Filosofia
Il senso pienamente fisico della lontananza
Scritti sperimentali ed eterogenei, dislocati in un arco compositivo piuttosto dilatato e contrappuntati da una stesura non priva di rifacimenti e correzioni (nonché da una fitta trama di rimandi e riferimenti intertestuali con le Lettere e, soprattutto, lo Zibaldone), le Operette Morali di Giacomo Leopardi (1798-1837) sono – per dirla con il loro stesso autore in una epistola del 6 dicembre 1826 – “un libro di argomento profondo e tutto filosofico e metafisico”. Ma, come acutamente rileva Cesare Galimberti, “Leopardi ignora la possibilità di un pensiero separato dall’espressione”; e nelle Operette Morali Leopardi deve fare i conti, innanzitutto, proprio con il problema dell’espressione, trovando una soluzione nell’antica forma del dialogo filosofico. I suoi modelli sono presto dichiarati: nei Disegni Letterari (1819-20) Leopardi parla di “dialoghi satirici alla maniera di Luciano”, mentre nella Lettera a Pietro Giordani del 4 settembre 1820 parla di “prosette satiriche”. Ma tali affiliazioni vengono puntualmente trascese in una cifra originale che, di volta in volta, si misura con le specificità tematiche di ogni singola operetta, declinandosi in maniera altrettanto personale e creativa e, quindi, senza lasciarsi imbrigliare, vincolare e imprigionare dai modelli medesimi.
È ancora nello Zibaldone che Leopardi indica la strada che si è scelta in rapporto al suo soggetto cardinale, la Natura:
Paragonando la filosofia antica colla moderna, si trova che questa è tanto superiore a quella, principalmente perché i filosofi antichi volevano tutti insegnare e fabbricare: laddove la filosofia moderna non fa ordinariamente altro che disingannare e atterrare… E questo è il vero modo di filosofare […] perché in effetto la cognizione del vero non è altro che lo spogliarsi degli errori, e sapientissimo è quello che sa vedere le cose che gli stanno davanti agli occhi, senza prestar loro le qualità ch’esse non hanno. La natura ci sta tutta spiegata davanti, nuda ed aperta. Per conoscerla non è bisogno alzare alcun velo che la cuopra: è bisogno rimuovere gl’impedimenti e le alterazioni che sono nei nostri occhi e nel nostro intelletto; e queste, fabbricateci e cagionateci da noi col nostro raziocinio. Quindi è che i più semplici più sanno: che la semplicità […] è sottilissima, che i fanciulli e i selvaggi più vergini vincono di sapienza le persone più addottrinate: cioè più mescolate di elementi stranieri al loro intelletto… (21 maggio 1823).
Claudio Carini – inaugurando nel 2004 l’attività di Recitar Leggendo, la sua casa editrice di audiolibri – guardò subito con particolare attenzione al Leopardi delle Operette Morali e dei Canti. E fece bene, perché la prosa delle Operette Morali – “gravitante […] intorno a pochi perni, costituiti da espressioni cariche di sensi simbolici, che riconducono ai centri della meditazione veramente filosofica: la felicità, la morte, il destino, il nulla” (Cesare Galimberti) – ben si addice alla sua tempra di interprete nobile e austero; e il suo eloquio, sempre misuratissimo e mai sopra le righe, si sforza di aderire con costanza ai diversi registri espressivi che si possono cogliere in questi scritti, in cui non mancano neppure autentiche trovate che sarebbero ancora più intriganti se lo stesso Leopardi – e le sue correzioni da una stesura all’altra ne fanno fede – non si fosse imposto un freno per paura di troppo realismo o di eccessiva ironia.
Per restare nei limiti di durata di un solo CD AUDIO, Carini sceglie soltanto cinque dialoghi attingendoli fra i più noti: il Dialogo di un Venditore di almanacchi e di un Passeggere, il Dialogo della Natura e di un Islandese, il Dialogo di Cristoforo Colombo e di Pietro Gutierrez, il Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare e il Dialogo di Federico Ruysch e delle sue Mummie, scritti quasi tutti – ad eccezione del primo (1832) – nel 1824.
Dovendo differenziare con chiarezza i personaggi di ciascun dialogo (a parte l’ultimo, in cui l’esecuzione del Coro di morti nello studio di Federico Ruysch viene brillantemente risolta con un espediente tecnico di “addizione” vocale), Carini oscilla in genere su diverse intonazioni di base e definite coloriture timbriche del parlato: in linea di massima, una grave e scura e una acuta e chiara, affidando alla prima il personaggio di volta in volta più riflessivo, pensoso, lucido e disincantato; così nel Dialogo di un Venditore di almanacchi e di un Passeggere e nel Dialogo della Natura e di un Islandese sono, rispettivamente, il Passeggere e la Natura ad avere l’intonazione grave e scura.
Nella prima sortita di Ruysch, Carini non si lascia tentare dai tratti scopertamente comici del testo e rinuncia a una loro drammatizzazione; tuttavia riesce lo stesso a dare credibilità e autenticità al personaggio, tra l’altro, con alcune preziose sottolineature foniche senza per questo uscire necessariamente allo scoperto (vedi la caratterizzazione delle parole “tremo” e “morti”, che contengono già in sé stesse la vibrazione acustica della paura); e, inoltre, con una sapiente gradazione dinamica.
Nel Dialogo di un Venditore di almanacchi e di un Passeggere, ancora, l’interpretazione di Carini coglie nel segno anche con pochi tocchi essenziali. Si ascolti ad esempio la geometrica sillabazione della frase centrale del Passeggere (e di tutto il dialogo, in verità):
Quella vita ch’è una cosa bella, non è la vita che si conosce, ma quella che non si conosce; non la vita passata, ma la futura.
Oppure si ascolti l’ultima frase proferita sempre dal Passeggere
Ecco trenta soldi.
con la stessa intonazione discendente della precedente
Dunque mostratemi l’almanacco più bello che avete.
ma dislocata stavolta in tre sole parole: vi si avverte l’insinuarsi di una emozione nuova per questo personaggio, che fino ad ora si era limitato a condurre le redini del dialogo con il suo interlocutore; e si tratta di qualcosa di indefinibile compreso fra la pietà, la noia e la degnazione, cui fa da contraltare la voce stolida, fondamentalmente inconsapevole e ancorché intimidita, del Venditore.
Nel Dialogo di Torquato Tasso e del suo Genio familiare, infine, lo spiritello dissimula in condiscendenza e commiserazione quella che suona, velatamente, come una sommessa improntitudine. Ed è bello il contrasto che viene così ad instaurarsi fra l’umanità quasi pudica, nonché a suo modo fragile e ingenua, del Tasso, da un lato, e la chiaroveggenza vagamente irritante del Genio, dall’altro; e l’umanità del Tasso è così intrisa di nostalgia e di languore che Carini conferisce alle sue parole
Oh potess’io rivedere la mia Leonora.
il senso pienamente fisico – e quindi struggente in misura esponenziale – della lontananza.
Giacomo Leopardi, Operette Morali
Lettura interpretata da Claudio Carini
Recitar Leggendo, Perugia 2004 – www.recitarleggendo.com
1 CD AUDIO oppure download file .mp3
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