Filosofia

La tua felicità è anche la mia

4 Marzo 2017

Quando ho avuto l’idea di iniziare a scrivere qui, pensavo di affrontare l’attualità, la politica, i grandi temi economici e altro ancora. Tutto in linea con le mie passioni e, per certi versi, anche con il mio lavoro. Poi, come sempre succede, la vita ti pone davanti nuove sfide, nuovi argomenti su cui riflettere ed ancora una volta cambio strada.

Ho letto le parole struggenti di Amy Krouse Rosenthal, scrittrice americana di libri per bambini. Con un grave cancro alle ovaie sta per lasciare questa vita. Una lettera aperta invita la donna giusta, da qualche parte nel mondo, a farsi avanti, per permettere a suo marito di essere felice ancora una volta, per una seconda possibilità, lei che questa seconda possibilità non ha. Attraverso una descrizione delicata e commovente dipinge i tratti di suo marito, conosciuto durante i ventisei anni di matrimonio.

La mia storia personale mi permette di immedesimarmi con le parole di Amy. Si fa davvero fatica anche a pronunciare la parole “cancro”, così brutta nel significato e al suono.

Quando ti diagnosticano un tumore è come se ti arrivasse uno schiaffo dritto in faccia. Anche il più bravo e sensibile dei medici non sarà mai capace di alleviare il dolore, lo sconcerto e non potrà mai dare risposte alle classiche domande “A me? Davvero? Perché proprio a me? Perché proprio adesso?”.
E allora vivi diversamente tutto, a partire dal tuo corpo. Perché ti rendi conto di una presenza estranea e non voluta che rischia di spegnere la tua vita. Cammini per la strada e ad un certo punto devi correre a casa perché sai che stai per scoppiare a piangere. Hai davvero bisogno di buttare fuori quelle lacrime, come se potessero curare la malattia.

Ma il vero schiaffo, quello più forte, quello che ti fa piangere la notte e che ti getta nello sconforto arriva solo dopo. Quando devi affrontare le persone che più ti amano. Non c’è niente di peggio che vedere i loro visi stravolti dal dolore, dalla preoccupazione e dal panico. Non c’è niente di peggio. Niente.

Vedi la tua famiglia, la tua ragazza e gli amici che non si capacitano di come sia possibile, ti offrono il loro sostegno. Ma tu lo sai, tu lo vedi che stanno male, che soffrono per te. Non soltanto perché hai un tumore, ma perché non sanno cosa dire, cosa fare e non sanno realmente come stai.

E allora si attivano i meccanismi di reazione. Sorridi, scherzi e sdrammatizzi. Cerchi di rendere tutto il meno pesante possibile per gli altri. Fai vedere che stai bene e, magari, alla fine ti convinci che effettivamente è così.

Ho pregato spesso Dio in quel periodo. Più del solito. E l’unica cosa che chiedevo con tutto il mio cuore era: “Ti prego, prenditi cura della mia famiglia e della mia ragazza, perché oggi loro soffrono più di me. Non pensare a me, pensa a loro.”

Per questo capisco profondamente Amy. Perché quando la malattia ti colpisce, poi ti cambia il punto di vista su tante cose e capisci che, alla fine, non vivi per te stesso e che la vita non ha alcun senso se non è condivisa con le persone che Dio ti regala ogni giorno.
Insomma, ti rendi conto che la tua felicità è la felicità degli altri e questa è l’unica cosa che conta.

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