Filosofia
Karl Marx di Isaiah Berlin: «un po’ riccio, un po’ volpe»
«Karl Marx» è l’unica monografia di Isaiah Berlin, noto soprattutto per i suoi saggi brevi, un tipo di scrittura che ha “fatto scuola”, dopo di lui.
È il 1933, Berlin ha 24 anni non è un entusiasta di Marx. Eppure la sua monografia (che pubblica sei anni dopo nel 1939) non è quella di un avversario che vuole liquidarlo e «sbarazzarsene».
Il Marx che esce da questo libro – la prima prova di quella «storia delle idee» che Berlin poi rivendicherà come il proprio terreno privilegiato di ricerca – non è quello astratto intemporale, comunque non è l’icona cui l’hanno relegato le dispute dei suoi molti «entusiasti sostenitori». Il Marx di Berlin è un uomo immerso nel suo tempo, ma la cui conoscenza è indispensabile per la comprensione del mondo contemporaneo, qualunque sia il giudizio sulla sua opera e sugli sviluppi del marxismo.
«La volpe sa molte cose, ma il riccio ne sa una grande». Riccio e volpe è un’espressione su cui Berlin ha riflettuto molto e che per certi aspetti costituisce un codice culturale della sua scrittura saggistica.
Karl Marx è un po’ riccio e un po’ volpe.
Questa la sintesi di Berlin, che pure non simpatizza: significa che da una parte sta la tendenza ad approfondire una nuova conoscenza, ossia la tendenza ad una visione equilibrata del riccio; dall’altro, la ricerca delle contraddizioni di una volpe ci aiuterebbe ad aumentare i nostri limiti nel ragionamento. Berlin soprattutto nei due capitoli conclusivi quando improvvisamente il modello di sviluppo industriale che ha funzionato come codice culturale nella costruzione del suo opus magnum, Il Capitale, non funziona più come codice universale.
La conseguenza che ne trae Marx è che si tratta di riconsiderare la costruzione e i modelli, economici e sociali delle realtà antiche, delle economie precapitalistiche non solo della comune contadina russa, ma soprattutto della Cina, delle realtà economiche maghrebine con cui si confronta negli ultimi anni di vita.
Nella struttura della monografia di Berlin contano molto alcune tappe che sono contemporaneamente di vita, ma soprattutto di ambiente: conta il mondo della Berlino studentesca di dine anni ’30; l’inizio della scrittura politica, poi contano, soprattutto, i luoghi della formazione: Parigi e Bruxelles tra 1843 e 1848, poi il ritorno in Germania infine l’esilio a Londra.
In quegli anni poi saranno le vicende della Prima Internazionale, la costruzione del Primo libro de Il Capitale, l’attenzione alle economie non capitalistiche la Russia e la comune agricola, ma poi anche la realtà dell’economia di villaggio in India) e appassionare un intellettuale molto strutturato nella sua vita di lavoro, ma anche estremamente curioso. Molto appassionati, molto irascibile, ma anche estremamente fragile nei suoi sistemi e affetti.
Ma sono soprattutto gli anni tra Berlino e Parigi (su cui si è concentrato Raoul Peck nel suo Il giovane Marx) quelli su cui Berlin fissa il canone di costruzione di questa biografia.
In quei due capitoli (il quarto e il quinto) sta il cuore del processo formativo di Marx e in quelle pagine Berlin costruisce il senso di quella ricostruzione biografica.
Il quadro è quello dell’intellettuale che cerca di trovare prima un ordine a un sistema che avverte come infranto e poi a ripensare complessivamente a un nuovo ordine che ristabilisca il senso dell’equità, laddove, come tornerà a ripetere in uno dei suoi ultimi scritti (Critica al programma di Gotha) , come acutamente sottolinea Berlin, il problema dell’eguaglianza non è distribuire i beni secondo il principio di eguaglianza (a ognuno la stessa cosa) ma secondo un principio di razionalità, perché come scrive Berlin, non essendo eguali né le capacità individuali né i bisogni degli individui dovrà fare i conti con la reciprocità (il che allude indirettamente alla terza delle tre parole chiave dell’ 89 – la fraternità – da sempre categoria problematica nella storia umana.
È il tema su cui Marx propone la sua prima vera prova di riflessione volta a coniugare diritto e giustizia: lo scritto è quello sulla questione dei furti di legna e che poi trova la sua prima costruzione concettuale nelle note di economia e nel confronto con Saint Simon, Sismondi, poi Smith, ma soprattutto i teorici del socialismo (Weitling, Proudhon, Bauer).
