Filosofia
La felicità a volte è stare in una situazione paradossale, e abitarla
«Il compito che un uomo deve assolvere nella sua vita è quindi nel fondo sempre indicato e non è mai in sostanza inadempibile»
Viktor Frankl
Sono convinto che la causa principale della nostra sofferenza, di cui molte volte non siamo neppure consapevoli, sia la fatica di trovare un senso: che senso ha quello che sto vivendo? A cosa serve? È la domanda più profonda e nello stesso tempo più inafferrabile. Sembra che sia decisivo trovare questo senso, eppure non è mai veramente chiaro cosa sia. Intanto tiriamo avanti, senza pensarci troppo, cercando di convincerci che qualcosa di buono in questa vita ci sarà.
Molto spesso confondiamo il senso con le emozioni: cerchiamo stimoli, proviamo a stordirci, proviamo a noleggiare consolazione dopo consolazione. La vita diventa un vuoto da riempire.
Ma quello che ci toglie la gioia è quell’interrogativo solitario che di tanto in tanto riaffiora: corro, corro, ma per andare dove?
Non so se la gioia sia davvero qualcosa da rincorrere. A me sembra che, come diceva Frankl, la vita abbia di volta involta, attimo dopo attimo, generosamente, un compito per noi. Ho l’impressione che la gioia stia in quest’armonia tra la domanda della realtà, che mi affida questo compito, e la pazienza di prendere questo compito e cercare di rispondere. Sembra paradossale, ma forse è il presente stesso che dà senso alla mia vita: qual è oggi il compito che la vita mi sta affidando? E la grande scoperta è che la vita non smetterà mai di propormi, generosamente, un compito a cui rispondere.
Nel Vangelo di Luca persone che si trovano in situazioni diverse chiedono a Giovanni Battista esattamente questo: che dobbiamo fare? Aiutaci a capire quel è il compito che oggi la vita ci sta mettendo davanti.
Ed è la stessa domanda che papa Francesco sollevava nel suo discorso al Convegno ecclesiale di Firenze: «Ma allora che cosa dobbiamo fare, padre? – direte voi. Che cosa ci sta chiedendo il Papa? Spetta a voi decidere: popolo e pastori insieme».
La felicità a volte (o forse sempre) è stare in una situazione paradossale e avere il coraggio di abitarla: : trovare Dio in tutte le cose è trovare il senso là dove la storia mi mette. È il senso delle beatitudini, situazioni paradossali, in cui non ci aspetteremmo di essere felici: la povertà, il pianto, la fame, l’ingiustizia…non sembrano situazioni in cui gioire, ma a volte sono situazioni da assumere (non da sopportare). Anche lì occorre domandarsi: cosa mi sta chiedendo la vita?
Anche laddove ci sembra impossibile trovare qualcosa di buono, siamo invitati a cercare: persino ai pubblicani e ai soldati, a coloro che avevano a che fare con il denaro e con le armi, a coloro che contribuivano a mantenere in vita un sistema di ingiustizia e di oppressione, Giovanni Battista non dice di distruggere quello che sono, non dice di smettere di stare là dove sono, dice piuttosto di trasformare le situazioni in cui vivono.
Tante volte non possiamo cambiare le situazioni in cui ci troviamo, ma possiamo modificare il modo di starci. Non è mai la tua vita ad essere sbagliata, ma forse il modo in cui la stai vivendo.
Anche a Pietro e ai primi compagni, Gesù non chiederà di smettere di essere quello che sono, non chiede loro di non fare più i pescatori, ma di farlo in un modo nuovo: sarete sì pescatori, ma pescatori di uomini.
Cosa dobbiamo fare? Ciascuno ha la sua domanda, perché ciascuno trova la sua risposta là dove si trova. Ma a tutti viene chiesto di partire dalla solidarietà. Il peccato dell’umanità, che attraversa ogni epoca, è l’accaparramento di ciò che è di tutti. Adamo continua a vivere nelle nostre società, quell’Adamo che vuole afferrare il frutto e tenerlo per sé, quell’Adamo che vuole diventare il padrone del giardino che è di tutti. L’economia è l’immagine più reale, più vivida, delle dinamiche di peccato: una ricchezza che è di tutti, strappata con l’inganno da qualcuno, che se ne considera beneficiario privilegiato.
Se c’è un compito per ciascuno, c’è anche un compito per l’umanità intera: ripartire dalla solidarietà. La realtà ci sta chiedendo, ci sta affidando il compito perentorio, di ritrovare nel nostro essere uomini il fondamento della comunione, l’appello alla condivisione, lo stile della solidarietà. Se non rispondiamo a questo compito, saremo responsabili di una grave colpa: quella di toglierci la gioia reciprocamente.
Giovanni Battista infatti non comincia dallo Spirito, ma dall’acqua: comincia dalla nostra umanità, comincia con il restituirci alla nostra umanità, a quello che siamo innanzitutto. È un’anticipazione di quello che Gesù illustrerà nella parabola del Samaritano: non sono il sacerdote e il levita a fermarsi, nonostante il culto che hanno appena celebrato, ma il Samaritano, l’uomo davanti ad un altro uomo. Prima della nostra religiosità, c’è dunque un livello più fondamentale che non può essere eluso, quello del nostro essere uomini davanti ad altri uomini.
Che cosa devo fare? È dunque la domanda dell’uomo che vuole ricominciare dalla propria umanità.
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