Filosofia
Fenomenologia della masturbazione mentale
Ammettiamolo, quasi tutti praticano con una certa assiduità la masturbazione mentale, ma solo pochi “eletti” si interrogano sul reale significato di questa curiosa abitudine. Forse perché i più, nella speranza di conservare qualche briciola d’amore per se stessi, preferiscono lasciare un po’ di mistero tra la propria parte superficiale e la propria parte profonda. O forse perché, pur non adorando i misteri, hanno di meglio da fare che trastullarsi con i risvolti meno scorrevoli della condizione umana.
Ad ogni modo, nel nostro piccolo, avvertendone l’urgenza, riteniamo arbitrariamente che i tempi siano maturi per approfondire la questione. E che l’indagine sulle “pippe mentali” possa risultare, a sua volta, come una mastodontica pippa mentale, la pippa mentale per eccellenza, la regina delle pippe mentali o, in altro registro, come un circolo vizioso dei più riusciti, per il momento, non ci interessa, né ci spaventa.
Da dove partire? Beh, intanto, per addentrarci meglio nell’argomento, suddividiamo la vasta fenomenologia della masturbazione intellettiva in due macroinsiemi: quello della ginnastica teoretica farraginosa e quello della moltiplicazione creativa delle preoccupazioni.
Nel primo caso, abbiamo a che fare con un autoerotismo cerebrale innocuo. Il quale si presenta in linea di massima come pensiero destrutturato, ondivago, indisciplinato, inconcludente, come simulazione compiaciuta e inconsapevole del ragionamento rigoroso, come grammelot filosofico, come naufragio nei massimi sistemi. Caratteristiche che farebbero presupporre un piacere intellettuale – altrimenti perché parlare di autoerotismo – legato all’infecondità.
Non, banalmente, un piacere infecondo, ma il piacere dell’infecondità stessa, dell’inconcludenza. Non un eros platonico, una visionaria tensione conoscitiva, bensì una cieca esuberanza vaneggiante. Non materiale per accademici, ma nutrimento per uscite serali poco fortunate.
Nel secondo caso, invece, ci confrontiamo con una forma di cerebromasturbazione decisamente più nociva. Che ha molto da spartire con l’approccio alle feste di Nanni Moretti in Ecce Bombo o con Dawson Leery, Joey Potter e il loro modo di intendere il coito: astratto, problematico, cavilloso.
Il sapore che emana ricorda quello della guerra rituale tra inconscio e realtà inscenata dalla nevrosi, un misto di unghie logore, combustione nicotinica e sesto caffè della giornata. Un default emotivo angoscioso accompagnato da contorsionismi riflessivi fallimentari in base ai quali ogni situazione possibile viene immaginata in ogni sua variabile negativa, con scarso rispetto per il calcolo delle probabilità.
Il peggio è all’ordine del giorno e la spiegazione più arzigogolata, non quella più semplice, è sempre da preferire. Esempio: se cade una penna dal tavolo, il frequentatore ortodosso della masturbazione mentale di questo tipo non si limita a constatarne la caduta, ma ne deduce il suicidio. Esempio numero due, più comune: se A telefona a B e B non risponde, B non può semplicemente non aver sentito il cellulare, deve per forza essere morto o dedito all’adulterio.
Ora, la ricerca del principio di piacere all’interno di tale meccanismo “autoerotico” si fa davvero faticosa e, ammesso che sia presente, tende ad assumere tinte noir che meriterebbero, forse, una trattazione a parte. Un eventuale saggio sul tema potrebbe intitolarsi “Dacci oggi il nostro masochismo quotidiano”.
In conclusione, possiamo sbarazzarci delle pippe mentali oppure la nostra malconcia psiche postindustriale non può proprio farne a meno? È possibile una radicale ecologia della mente?
Risposta: estirparle del tutto appare un compito ostico, dovremmo consegnarci con spirito dogmatico, e full time, a qualche scuola di pensiero orientaleggiante o a qualche terapeuta ispirato. In alternativa, però, potremmo provare a conviverci, a tenerle a bada riconoscendole in maniera tempestiva, non dandogli troppo credito. In fondo, sono pur sempre pippe mentali…
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