Il tema come osserva in un passaggio dove l’elemento della moralità dell’economia si incontra con la tensione al cambiamento, sta nel proporre una riforma della società che proprio sul cambio di morale stabilisce il suo punto di passaggio, sta nell’abbandonare la visione egoistica della felicità per averne una universalistica.
«L’anima piccola, taccagna, senz’intelletto ed egoistica dell’interesse – scrive Marx – vede solo un punto, il punto dove esso viene offeso, simile all’uomo rozzo che quasi tiene il passante per la più infame, riprovevole creatura che esista sotto il sole, perché questa creatura gli à pestato i calli. Converte i suoi calli negli occhi con i quali vede e giudica; fa del punto sul quale il passante lo ha toccato l’unico punto nel quale l’essenza sua ha contatto con il mondo».
L’uomo arrabbiato con un passante che gli ha appena pestato i calli: l’uomo non riesce a vedere il passante se non come qualcuno che ha interferito con una frazione del suo benessere; e non è in grado, per questo, di riconoscere nel passante un essere umano come lui, analogamente allo Stato prussiano, che ha smesso di considerare coloro che raccolgono la legna caduta come persone in carne e ossa, mosse dalla necessità e dal bisogno.
Berlin non nasconde il suo scetticismo nei confronti del laboratorio proposto da Marx, ma non si comprenderebbe il suo interesse per una figura e un pensiero che pure non condivide, se non in relazione a un tempo storico in cui scrive e che è bene non perdere di vista, anche da parte del lettore odierno.
Gli anni tra le due guerre, soprattutto gli anni ‘’30, sono quelli che acquistano anche un sapore di sfida rispetto a Marx. Non è come rispondere alla crisi economica, ma è soprattutto la forza dei testi e della riflessione critica che impone Marx come tema. In quegli anni, infatti, si registrano due flussi di produzione che innervano gran parte delle pagine di Berlin.
Da una parte sta un «Marx ritrovato» si potrebbe dire. Sono quelli gli anni in cui dagli archivi emergono nuove pagine di Marx che obbligano anche i suoi critici più radicali a confrontarsi con l’improvvisa ricchezza dei suoi percorsi di studi.
Tra il 1927 e il 1939 infatti è pubblicata (ma gli studiosi ne verranno a conoscenza solo nel 1953) una prima versione dei Grundrisse (Lineamenti di critica dell’economia). Verranno pubblicati in forma ristretta e nel 1941. Il primo vero e proprio lancio sarà nel 1953. Ancora nel 1932 escono i carteggi di Marx e Engels con Bebel, Liebknecht, Kautsky. Nel frattempo nel 1927 esce la Critica alla filosofia del diritto dio Hegel,, mentre del 1932 sono i Manoscritti economico-filosofici ad essere pubblicati per la prima volta e una a prima versione de L’ideologia tedesca.
Ma quelli sono anche gli anni di un «Marx rinnovato» che rimettono in discussione piattaforme consolidate di lettura. Nel 1923 György Lukács pubblica Storia e coscienza di classe; nello stesso anno Korsch pubblica Marxismo e filosofia. Nel 1926 Henri de Man pubblica Au de la du marxisme. Alexandre Kojève tra il 1931 e il 1938 propone una lettura una rilettura del rapporto Hegel/Marx. Ernst Bloch inaugura una lettura in cui il dato materiale (ciò che chiama “la materia”) risulta relativizzato dal tempo che la accoglie (il fronte”) e dal “novum” della sua futura possibilità.
Così il tentativo di far dialogare marxismo russo e sovietico con marxismo occidentale, quale stanno alla base del tentativo intrapreso da Bucharin con il suo Teoria del materialismo storico (1921) si scontrano con i nuovi approcci che iniziano a prendere forma in Occidente e soprattutto nelle figure dell’emigrazione tedesca che ha il problema non di celebrare il potere, ma di scoprire dove la propria capacità di analisi del presente è venuta meno; come dare nuova forma al diritto al sogno; come scoprire una dimensione della creatività della teoria non della consolazione della ideologia.
La monografia di Berlin sta lì ed è anche il risultato di una curiosità intellettuale di una figura che non si lascia condizionare dalle proprie convinzioni. Anche questo, forse, contribuisce a fare di Karl Marx, un libro che resiste al tempo.
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