Filosofia
La satira offende
Altrimenti non varrebbe neanche la pena di leggerla e non farebbe ridere nessuno. E non sarebbe un’arma contro i tiranni e le pretese totalitarie di capi religiosi, spesso autonominatisi tali (interlocutori privilegiati con Dio e la Legge).
Per sostenere quanto vogliamo dimostrare abbiamo bisogno che il nostro interlocutore (Leopoldo Papi) accetti che:
1) si possano fare cose con le parole (sposare delle persone, dichiarare aperta una conferenza, insultare, dare ordini, fare promesse, minacciare, umiliare, deridere, istigare all’odio e allo sterminio ecc.);
2) la satira sia un modo di dire qualcosa tramite immagini e, spesso, anche testi (altrimenti non la capirebbe nessuno e nessuno si offenderebbe);
3) se una persona si offende ci sia effettivamente un atto offensivo dall’altra parte (così, se dovessi dare dell’ignorante al lettore, questi mi direbbe: sì, hai ragione? E se gli dessi del mafioso? O gli dicessi che è uno statale fannullone?Ognuno scelga quanto ha di più sacro, magari la libertà di opinione, se proprio non c’è nient’altro).
Se il nostro opponente, che propone la tesi opposta alla nostra, accetta almeno le prime due condizioni, ci resta da discutere solo la terza (altrimenti ci spieghi perché non le accetta). Prima di farlo, però, suggeriamo di leggere i nostri due interventi precedenti sul fare cose con le parole e sulle funzioni della satira, di modo che le nostre reciproche posizioni siano chiare (noi abbiamo letto tutti gli articoli su Charlie Hebdo e abbiamo studiato vignette e reazioni).
A questo punto proviamo a discutere: cosa fa sì che una vignetta satirica provochi reazioni di odio (in quanto offesa nei confronti di Allah e del profeta, o della madre di papa Francesco), se non offende nessuno? Per capire questa posizione, cioè, per togliere una contraddizione apparente, riteniamo di dover distinguere tra offesa oggettiva e offesa soggettiva.
Può darsi che, ritenendo oggettiva l’offesa di qualche vignetta, ci si sbagli. Così, per analogia, se dico al lettore che è un cretino, e questi si offende, posso sempre precisare: guarda che non volevo offenderti, devi aver capito male, magari interpreti in modo tendenzioso, la mia era satira, e la satira non offende nessuno. Se questi però insiste, e dichiara, con atti e con parole (cioè insultando e malmenandomi), di essersi offeso, può darsi che io debba riflettere (e, magari, tenere la bocca chiusa, non si sa mai con certa gente che si offende per nulla). Potrei allora pensare di dover distinguere tra offesa soggettiva e offesa oggettiva. Se anche oggettivamente (ma forse dovrei dire: soggettivamente, per me) quello che dico non è offensivo (perché io non lo ritengo tale), potrebbe ciò nondimeno esserlo per il mio interlocutore (soggettivamente, per lui, è offensivo).
E dunque? Dunque, per valutare se una vignetta è offensiva dovremmo sentire gli argomenti di chi sostiene di no e anche gli argomenti di chi, invece, sostiene di sì. Valutarli, ponderarli quanto serve, e alla fine giudicare, fermo restando che non è detto che alla fine si sia proprio del tutto d’accordo.
Negare però, in linea di principio, cioè dogmaticamente, che la satira possa offendere, visto che questa posizione non ci trova d’accordo, non sembra essere una buona via d’uscita dalla divergenza di opinioni, anche se contribuisce a fare chiarezza. È invece una posizione, e come tale va dimostrata. Come noi avevamo cercato di dimostrare il contrario. Altrimenti si evade l’onere della prova.
Logon Didonai
P.S.: fate un piccolo esercizio sulla vignetta che trovate qui, pensando a chi potrebbe offendersi con Charlie Hebdo (e chi invece la troverebbe divertente). Quale funzione svolge secondo voi?
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