Filosofia

Il letto di Ulisse nella civiltà occidentale

28 Agosto 2017

Erano seduti l’uno al cospetto dell’altro e le fiamme del camino, con il loro bagliore luccicante, diffondevano una calda luce per tutta la sala.

Era appena terminata la strage dei proci, tutti trucidati da Ulisse; la prova che fosse tornato ad Itaca l’aveva già data: con la forza e vigoria che Atena gli aveva donato, seppe tendere magnificamente l’arco e la freccia scoccata attraversò gli anelli di dodici scuri.

Con Telemaco e l’aiuto dei suoi mandriani fedeli, Eumeo e Filezio, incominciò la mattanza ed i proci che avevano infestato la sua casa, occupandola senza titolo ogni sera con ricche libagioni allestite  con  vino buono e  carni  saporite, furono ammazzati tutti.

Nella sala centrale della reggia erano seduti l’uno di fronte all’ altro: non si guardavano, abbassavano lo sguardo.

Ulisse era soddisfatto per aver liberato la sua casa da usurpatori: si sentiva nuovamente Re,orgoglioso della sua forza ed il suo indomito coraggio.

Penelope, invece, che si era ritirata nelle sue stanze e non aveva visto l’eccidio, era adirata, perché il sogno che aveva fatto la sera prima si era tutto avverato.

Aveva sognato che le sue oche, che stavano pizzicando grano, fossero aggredite da un’aquila dal becco adunco che, rapace, le aveva sgozzate tutte, allo stesso modo di Ulisse che aveva accoppato i Proci.

Ora erano l’uno di fronte all’altro e non parlavano; così descrive la scena Omero:

“Discese dalle stanze di sopra: nel cuore era incerta, se interrogare da lontano il marito

O accostatasi, prendere e baciargli il capo e le mani.

Entrò e varcò la soglia di pietra,

poi sedette di fronte ad Odisseo, nel raggio del fuoco all’altra parete: egli, guardando in basso, sedeva

appoggiato ad un’alta colonna, aspettando se gli avrebbe parlato la nobile sposa, dopo averlo veduto con gli occhi.

Lei sedeva a lungo in silenzio, lo stupore invadeva il suo cuore:

ora, cogli occhi, lo ravvisava nel viso, ora, per le sue misere vesti, non lo riconosceva.”

(L’Odissea- Omero libro XXIII versi 85-95 traduzione di Aurelio Privitera).

Telemaco, figlio di Ulisse, rimprovera sdegnosamente la mamma; dice che ha un cuore duro, come una pietra, perché non abbraccia il suo nobile e valoroso sposo che, dopo vent’anni di guerra, orribile, rovinosa ed un periglioso viaggio per mare contro il Dio Poseidone, è tornato nella sua Itaca e la sua sposa superba, altera e cattiva nel cuore non l’ha voluto riconoscere.

Nessuna altra donna starebbe così, con cuore ostinato, lontana dal proprio marito, che sofferti molto dolori tornasse nella terra dei padri, ma il tuo cuore è sempre più duro di un sasso”(versi 100-105).

Luigi Malerba, finissimo scrittore nel suo bellissimo libro “Itaca per sempre” così immagina la reazione stupefatta di Ulisse: anima mia le ho detto, per venti anni ho sognato questo giorno. A te pensavo sotto le mura di Troia quando il buio scendeva sull’esercito acheo e di te ho sempre parlato con i miei compagni di guerra e un ricordo amoroso ti rivolgevo ogni volta che partivo per una impresa rischiosa. A te correva il mio pensiero, quando la tempesta faceva ondeggiare la mia nave sui flutti ostili. O quando il feroce Polifemo ci ha imprigionati nella sua spelonca e mi ha privato dei miei compagni migliori. E adesso che ho sgombrato la casa da tutti i pretendenti, tu mi guardi come un estraneo. Ho ascoltato per anni la tua voce dentro una lucida conchiglia che un’onda violenta mi ha strappato dalle mani durante un naufragio, ma ora insieme alla conchiglia ho perduto anche la mia sposa?

Ma Penelope nonostante che Euriclea gli abbia detto che quel mendicante fosse Ulisse,perché nel lavarlo aveva scoperto e rivisto la cicatrice della ferita che il cinghiale gli aveva inferto nella caccia da  giovane condotta sul monte Parnaso, vuole un segno comune solo a Lei ed al Suo amato sposo.

Figlio mio, nel petto il mio animo è attonito

e non posso parlare né fare domanda

o guardare diritto il suo volto.

Se veramente è Odisseo e a casa è tornato, certo noi due

abbiamo dei segni, che noi soli sappiamo, nascosti agli estranei”(versi 105-110).

Pietro Boitani, finissimo studioso del mito di Ulisse, sostiene che nell’incontro tra Odisseo e Penelope si concreta il più suggestivo riconoscimento della letteratura di tutti i tempi.

