Filosofia

Farsi piacere, ovvero: come cambiare i propri gusti (e perché)

14 Luglio 2016

Si potrebbe pensare, con Schopenhauer, che chiunque di noi possa al massimo fare ciò che vuole (se lo può) e che, al contrario, nessuno possa invece volere ciò che vuole. Questa posizione può sembrare un po’ strana, ma in realtà significa solo che la presunta volontà libera probabilmente non esiste, perché noi non vogliamo altro che ciò che desideriamo, e siamo schiavi dei desideri, siano essi pulsioni o abitudini. I gusti sarebbero cioè naturali, o costruiti, ma, una volta presenti, resisterebbero al cambiamento.

La tesi dell’autore, Emanuele Arielli, docente di estetica allo IUAV di Venezia, è che in realtà, molto spesso, noi vorremmo non volere ciò che vogliamo, e volere ciò che non vogliamo. Vorremmo, cioè, cambiare i nostri gusti. Ma è davvero possibile? E, se fosse possibile, sarebbe anche concretamente realizzabile? Nel caso, come? E perché farlo?

A tutte queste domande il libro risponde, e bene. Innanzi tutto, riflettendo sul fatto che si è veramente liberi se non si è schiavi dei propri gusti, se si è cioè capaci di sospenderli, di vederli dal di fuori, di cambiarli, qualora lo si ritenga necessario. “Libertà” (autonomia vs. eteronomia) non sarebbe allora più da intendersi come (nei limiti della libertà altrui) fare ciò che si vuole (ciò che il platonico mostro policefalo, il desiderio, ci spinge a volere), ma decidere cosa desiderare.

I nostri gusti, le nostre idiosincrasie, i nostri piaceri abituali sono anche i nostri limiti: come farci piacere la musica atonale? una persona che ci ripugna? un film noioso? un lavoro? un governo? Non tradiremmo noi stessi, non cancelleremmo la nostra identità, se non seguissimo le nostre “autentiche” inclinazioni?

Ma i nostri gusti sono davvero genuini e autentici? Non sono piuttosto determinati da un complesso di fattori quali la nostra storia personale l’educazione, la biologia, i mezzi di informazione, le mode? E non sono già sempre in fase di trasformazione, anche se non ci rendiamo conto dei nostri sforzi?

Il libro di Emanuele Arielli (che abbiamo avuto il raro privilegio di leggere prima della pubblicazione) rappresenta un tentativo di rendere espliciti certi comportamenti, di svelare certe assunzioni irriflesse che ci rendono tutt’altro che liberi. Propone alcune tecniche di alienazione controllata dal nostro sé, avvalendosi anche in modo positivo, almeno in parte, della finzione e dell’autoinganno (faccio come se certe cose mi piacessero e osservo il modo in cui mi trasformo, divento altro da me, mi libero dai vincoli interni), perché la propria autonomia e la capacità di simulare fanno tutt’uno.

Prendendo come spunto gli studi di psicologia sociale e cognitiva (anche suoi), le teorie estetiche contemporanee e le ricerche “etiche” dell’ultimo Foucault (con la sua “estetica dell’esistenza” e la rivisitazione della “cura di sé” dei filosofi dell’età ellenistica), dopo aver smascherato l’illusione di un vero io, o di un vero sé, immutabile, Emanuele Arielli indaga le strategie di trasformazione/sovversione dei suoi gusti: cinque attraverso l’azione e cinque tramite esercizi di pensiero, seguendo passo passo, con esempi (no, quelli dovete cercarli nel libro) che non potranno non coinvolgere direttamente i lettori e le lettrici, il modo in cui ci si trasforma. Forse, questa la conclusione, l’uomo libero è quello che non ha preferenze, perché le può cambiare.

Suggeriamo di leggerle come gli antichi leggevano gli “esercizi spirituali” resi famosi da Hadot, o come un buddhista impiega le tecniche di superamento del dolore, del sé e del desiderio attraverso il nobile ottuplice sentiero (esercizi di meditazione corporea ma anche mentale, di reinterpretazione della realtà, che non è come appare).

Le strategie di azione, innanzi tutto, che ci permettono di imparare facendo gli ipocriti, fingendo, cioè, finché non ce la faremo, finché non diventeremo ciò che simuliamo di essere. Qui non basta un semplice atto di volontà, non può bastare. L’esercizio va dilatato nel tempo, ripetuto. Agire “come se”, agire “ironicamente” (fingere un apprezzamento che ancora non c’è, ma col tempo verrà), farsi influenzare dagli altri (agire empaticamente, fingendo di volere ciò che gli altri vogliono, mimeticamente, imitandoli nel loro apprezzamento di ciò che si deve apprezzare), ripetere (dopo un po’ piacerà), usando il corpo (imitare, con la propria postura, chi apprezza ciò che vorremmo apprezzare, anche nei gesti che manifestano, e veicolano, il godimento).

Le strategie di pensiero, poi, consistono nell’adottare la giusta prospettiva, il “vedere come”, che permette di rendersi universalmente accettabile ciò che non lo è, lo sviluppo (atto teorico) di una competenza, che permette confronti da esperto e, quindi, un migliore apprezzamento, anche se, inizialmente, magari solo intellettuale (come tanta arte contemporanea, che bisogna prima capire per poi, eventualmente ma non necessariamente, apprezzare), rendere parziale lo sguardo, filtrare gli eventi eliminando quello che vi è di irrilevante o sgradevole (magari, concentrandosi sulle conseguenze future piacevoli di un certo comportamento, secondo una tecnica che in psicologia è chiamata del reframing), raccontarsi storie (razionalizzare, trasformare nella narrazione, retoricamente, quello che si inizia ad apprezzare), strumentalizzare, rendere cioè intellettualmente interessante ciò che stiamo cercando di gustare, riappropriandocene.

In questi modi saremo persone libere, o, almeno, un po’ più libere. Un libro da leggere, uno strumento da usare.

Anonimo Glossatore

Il libro

Emanuele Arielli, Farsi Piacere. La costruzione del gusto, Raffaello Cortina Editore, Milano 2016.

L’autore

Emanuele Arielli

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