Filosofia
L’amante offeso è un modello etico di straordinaria potenza
“All’amante offeso e messo da parte balena d’improvviso una verità, cruda e abbagliante, come quando acuti dolori illuminano l’interno del corpo. Egli riconosce che nell’intimo dell’amore accecato – che non ne sa nulla e nulla potrebbe saperne – vive l’esigenza della liberazione da ogni accecamento. Egli ha subito un torto; e di qui deduce l’esigenza del diritto, che – nello stesso tempo – è costretto a respingere, poiché ciò che desidera non può nascere che dalla libertà. In tale angustia il respinto diventa uomo. Come l’amore tradisce – senza possibilità di riscatto – l’universale per il particolare, in cui solo torna amore al primo, così l’universale – come autonomia del prossimo – gli si rivolta contro. Proprio il diniego, in cui si è affermato l’universale, appare all’individuo come esclusione dall’universale; chi ha perso l’amore si sa abbandonato da tutti, e per questo sprezza ogni conforto. Nell’assurdità del rifiuto egli comincia a rendersi conto della non – verità di ogni realizzazione puramente individuale. Ma con questo egli si ridesta alla paradossale coscienza dell’universale: dell’inalienabile e incontestabile diritto dell’uomo, di essere amato da colei che ama. Con la sua richiesta di esaudimento, che non è fondata su nessun titolo e su nessuna pretesa, egli fa appello ad un istanza sconosciuta, che gli promette – per pura grazia – ciò che insieme gli spetta e non gli spetta. Il segreto della giustizia nell’amore è il superamento del diritto, a cui l’amore allude col suo muto gesto. «Sempre sciocco, ingannato, soverchiato, – così, sempre, dev’essere l’amore»”.
(Minima Moralia. Meditazioni sulla vita offesa, aforisma n. 104)
L’amante offeso si sente abbandonato, sperduto e con il desiderio di rivendicare il diritto ad essere ri-amato. Ma l’amore è un dono che può nascere solo dalla libertà. Così l’amante rimane in tensione fra l’esigenza di rivendicare questo diritto e la costrizione a respingere qualsiasi pretesa. É obbligato a ritrarsi.
La cecità dalla quale l’amante ferito chiede di essere liberato è qualcosa d’intrinseco alla relazione, della quale non possiamo mai avere piena consapevolezza. Ma è proprio quest’oscurità nei confronti dell’altro e in primis di noi stessi che ci permette di offrirci, di essere vulnerabili.
L’inabissarsi nella sofferenza, lo scontrarsi con l’altro che rimane immobile nella sua alterità e inalienabile dignità è un passaggio fondamentale per divenire umani. Non sappiamo che cos’è l’umano ci dice Adorno, ma che cos’è l’inumano sì, ed è necessario attraversarlo. Solo immergendoci nella nostra fallibilità e miseria si diventa più umani.
Judith Butler in uno splendido saggio dal titolo Contro la violenza etica a partire da Adorno sostiene che noi, in quanto soggetti di cui nessuno conosce l’origine, ci costruiamo attraverso l’esperienza e l’influenza dei paradigmi sociali dominanti, un sistema di principi e regole morali che tende ad irrigidirsi e invece – qui si vede la critica a tutto ciò che è stabile, cardine del pensiero e della dialettica di Adorno – dobbiamo tenere conto della nostra fallibilità. Il movimento dell’amante offeso non è quello dell’autoaffermarsi ma piuttosto quello del trattenersi, o meglio, del rimanere in tensione tra questi due poli.
Per il filosofo della Scuola di Francoforte dobbiamo essere sempre pronti a fare un passo indietro sulle nostre credenze etiche e morali per raggiungere poi, de-costruendoci, un livello più alto di consapevolezza e conoscenza di sé.
I nostri limiti, l’oscurità verso noi stessi, si rivelano essere straordinarie risorse etiche che ci consentono di offrirci all’altro, di essere vulnerabili.
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