Filosofia
Leonardo Caffo e la violenza
Chiara Valerio ha invitato il filosofo Andrea Caffo alla fiera romana Più libri più liberi, che quest’anno è dedicata alla memoria di Giulia Cecchettin. Ma Caffo è a processo per maltrattamenti e lesioni nei confronti della ex compagna, e la scelta di invitarlo è apparsa inopportuna, perfino scandalosa a molti. Né è sembrata granché convincente la difesa di Chiara Valerio, che si è appellata alla presunzione di innocenza. Su “Il Post” Cataldo Intrieri ha scritto che “ciò che dovrebbe interessare in una rassegna editoriale è il valore di un’opera e la validità di discutere delle idee che contiene”. Fino a un certo punto, a dire il vero, perché forse in quel contesto anche un’opera di eccezionale valore sarebbe stata fuori luogo, considerata la biografia dell’autore. Vero è che le polemiche hanno trascurato del tutto il libro. Quale libro avrebbe presentato Caffo, che ha deciso di ritirare la sua partecipazione? Quali idee avrebbe discusso?
Il libro è Anarchia. Il ritorno del pensiero selvaggio, pubblicato da Raffaello Cortina e dedicato, tra l’altro, a Michela Murgia, “anarchica e autonomista Sarda”. Diamogli uno sguardo, cominciando dai dettagli. Il colophon ci informa di due cose. La prima è che la copertina, brutta e banale – brutta perché banale – è di mana scanavino project, che in genere fa copertine molto belle, ma evidentemente non riesce ad andare oltre un certo immaginario quando si tratta di anarchia. La seconda è che il libro ha il copyright di Raffaello Cortina. Cosa scontata per un libro, ma non scontata per un libro anarchico. Quella contro il diritto d’autore, e a favore di licenze libere, è una delle battaglie degli anarchici fin da quando Tolstoj comunicò la decisione di rinunciare ai diritti su tutte le opere scritte dopo la sua conversione all’anarchismo nonviolento. Caffo non è della partita. Ne prendiamo atto.
L’anarchismo è, nella visione corrente, associato non solo al disordine, ma anche alla violenza, e questo nonostante le posizioni violente siano nettamente minoritarie. In Italia ammette la violenza come strumento di lotta politica la Federazione Anarchica Informale, nata dopo il Duemila, mentre la storica Federazione Anarchica Italiana, fondata nel 1945, si muove ricorrendo al lavoro culturale ed educativo e a pratiche di protesta nonviolenta. Dove si colloca Caffo? “Il dibattito è gigantesco, e chi scrive è contro la violenza in ogni caso (lo ripeto: contro ogni forma di violenza)”, scrive. E aggiunge: “Ma siamo dentro un dibattito intellettuale che vale la pena esplorare fino in fondo”. I ma non sono mai un buon segno. Generalmente quello che segue il ma cancella quello che lo precede. “La violenza – ci avverte infatti Caffo – non è mai una soluzione, eppure l’esaltazione di un anti-potere sul corpo degli altri non può che caratterizzarsi come potenza vitale. Aver svuotato di violenza la società significa non solo aver garantito progresso morale ma anche averne detonato ogni pretesa rivoluzionaria”. Il corsivo è mio. Credo che non si possa definire meglio, in effetti, la violenza. Se la forza è crescere insieme ad altri – e questo è anche il potere autentico, nella lettura di John Holloway o del nostro Danilo Dolci – la violenza è crescere sull’altro, e segnatamente sul corpo dell’altro. È rendere l’altro, al limite, una cosa, come avviene con l’uccisione. Associare questo atto alla potenza vitale, qualunque cosa sia, vuol dire essere perfino oltre la pur inaccettabile concezione della violenza come strumento; vuol dire esaltare la violenza come affermazione estetica di sé.
Uno che crede nel valore rivoluzionario di esercitare violenza sul corpo dell’altro è Alfredo Cospito, per il quale Caffo ha parole piene di comprensione, quasi di tenerezza. Il povero Cospito, scrive, “ha piazzato letteralmente due petardi, di quelli che si sparano a Capodanno dai balconi, in una pattumiera posta a debita distanza dalla caserma”. E ne Il marchio della vita, letto da Cospito in tribunale, per Caffo “si ascoltano alcune delle riflessioni più urgenti sui danni della società tecnologica per la vita umana contemporanea”. Leggiamolo, questo testo. Non si fatica a trovarlo in rete: si tratta del documento con cui il nucleo Olga della Federazione Anarchica Informale ha rivendicato la gambizzazione di Roberto Adinolfi, amministratore delegato di Ansaldo. Il documento comincia così: “Le idee nascono dai fatti, le parole accompagnate dall’azione portano il marchio della vita. Abbiamo azzoppato Roberto Adinolfi, uno dei tanti stregoni dell’atomo dall’anima candida e dalla coscienza pulita.” Poco dopo si legge: “Impugnare una pistola, scegliere e seguire l’obiettivo, coordinare mente e mano sono stati un passaggio obbligato, la logica conseguenza di un’idea di giustizia, il rischio di una scelta e nello stesso momento un confluire di sensazioni piacevoli.”
Sensazioni piacevoli. Eccolo, l’anti-potere sul corpo degli altri. I quali non sono nemmeno più esseri umani, ma stregoni: esseri disumanizzati, privati di volto e di storia (“uno scienziato incolore, un tecnico”, si legge ancora nel comunicato), e per questo massacrabili.
Sento di poter rassicurare il lettore. Nonostante la sua ambiguità, Leonardo Caffo non farà attentati. Bisogna credergli quando dice che ripudia la violenza. La sua è semplice indignazione. Il mondo capitalistico gli fa ribrezzo – e non sarò io a dargli torto – e per questo è disposto a mostrare qualche comprensione per chi lo combatte ricorrendo alla violenza – Cospito, ma anche Theodore Kaczynski, alias Unabomber. Caffo non farà attentati. Ma cosa farà? Quale sarà la prassi rivoluzionaria di questo neo-anarchico che pubblica non con Eleuthera ma con Raffaello Cortina, che si tiene stretto il copyright e che tiene le sue lezioni sull’anarchia non in un centro sociale, ma nel contesto ovattato del BASE di Milano? Ci sono, ci avverte, “dei periodi in cui abbandono la mia comfort zone da professore universitario borghese al centro di Milano, con il lusso di insegnare in una istituzione internazionale frequentata dalle grandi borghesie del mondo” per andare a Lampedusa. Bene. Lampedusa è un buon posto per una prassi politica trasformativa. Ma che fa Caffo a Lampedusa? Trascorre quasi un mese sull’isola “per un workshop congiunto tra il Made Program di Siracusa e la Northeastern University di Boston”. La prima volta, racconta, il suo traghetto ha costeggiato un barcone di migranti. “A noi, figli di un destino migliore, tocca un piccolo bus privato che ci porterà verso il campeggio che sarà anche la nostra università a cielo aperto in questi giorni”. Ma fare lezione in campeggio non è l’unica prassi rivoluzionaria: “abbiamo tentato di realizzare un lungo diario di viaggio operando su una Moleskine in accordo con la Moleskine Foundation”. Notevole.
Sarebbe divertente soffermarsi sui singolari percorsi di Caffo, che si contorcono parecchio e spesso si perdono del tutto nella nebbia, ma immagino il lettore possa già farsi un’idea di quanto poco abbia perso Più libri più liberi – che da anarchico eviterei come la peste – con l’assenza di Leonardo Caffo.
Devi fare login per commentare
Accedi