Filosofia

I padri-nonni: una generazione di pretoriani a difesa del Tempio

6 Novembre 2014

Ricordare che morirò presto

è stato lo strumento più importante

che mi ha consentito di fare

le scelte più grandi della mia vita.

Steve Jobs, Discorso di Stanford

 

La vita non rimane mai uguale a se stessa, per quanto ci possiamo sforzare di trattenerla. In uno dei Prefazi per la messa dei defunti, leggiamo che “ai tuoi fedeli, Signore, la vita non è tolta, ma trasformata”. Sarebbe superficiale pensare che solo la morte trasformi la nostra vita: credo piuttosto che tutta la nostra esistenza sia una danza tra il perdere una forma per acquistarne un’altra. Che cos’è la vita se non una continua distruzione affinché qualcosa di nuovo possa nascere. Del resto Gesù stesso, più tardi, inviterà a guardare il seme che muore per dare vita (Gv 12,24).

La distruzione può essere trauma o viaggio: possiamo chiuderci nel pianto per quello che non c’è più (e che non può tornare) o possiamo imparare a dire addio per entrare, danzando, nella nuova forma della vita.

 

Distruggere il Tempio vuol dire distruggere un monumento, un simbolo, un’impresa. L’ostacolo maggiore per la vita sono proprio i monumenti, i musei. I monumenti ci ancorano al passato e ci impediscono di continuare a vivere. I monumenti sono le ideologie, i pregiudizi, i monumenti sono le immagini di noi stessi che ci siamo costruiti, i monumenti sono i ruoli, le posizioni sociali, i miti, i monumenti sono le certezze della fede. Distruggere il Tempio vuol dire lasciare che la vita continui: vuol dire farsi da parte, affinché, chi viene dopo, possa costruire cose nuove.

La generazione dei padri-nonni oggi sta piantonando il Tempio affinché non sia distrutto, il Tempio delle loro costruzioni ideologiche, dei loro interessi, dei loro privilegi. I padri-nonni pretendono di convincere le generazioni più giovani che non saranno mai capaci di costruire un Tempio altrettanto bello. Anzi, non ci può essere un nuovo Tempio dopo quello che loro hanno costruito. I padri-nonni stanno sfidando la legge della vita, quella che Recalcati ha indicato come legge della castrazione e della parola.

 

Gesù parlava del Tempio del proprio corpo. È vero c’è un ulteriore livello di lettura, perché il Tempio è anche simbolo del corpo. Il corpo di ciascuno di noi che custodisce la presenza del divino. Come per il Tempio, di cui i Giudei osservavano le belle pietre (Lc 21,5), così anche per il nostro corpo c’è un gioco tra interno ed esterno, tra immagine e verità.

Ne La metamorfosi di Kafka, la famiglia di Gregor, il protagonista che una mattina si sveglia trasformato in scarafaggio, cerca di fare di tutto affinché non si sappia della metamorfosi. I genitori e la sorella di Gregor fanno di tutto per tenere nascosto quanto è avvenuto all’interno della stanza del giovane. Hanno paura dell’opinione della gente. Fino al punto da andare a gettare via il corpo morto dell’insetto. Non a caso, Papa Francesco ha parlato della società dello scarto, dove ciò che non è presentabile va eliminato: a noi interessano le belle pietre del tempio. E in questo modo diventiamo un monumento per noi stessi. La cura ossessiva dell’immagine è il simbolo di un Tempio vuoto.

 

Sì, il Tempio è immagine del nostro corpo destinato ad essere distrutto. Impedire che questo Tempio, che è il nostro corpo, si trasformi, vuol dire attaccarsi a un monumento, vuol dire fare della propria vita un noioso museo. Accogliere la vita vuol dire accogliere quell’opera di trasformazione, magari non sempre piacevole con le sue ruspe e le sue scavatrici, che continuamente è all’opera nella nostra esistenza.

 

Per costruire quel Tempio che Gesù propone di distruggere e ricostruire (!) erano stati impiegati 46 anni: una cifra simbolica che interpella la mia generazione di quarantenni. Noi quarantenni, come i Giudei, possiamo correre il rischio di non credere più alla possibilità di cambiare. È l’età in cui i giochi sono fatti. Ci aggrappiamo alle belle pietre. Preferiamo a volte rivivere i fasti degli anni della costruzione del Tempio: regrediamo, ritorniamo operai-adolescenti, senza entrare nella responsabilità di chi ammette che adesso il Tempio ha una funzione nuova, il Tempio adesso deve prendersi cura di coloro che vi entrano, deve essere spazio accogliente per chi cerca.

Ma, come nel racconto evangelico, quel Tempio, che è il nostro corpo, diventa talvolta luogo di mercato, luogo in cui mercanteggiamo l’affetto, luogo non del sacrificio, ma luogo della compravendita delle relazioni. E paradossalmente nel Tempio si fa mercato persino con le cose apparentemente spirituali: quegli animali (le pecore, i buoi, le colombe), persino le monete, servivano per i sacrifici nel Tempio. Sì, a volte siamo maestri nel giustificare con sante ragioni il mercato del nostro cuore, i furti d’amore, le tasse sull’affetto. Eppure quel Tempio che è il nostro corpo è lo spazio dell’incontro con il divino non un mercato di animali.

“Distruggete questo Tempio e in tre giorni lo farò risorgere”, è vero, Gesù parlava del suo corpo, ma molto probabilmente anche del nostro.

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