Filosofia
La notte degli ipocriti e il brivido della verità: intervista a Postorino
Francesco Postorino è un filosofo che si occupa soprattutto di neoidealismo europeo, pensiero cristiano, esistenzialismo e personalismo. Ha approfondito le sue ricerche presso l’Università Paris 1-Sorbonne. Collabora con il settimanale “l’Espresso” e con diverse riviste scientifiche nazionali e internazionali. Tra le pubblicazioni recenti: Carlo Antoni. Un filosofo liberista, pref. di Serge Audier (Rubbettino, 2016); Croce e l’ansia di un’altra città, pref. di Raimondo Cubeddu (Mimesis, 2017); la traduzione del volume di S. Audier, Il socialismo liberale (Mimesis, 2017); la curatela del volume di Guido de Ruggiero, Il ritorno alla ragione(2018).
L’ho avvicinato per avere un chiarimento e dialogare con lui a proposito di temi che gli stanno particolarmente a cuore, alcuni dei quali si rivelano un po’ fuori moda: la trascendenza; il volto di Gesù nel terreno dell’immanenza; il nichilismo di un certo cattolicesimo contemporaneo; il problema del politically correctentro le dinamiche progressiste analizzato da un occhio pur sempre umanitario e, direi, cosmopolitico; l’incontro tra la storia del qui (come la chiama Postorino) e un altro tempo.
Nei tuoi libri tocchi temi importanti: la libertà interiore, l’amore, la carità, la ricerca spirituale, l’invito a guardare il volto dell’altro. Puoi dirci, brevemente, che significano per te queste parole?
Il problema è che vengono trattate soltanto come parole, concetti o formule. Servono agli intellettuali per riempire le pagine del loro ego, ai politici per strumentalizzare senza vergogna gli innocenti e a qualche prete nichilista per ripetere meccanicamente un paragrafo sempre più distante dal brivido della verità. Ecco quello che manca: il brivido della verità! Manca quel bisogno di trasformare in azione immediata un principio. Molti si spingono a trovare il «non detto», l’originale, allo scopo di dare senso al loro mestiere. E mi stupisce leggere in libri contemporanei frasi e interi capitoli come se fossero, appunto, innovativi. La cultura greca hagià intonato i versi dell’anima, il cristianesimo ha riequilibrato il rapporto spirito-carne pur riaprendo un varco decisivo in favore della trascendenza, l’esperienza moderna ha messo al centro l’individuo, i suoi diritti, le sue attitudini e la raison, il romanticismo ha elogiato le passioni, il cuore, il particolare, spesso come esasperata reazione al cosmopolitismo illuminista, e il recente nichilismo ha liquidato sia le conquiste sia le sconfitte della storia occidentale in nome dell’accadimento post-metafisico. In breve, è stato detto tutto e il contrario di tutto.
Quindi?
Non ha più alcun senso perdersi nel significato delle parole immortali, o produrre solo teoria e arrestarsi alla vocazione intellettuale. Certo, di fronte all’ignoranza istituzionalizzata occorre rimettere mano al genio speculativo; ma, ripeto, la lotta delle idee è fine a se stessa, se non accompagnata dal fare, da una pratica seria e responsabile che sciolga l’astratto nei labirinti del quotidiano. L’azione non può essere sottoposta al monopolio degli uomini del Palazzo. Tutti noi siamo chiamati ad agire.
Tu, infatti, denunci il “politicamente corretto” a sinistra.
Sì. Più in generale, riprendendo il discorso di prima, mi dà fastidio il professore che guarda dalla finestra e non ha tempo per il tempo della vita, rifugiandosi in una triste purezza, come ricorda Emmanuel Mounier, dove mancano gli odori, i sapori e il sentire. Mi dà fastidio la firma di un manifesto chic, per non parlare del linguaggio sofista e della ostentata pornografia che si riflettono nei salotti mediatici. Non sopporto quel «buonismo» che in fondo gioca la stessa partita dell’orrore xenofobo; quel buonismo che si nutre di fredda tolleranza, che spende energie per indossare una maglietta immediatamente fotografata nella solitudine del selfie, che sposa l’umanità senza innamorarsene. Questa finzione è sparsa ovunque e contagia chiunque. Per fortuna qualche folle resiste, lascia perdere le pagliacciate e abita sul serio lo spazio della verità.
Tra chi «resiste» pensi a Mimmo Lucano?
Ovvio. Il sindaco degli ultimi, una persona infinitamente buona(non buonista!), pronto a sacrificare la sua umile biografia in nome di un valore che dimora nel suo cuore. Lucano è attualmente il pericolo numero uno per l’establishment e per una società assuefatta al conservatorismo delle paure, all’angoscia di un divenire che intende suonare l’ora del risveglio, dell’intreccio, dei legami altri, dei nuovi colori e delle nuove identità. Un uomo del genere fa gola alle carceri della borghesia perbenista e ai manovratori del male.
A tal proposito, ti chiedo: che rapporto deve sussistere tra «legge» e «giustizia»? Antigone segue la legge del sangue e della pietas, scatenando l’ira di Creonte. Pensi che oggi sia un dovere praticare la disobbedienza civile e morale?