Il riconoscimento, l’agnizione dei latini, l’anagnorisis dei greci è un elemento centrale della narrazione complessa, della tragedia, perché mette in scena l’affiorare della conoscenza, non in un processo teorico astratto, ma nella carne stessa, nei sentimenti, nell’intelligenza degli esseri umani.

Come è scritto nell’Elena di Euripide riconoscere è un Dio.

Quando si incontrano è per mezzo dei segni che si riconoscono Ulisse e Penelope: qui si concreta il riconoscimento del Dio Amore.

Il segno lo pretende Penelope perché è intimo, segreto, non conosciuto da nessuno, è un fatto che riguarda solo lei ed il suo sposo (Piero Boitani, Riconoscere è un Dio-Scene e temi del riconoscimento nella letteratura Einaudi).

Ma prima del riconoscimento Ulisse deve ritornare bello e forte, come aveva lasciato Itaca venti anni prima: si compie il ringiovanimento per mezzo dell’astuta Atena.

Così narra Omero:

la dispensiera Eurinome intanto lavo’ il magnanimo Odisseo, nella sua casa e l’unse con l’olio, gli gettò un bel manto ed una tunica indosso, mentre Atena gli sparse dal capo molta bellezza: d’aspetto più grande e robusto e dal capo gli fece scendere riccioli a fiori di giacinto. Come quando intorno all’argento versa dell’oro un artefice, che Efesto e Pallade Atena istruirono  sui segreti dell’arte e crea opere piene di grazia, così gli infuse la grazia sul capo e sugli omeri.Egli uscì dalla vasca simile agli immortali nel corpo; di nuovo sedette sul trono da cui si era alzato”(versi 155-165).

Era bellissimo, ma Penelope non si fidava.

Canta Omero:

Orsù, Euriclea stendigli il solito letto fuori del talamo, ben costruito che fece lui stesso; portate fuori il solido letto e gettatevi sopra il giaciglio pelli e coltri e coperte lucenti.

Disse così per provare il marito ed Odisseo sdegnato disse alla moglie solerte:”donna è assai doloroso quello che hai detto .Chi mise altrove il mio letto? …Nessun uomo vivo o mortale, neppure giovane e forte lo smuoverebbe con facilità, perché vi è un gran segreto nel letto lavorato con arte; lo costruii io stesso non altri”(175-180).

Infatti Ulisse ha costruito la casa attorno alla quercia di ulivo, nel cui incavo ha ricavato il letto ed il talamo nuziale. Non può pertanto essere trasportabile, il letto è irremovibile, immobile.

Pietro Citati ne “La mente colorata”, scritto bellissimo e voluttuoso dedicato all’Odissea, ci ricorda che  quando Penelope parla dei segni, Ulisse sorride: il suo unico sorriso nell’ Odissea.

Si direbbe che comprenda perfettamente il linguaggio della moglie e lo approvi: immaginiamo che, fra poco, ci parlerà di uno di questi segni.

Il marito e la moglie sono soli: la prova definitiva, dalla quale uscirà il riconoscimento o la perdita, deve avvenire senza il figlio.

Penelope continua a tacere: non riconosce (non vuole riconoscere) il marito, sebbene sia ritornato come nella giovinezza.

Per la prima volta, Ulisse si rivolge direttamente alla moglie: ormai nessun rapporto obliquo è possibile. Le dice: donna incomprensibile: non capisce perché, ora, non lo riconosca. Non capisce che Penelope desidera il segno. Così accusa il suo cuore di ferro: con una specie di complicità e di ammirazione, perché sa di avere anche lui un cuore ostinato e di ferro; e ordina a Euriclea di preparargli il letto, dove dormirà solo.

Con una perfetta corrispondenza, Penelope rivolge ad Ulisse la stessa parola che lui le aveva rivolto, uomo incomprensibile. Non capisce come Ulisse non abbia capito ciò che desiderava da lui: un segno segreto.

Nel mendico trasformato dalla grazia divina, ritrova il marito, che aveva lasciato Itaca vent’anni prima con le navi dai lunghi remi e per la prima volta gli dà del tu.

Ma la prova degli occhi non le basta: gli occhi possono ingannare, lo straniero può essere un dio. Vuole un segno: il suo segno. E, siccome Ulisse non porta prove, decide di procurarsele con l’astuzia. Si rivolge a Euriclea, che assiste in silenzio alla scena e le dice  di portare all’aperto il letto coniugale, dove da vent’anni non dorme.

