Filosofia
I nuovi demoni. Ripensare oggi male e potere
Simona Forti – docente di Storia della Filosofia politica presso l’Università del Piemonte Orientale e Visiting professor alla New School for Social Research di New York – nel suo ultimo saggio intitolato “I nuovi demoni. Ripensare oggi male e potere” (Feltrinelli) analizza diverse ipotesi riguardanti la genesi del male, collegando il tema al concetto di potere dall’antichità classica fino all’epoca contemporanea.
Moltissimi sono gli studiosi e i riferimenti letterari presi in esame dall’autrice: la riflessione inizia con le opere di Dostoevskij in cui si evidenzia un “paradigma”, una dicotomia tra Bene e Male dove abbiamo un carnefice assoluto e una vittima altrettanto assoluta (come i membri delle SS, durante il nazifascismo, e i bambini uccisi nelle camere a gas), dualismo che si è affermato con l’avvento del Cristianesimo; in questo caso il male è, principalmente, dettato da una pulsione di morte causata da un delirio di onnipotenza portato all’estremo (Freud e il lato oscuro degli esseri umani) o dall’allontanamento da Dio e dai suoi dettami.
Il percorso, poi, si arricchisce delle riflessioni di Nietzsche e della Arendt che iniziano ad aprire una nuova prospettiva dell’origine del male, ravvisando nella violenza e nel desiderio di annientamento (nelle tanapolitiche, ad esempio) la volontà di far sopravvivere la mera vita, quella biologica, annullando la vita materiale, psicologica, cosciente di un singolo, di un popolo, di una etnia: pensiamo al pensiero (neo)liberale che inneggia alla vita come flusso di energia che deve essere eterno con un’ attenzione alla funzioni del corpo che deve essere sempre in salute, produttivo e che deve assicurare il mantenimento della specie. Qui si annidano le basi di quel potere che agisce in nome della necessità della vita (biopotere) e del razzismo, anche di Stato. (“Il razzismo consentirà di dire: “ più le specie inferiori tenderanno a scomparire, più gli individui anormali saranno eliminati, meno degenerati rispetto alla specie ci saranno, e più io – non in quanto individuo, ma in quanto specie – vivrò, sarò forte, potrò prolificare”, scrive M. Foucault, in “Bisogna difendere la società”).
Bataille e Deleuze affermano che il male è una rivolta verso tutte le convenzioni e le leggi che dicono di tendere al bene (Antigone insegna); ma per attuare questa rivolta è necessaria la libertà: e se il potere (con la tecnologia, oggi) limitasse anche questa forma di libertà? E’ necessario, dunque, rifondare l’Etica: “Nella sofferenza che schiaccia l’Io e nella sofferenza che l’Io prova per la sofferenza di Altri, si mette in moto un movimento di rottura dell’immanenza in cui si può scorgere non soltanto un significato religioso. Esso apre la traiettoria stessa dell’etico”. L’Io è costretto – e questo è suggerito da Lèvinas – ad uscire dal proprio autoripiegamento. Questa tesi è sviluppata nella seconda parte del libro in cui, prima di tutto, la Prof.ssa Forti ribadisce che, nell’epoca contemporanea è più che mai presente un’ostinata passione per la vita (come assoluto) che porta con sé la volontà di esistere – e per sempre – volontà che ha come conseguenza il conformismo cieco, la docilità verso norme (politiche, sociali) che promettono la vita eterna in cambio di obbedienza; ma poi, tramite lo studio dei testi di pensatori dell’Europa dell’Est come Jan Patočka, riflette sull’ importanza di una “cura dell’anima” che si fa prassi del dissenso: non è necessariamente soltanto una critica al socialismo reale, ma può diventare un’azione etica per affrontare il male nel Presente. La cura dell’anima – come per il movimento di opposizione Charta ’77 – può esprimersi tramite scelte e gesti quotidiani di resistenza a un potere onnipervasivo (come suggerisce anche Vàclav Havel, ex presidente della Cecoslovacchia e filosofo). Per Patočka e Havel la via possibile per arginare la normalità del male, succube e silenziosa, è data dal rapporto dell’Io con la propria interiorità, con la verità (parresia) che racconta prima di tutto a se stesso. In linea con Husserl, ma più profondamente con Heidegger, la cura dell’anima di Patočka prevede l’abbraccio della parte notturna, la morte, come parte indistinta di quella giornaliera: notte e giorno, oscurità e luce fanno parte, entrambe, dell’esistenza. La debolezza e la fine vanno accettate come integrazioni della vita, della forza, del potere; sono un tutt’uno; come si può accettare (e andare incontro alla notte in maniera del tutto etica e rivoluzionaria)? Prendendosene cura, distaccandosi dalle pratiche quotidiane, definite spesso da altri e affermando l’etica soggettiva del “decido io, anche se ciò comporta morire”. E’ il demone diurno che porta gli Uomini alla servitù, ma è bello poter lasciar scorrere dentro di noi Dioniso, come consiglia Durkheim, la festa, il demoniaco, l’eccessivo, il diverso. L’etica che permette a me, e solo a me, di stabilire quali siano i limiti dal concreto per lasciare spazio, invece, anche all’Arte, all’immateriale, alla profondità del pensiero (Musil) e, così, costruire la mia coscienza dove il nemico non è più colui che va eliminato in nome dell’assolutezza della via vuota, ma è colui che fa parte di me, che partecipa della mia esperienza sulla terra e che, come me, dovrà morire. Colui che condivide con me questo tragico, sublime destino.
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