La legge è un atto figlio del tempo, rientra nella cornice della «prima vita», serve a disciplinare i rapporti sociali e risponde a un problema concreto. Essa è storica per definizione. Anzi, proprio perché tale la si può definire. La seconda, invece, sfiora l’intimo e non la puoi esaurire in un enunciato. La giustizia, infatti, è la dolce musica dello spirito, ti entra dentro a gamba tesa e solo un ente asettico la può deridere. Ed è una delle vie principali che porta a quella che chiamo la «seconda vita»: un’altra storia che andrebbe sperimentata nel qui con nuovi occhi e con uno sguardo inedito che possa stravolgere i feroci piani hobbesianisostituendoli con una gioia che freme. La giustizia trascende la legge in modo intrinseco, perché l’infinito sfugge al finito. La giustizia, in altri termini, è un ideale che tuttavia non può dormire sul letto di un ospedale. La legge che insegue altre «leggi positive» ricorda la cecità del primo Agostino, quando nelle Confessioni confessa di aver cercato terra con altra terra. La giustizia, al contrario, è il cielo che insegue l’immanenza. Un impulso che illumina le nostre attese e si appresta ad inventare il mattino, altrimenti è solo una «parola», come si diceva all’inizio. È doveroso disobbedire alla legge in nome del vento che soffia attimi di luce.
Quando dici che l’ipocrisia contagia chiunque, mi viene in mente un tuo articolo (uscito di recente sull’Espresso e dal titolo “Una domanda al cattolico”), dove sostieni che il cattolico odierno finge e tradisce il Vangelo. Quindi anche la Chiesa è ormai al servizio del politically correct, come questo Papa?
Il problema non è il Papa, che tra l’altro prova a rispondere nel migliore dei modi alle nobili esigenze del Concilio Vaticano II. Dirò di più, Francesco resta la guida più attendibile per fronteggiare l’ipocrisia che imperversa nell’oceano confuso del cattolicesimo contemporaneo. Ma, ancora una volta, a me non interessano le parole depositate in encicliche o in vari testi ufficiali. Per quanto importanti, ciò che conta sono i fatti. Basta sfogliare ogni tanto il Vangelo per cogliere la bussola e poi decidersi nell’istante che non mente. Vi sono tanti missionari e sacerdoti in giro per il mondo che non hanno tempo per l’eleganza stilistica o per la comodità di una poltrona, ed esprimono un sorriso che piange in ogni dove. Altri, purtroppo, indossano casualmente l’abito della misericordia. Nei tempi della «morte di dio», un modo per farlo resuscitare è innamorarsi di lui, farsi toccare dallo Spirito, avere una febbre nervosa per quell’amore oltre i confini che invoca una dimensione pulita e celeste.
Dici, inoltre, che il cattolico odia la guerra, disegna arcobaleni con suo figlio, ma non batte ciglio di fronte a un mare assassino. «Odio gli indifferenti − scriveva il giovane Gramsci ne La città futura −. Chi vive veramente non può non essere cittadino e partigiano». Già molto prima, Leopardi denunciava nello Zibaldone «l’abito detestabile di indifferenza profonda, radicata verso se stessi e gli altri» che costituisce «la peggior peste de’ costumi, de’ caratteri, della morale». E ancora, «se l’odio appartiene ad ogni essere umano − sostiene questa volta Etty Hillesum −, ciascuno deve distruggere innanzitutto l’odio che ha in sé e avvicinarsi all’altro con amore e confrontarsi con lui con amore». Da dove nascono odio e indifferenza?
Nascono nel tentativo (vincente) di conciliarsi fin da subito con il mondo. Nell’articolo che ricordavi, ho scritto che un vero cristiano deve sfidare il suo tempo e trovarsi in perenne disaccordo con le offerte promosse dal «principe della terra». Il mondo di oggi propone noia, merci di scambio fra persone, omicidi e suicidi consumati nel silenzio di una squallida gerontocrazia, gioco e divertimento a tutte le ore, leggerezza libertina, bieco conformismo, ondate naziste e cavolate virtuali. Se il cristiano, ma chiunque, accetta queste proposte imprenditoriali, galleggia nel nulla e scivola appunto nello spettacolo dell’indifferenza, la quale provoca sempre più vittime tra le nuove generazioni. L’odio è il fratello gemello dell’indifferenza, perché se niente ha senso, il «niente» diviene la verità e capovolge ogni cosa. Il mondo lancia di continuo un’idea infernale e crea una situazione storica chiedendo una risposta. Vi sono due modi di reagire, come ho cercato di dire sin qui. Si può rispondere con il linguaggio della terra, della carne, della notte, del primo Agostino; oppure con i paragrafi del sentire, con il sovrasensibile, con l’indicazione proveniente dall’alto, con le delucidazioni dello Spirito, con la nuova vita. Nel primo caso basta un attimo per sprofondare nelle tecniche dell’indifferenza e dell’odio; nel secondo ci vuole pazienza per consolidare le scene dell’amore e della verità.
Una questione che stai affrontando spesso negli ultimi tempi: i giovani. La perdita dei valori, il loro smarrimento, la mancanza di ideali e progetti, la loro solitudine. Che cosa vuoi dire tu, come giovane, ai giovani?
Di abbandonare i padri, i maestri, i «vecchi», i tromboni del nulla. Queste figure costituiscono il «mondo» e hanno tradito la nuova speranza. Chiedo al giovane, chiedo a te che forse mi leggi, di assaporare la bellezza del volto di Gesù (lui non ti tradisce) in ogni marciapiede che calpesti, di cercare la tua interiorità anche nell’incontro inaspettato con i volti, di inseguire i tuoi desideri impossibili, di vivere adesso la «seconda vita».
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