Quando Penelope rivolge ad Euriclea queste parole pacate, Ulisse è sconvolto. Quel letto compatto, solidamente fissato nel suolo, con le radici profondamente immerse nella terra, immobile, irremovibile, sottratto a qualsiasi mutamento e cambiamento, è il centro della sua vita .Il letto racchiude tutti gli aspetti dell’esistenza di Ulisse: il rapporto religioso con Atena, perché egli l’ha lavorato nell’ulivo: l’identità, l’ostinata irremovibilità del carattere: ricorda il matrimonio con Penelope, la fecondità della moglie, la casa cresciutagli attorno, il suo potere di re; fonda natura e cultura, le radici ancora vive e l’opera delle sue mani artigiane. Il letto è il grande segno segreto, che soltanto lui, Penelope e un’ancella conoscono. Forse è sfuggito persino agli dèi mascherati, che spiano le sue vicende.

Appena Ulisse rivela il grande segno, le ginocchia e il cuore di Penelope si sciolgono, come accade nell’amore, nel sonno e nella morte. Il letto costruito nell’ulivo è il segno sicuro, del quale può fidarsi. Piange, getta le braccia al collo di Ulisse, lo bacia e gli dice:

Odisseo, non essere irato con me… … :ci diedero pene gli dèi, che a noi negarono di vivere insieme e insieme goderci la giovinezza e toccare la soglia della vecchiaia. Non essere, ora, adirato, non essere offeso se non t’ho detto, appena ti vidi, il mio affetto”(versi 210-215).

Mentre i due si abbracciano si inserisce Omero con una delle più belle similitudini e metafore della letteratura di tutti i tempi:

come appare gradita la terra a coloro che nuotano e di cui Posidone spezzò la solida nave, sul mare, stretta dal vento e dal duro maroso: e pochi sfuggirono all’acqua canuta nuotando alla riva, e la salsedine s’è incrostata copiosa sul corpo, e toccano terra con gioia, scampati al pericolo, così le era caro lo sposo, guardandolo”(versi 235-240).

Non gli staccava più le candide braccia dal collo. Il paragone concentra la vicenda di Ulisse: l’ Odissea è la storia di un sempre ripetuto naufragio, che solo ora si conclude a Itaca, accanto al letto d’ulivo.

Atena trattiene l’aurora e prolunga la notte. Così l’incontro finale tra i due naufraghi avviene fuori dal tempo, che finora ha soggiogato il corso dell’ Odissea . Alla luce delle fiaccole, Eurinome e Euriclea preparano il letto d’ulivo: Euriclea va a dormire; Eurinome guida Ulisse e Penelope fino alla stanza. I due fanno l’amore. Poi hanno un’altra gioia: il racconto.

Fuori dal tempo, entrambi guardano indietro nel tempo; e quanto era stato sofferenza e dolore diventa, per entrambi, la gioia della narrazione. Poi si addormentano. Atena, che aveva fermato il tempo, lo fa scorrere di nuovo e riporta la luce.

Il letto di Ulisse rappresenta nella civiltà occidentale il talamo dell’unione matrimoniale, la fedeltà come segno ineludibile dell’amore tra gli sposi, l’unico vero e grande amore che non conosce surrettizie sostituzioni. Si riunisce in quel letto ed in quell’amore il dolore, la morte, la felicità, la disgrazia, il presente, il passato ed il futuro, la fine e l’inizio della nostra vita sulla terra, la memoria, il dubbio, la certezza, la pena ed il segno della famiglia, tramandato ed accolto anche dalla religione cristiana.

Ulisse ha rifiutato l’immortalitá, congiunta alla giovinezza che gli ha offerto Calipso, per tornare ad Itaca e soffrire la vecchiaia con Penelope. Questa scelta lo fa amare da tutta l’umanità, perché sfida il tempo con la sua terribile e devastante consunzione, quel tempo che porta disgrazia e morte, ma anche quel tempo che fa godere la vita, viverla intensamente, in un frammento di felicità, quando la donano, sia pure per poco gli dei che offrono solo lutti e morte.

Scrive Recalcati che la fedeltà rifiuta il sacrificio di sé, non è il nascondimento di una pulsione fedifraga non è la manifestazione di una mortificazione repressiva della vita, ma riguarda l’esposizione all’amore come atto nel quale si gioca tutto l’essere. Nessuna possibilità di riserva:l’amore come esposizione assoluta al desiderio dell’Altro mette in rilievo l’insostituibilità dell’esistenza particolare dell’amato. Non ci stanchiamo mai di vedere il volto dell’amato, anche quando si consuma per la legge del tempo, anche quando presenta irrimediabili rughe, la finitezza irriducibile dell’essere, anche quando soffre, le pene sue e quelle tue o dei tuoi figli.Li è l’amore non altrove( Massimo Recaltati Non è più come prima. Elogio del perdono nella vita amorosa- Raffaello Cortina Editore).

Nel letto nunziale la nostra dignità appare nuda, incondizionata, permanente, insostituibile: attende l’altra, per diventare una cosa sola, sino alla fine del tempo.

 

 

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