spiegare lui stesso il senso profondo di questa sua operina: come mai la cultura occidentale, pur avendo al suo centro un potente archetipo, femminile e positivamente generativo, non ha saputo acquisirlo nella dimensione della cultura politica e della concreta operatività? Un archetipo di cui per altro si è accorta l’arte medievale e moderna nelle opere di artisti che hanno colto con precisione la potenza feconda e creatrice dell’archetipo mariano: Piero Della Francesca, Masaccio, Van Der Weyden, Pontormoi, Botticelli, Fra Angelico, Lorenzo Lotto, Giovanni Bellini, Francisco de Zurbaràn, Donatello, Michelangelo, Tiziano.
«Maria – dice Cacciari al di fuori dalle pagine del libro – è tutto ciò che non siamo. Tutto ciò che abbiamo radicalmente dimenticato. Se riusciremo forse a sentire questa inattualità, può darsi anche che si possa diventare meno cattivi». Maria “crea” un mondo nuovo, a partire ad esempio dal disvelamento della natura geometrico-matematica della prospettiva e della nuova dimensione conoscitiva (“guardare, pensare, esistere”) che essa implica. Altri snodi concettuali sono: la differenza tra la potenza generatrice di Maria e quella delle antiche divinità femminili, la presenza dell’“altro” al fondo della struttura dell’umano, infine il tema implicito – ma inevitabile e ineludibile del silenzio del “Padre” e dei “padri” nel dramma attraversato nella storia da Maria e da suo Figlio.
L’argomentare filosofico, data anche la brevità di questo scritto, spesso si contrare vertiginosamente, divaga improvvisamente, pretende e impone attenzione, concentrazione, frequenti riletture, eppure alla fine sembra disvelarsi il senso dell’operazione. Il filosofo chiede che si ritorni a porre il pensiero al centro dell’agire politico e lo fa riportandoci, persino strattonandoci con qualche rudezza, verso le fonti stesse del pensiero occidentale. Maria è una di queste fonti: è centrale, ha enorme rilievo, è la più densa di senso. Il suo grido di partoriente, reale seppure inespresso o espresso obliquamente, colto ai piedi della Croce nel momento della passione di Cristo, ci ricorda che esso afferisce a una fatica totalmente umana e radicalmente umanizzante all’esito del suo accoglimento. Occorrerebbe ancora saperlo ascoltare.
Faccio umilmente notare che OGNI quadro, statua, enorme altare e chiesa, sono stati commissionati dai sedicenti rappresentanti divini dell’epoca coi soldi che i credenti pensavano di aver dato per i poveri.
Tali opere sono pura propaganda per marcare il territorio, come i cani fanno con la pipì, e tale propaganda ha funzionato così bene che ancora oggi paghiamo per ammirare la mitologia cristiana ed inevitabilmente consolidare la presa cattolica sulla società civile.
La Madonna è una 13nne ingravidata senza consenso e massimo simbolo di maschilismo biblico, premiata con l’assunzione in cielo per non avere denunciato il datore di lavoro celeste.
Chi ci vede di più, se lo è inventato per farsi bello o per magnificare una superstizione religiosa incivile che si è imposta col sangue e la paura ieri, ed oggi lo fa con l’inganno ed un marketing mirato con un papa buono in tv ogni 5 secondi