Filosofia

La società della trasparenza è pornografica. Han dixit

13 Maggio 2018

“Il vento digitale della comunicazione e dell’informazione pervade ogni cosa e rende tutto trasparente. Soffia attraverso la società della trasparenza. La rete digitale come medium della trasparenza, però, non è soggetta a un imperativo morale. Essa è, per così dire, senza cuore – il quale è stato tradizionalmente un medium  teologico-metafisico della verità. La società della trasparenza digitale non è cardiologica, ma pornografica. [..]Non tende ad alcuna purificazione morale del cuore, ma al massimo profitto, al massimo interesse. L’illuminazione promette, infatti, uno sfruttamento massimo.”

Byung-Chul Han, “La società della trasparenza”, nottetempo edizioni, Milano, 2014.

“La società della trasparenza” è un altro degli agili testi di Byung-Chul Han, filosofo coreano di stanza a Berlino, in cui l’autore – con una prosa asciutta e uno stile assertivo – analizza in modo originale e in una prospettiva minoritaria rispetto alla cifra “dominante” una serie di aspetti dell’odierna vita collettiva travolta – e inconsciamente sconvolta – dalla dimensione digitale.

Rispetto ai più noti “Nello sciame”, “Psicopolitica” e “L’espulsione dell’Altro”, va detto che questo testo si pone come germinativo; tra i quattro, infatti, è il primo.

Il tema della pervasività della trasparenza lo si trova, infatti, ripreso poi anche nei testi sopra citati che, in fondo, andrebbero letti sempre come un unicum fortemente interrelato; qui la critica all’ideologia della trasparenza è il cuore del testo.

È indubbio che Han, affrontando criticamente l’elevazione della trasparenza a dato salvifico della contemporaneità, si pone su un terreno difficile; oggi il termine “trasparenza” nel dibattito pubblico è uno di quei termini intoccabili, continuamente invocati per rassicurare la pubblica opinione: chi si permetterebbe di invocare il suo contrario – opacità, oscurità o che dir si voglia – verrebbe tacciato senza indugi di ambiguità e di disonestà. Di pericolosità, in fin dei conti.

La lettura di questo libro ci mette in guardia dall’aderire all’ideologia della trasparenza, poiché “la società della trasparenza è un inferno dell’Uguale. Chi riconduce la trasparenza unicamente alla corruzione e alla libertà d’informazione, ne misconosce la portata. La trasparenza è una coercizione sistemica che [..] riduce l’uomo a elemento funzionale di un sistema.”

In sostanza Han argomenta con efficace sintesi come una società immolata all’integralismo della trasparenza sia una società senza passioni, senza fantasia, senza tensione metafisica alla trascendenza e una società “senza pace”. Una società in cui regnano iper-informazione e iper-comunicazione che coprono il vuoto che è, per sua natura, trasparente.

Ma il punto (per me) più convincente del libro, che arriva come un rombante crescendo, si trova nel capitolo intitolato “La società del controllo”, dove Han introduce il tema – ripreso poi negli altri testi – del “panottico digitale”. Due i passaggi che – ribaltando pensieri in un certo senso conformisti – valgono a mio avviso la lettura del libro: il rapporto inversamente proporzionale tra fiducia e trasparenza e l’impossibilità di costruire comunità in una società della trasparenza.

Sul primo punto, partendo dall’assunto che “la fiducia è possibile solo in una condizione intermedia tra sapere e non-sapere“, Han dimostra come laddove “domina la trasparenza, non esiste spazio alcun per la fiducia”, affermando che “la trasparenza esclude la fiducia”. Per arrivare a un’argomentazione ineccepibile e – ahinoi – molto vera ad esempio per il nostro Paese, perchè:

“[…] La domanda di trasparenza diventa forte proprio quando non c’è più fiducia. In una società che si fonda sulla fiducia, non esiste una forte richiesta di trasparenza. La società della trasparenza è una società della sfiducia che […] si sottopone al controllo. La forte richiesta di trasparenza rinvia proprio al fatto che il fondamento morale della società è diventato fragile, che i valori morali come la sincerità o l’onestà divengono sempre più insignificanti. Al posto dell’istanza morale caduta in disgrazia, compare la trasparenza come nuovo imperativo morale”.

In questo deserto di senso – che illuminato dall’abbacinante luce della trasparenza ha perso anche ogni aura di sacralità – Han dice con chiarezza che “nella società della trasparenza non si costituisce una comunità in senso enfatico. Si sviluppano solo assembramenti o molteplicità casuali di individui isolati, di ego che perseguono un interesse comune o si riuniscono intorno a un marchio”, mettendo in guardia rispetto a ciò, che forse, sta già accadendo: lo sfruttamento del sociale “degradato a elemento funzionale del processo produttivo“.

Han è un autore molto interessante; un filosofo che lancia segnali di allarme circa gli effetti, ancora sottovalutati, che la rivoluzione digitale ha sulla vita biologica delle persone. Mi ha colpito molto leggere un articolo di Christian Raimo su l’Internazionale, dell’interesse dei giovani neofascisti per le opere di Byung-Chul Han, letto in quei contesti in chiave antimodernista. Mi ha colpito e frustrato; perché un autore così dovrebbe essere letto soprattutto da chi, in una prospettiva autenticamente “progressista”, non vuole arrendersi a quell’omologazione dell’umano a cui lo strapotere del Capitale globalizzato anela. Perché in questi testi si trovano spunti per costruire un’alternativa che torni a essere antiglobalista ma internazionalista e che, in fondo, coltivi sempre l’utopia per cui l’umano possa avere sempre la meglio sull’inumano. Inumano mai così pervasivo e potente come oggi.

Autore: Byung-Chul Han
Editore: Nottetempo, Milano
Pagine: 93
Prezzo: € 10,50  (cartaceo)
Data di pubblicazione:  2014

@Alemagion

www.facebook.com/alessandro.maggioni.792

 

 

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