Filosofia
Essere per gli altri: gli equivoci dell’altruismo – la posta del cigno nero
Caro Cigno Nero,
Essere per gli altri, l’altruismo, il far del bene e aiutare sono gesti/tipi di vita che scegliamo (o non scegliamo). Perché?
Per costruire la nostra identità e far crescere la consapevolezza in noi stessi?
Perché è il modo migliore di comportarci in relazione alla nostra indole-natura?
Perché è cosa buona e giusta?
Grazie di cuore.
Chiara
Cara Chiara,
Gli altri sono la premessa della nostra esistenza che è fondata sull’essere allo stesso tempo individui ma anche membri di una comunità. L’altruismo, quel comportamento che tutti conosciamo come finalizzato al bene e che molti di noi considerano moralmente vincolante, è uno dei possibili scenari di un incontro, quello tra l’Io e l’Altro, che può tradursi in diversi modi.
Il senso che diamo a questo incontro non può prescindere dal significato che ha per noi l’Altro, così presente nella parola “altruismo” che lo contiene e custodisce.
Sentire l’urgenza di una responsabilità verso gli altri può a volte tradursi in una sorta di obbligo che ci fa porre nella dimensione dell’ “essere per gli altri”, dove l’Io scompare a favore di quel “altri”.
D’altro canto l’altruismo, lo sappiamo, può assumere la forma di egoismo camuffato se l’altro diventa l’espediente per sentirsi indispensabili.
Chi è allora l’Altro? E qual è il suo posto nella relazione?
Per Lévinas è sempre di fronte a me, faccia a faccia. Il suo volto che mi riguarda, nel doppio significato di “guardarmi a sua volta” e “concernere”, mi dice che è totalmente separato da me, inafferrabile. L’Altro, o meglio “Altri” (Autrui), come Lévinas chiama l’alterità, è quell’evento traumatico che ci toglie qualsiasi pretesa di conoscenza e possesso: posso toccare, vedere e sentire l’altro, ma non sono, né sarò mai l’altro, perché ci si può scambiare tutto reciprocamente tranne l’esistenza. Di fronte a me non c’è dunque un altro me stesso, perché, se così fosse, non sarebbe “Altro”. Ed è per questo che, pur essendone io responsabile, lui resta per me un Mistero.
Se Lévinas porta all’estremo la relazione Io-Tu, arrivando a costruire proprio sull’assenza dell’altro ‒ nel senso del suo restare un mistero per me ‒ la sua presenza come “Altro”, in Heidegger questa stessa relazione è interamente affidata al “con”, che descrive un “essere reciprocamente l’uno con l’altro” (Miteinandersein) e il cui modo è quello del fianco a fianco.
Ma l’aspetto centrale di questo “essere-con” è il concetto di cura che presuppone. Essere nel mondo fianco a fianco con gli altri significa vederli non come strumenti, cose utilizzabili, bensì come altri esseri umani (Esserci, come li definisce Heidegger); significa incontrarli nel prendersi cura di, che può però assumere una forma inautentica oppure autentica. Il prendersi cura inautentico è quello in cui mi sostituisco all’altro intromettendomi al suo posto nel suo progetto sul mondo e rendendolo perciò dipendente dalla mia cura. “Prendendomi” cura esercito il mio dominio sull’altro, che vedo come qualcosa e non come qualcuno.
Nella forma autentica il prendersi cura diventa un aver cura che presuppone l’Altro e ne fa conoscenza, aiutandolo a conquistare la libertà di realizzare il proprio progetto sul mondo. Quell’ “aver” perciò fonda l’essere-assieme nella cura, che non può prescindere da una cura di sé.
Ogni incontro con l’Altro è un incontro con un mistero che però ci riguarda e di cui possiamo aver cura: sta a noi decidere il posto che vogliamo riservargli.
Si fa così strada l’idea che l’altruismo non sia un concetto astratto, così come non lo sono gli altri, poiché è impossibile essere altruisti senza aver sperimentato nella nostra storia cosa rappresentino per ognuno di noi il bene, la compassione, la giustizia o la vulnerabilità. Ma, per quanto il dolore funga spesso da ponte tra noi e gli altri, forse un altruismo autentico, ovvero basato su un interessamento in direzione dell’altro, dovrebbe non vedere l’Altro necessariamente come sofferente, e quindi bisognoso delle nostre cure.
E se il vero altruismo fosse quello in cui, invece di “essere per gli altri”, che può farci scomparire o sostituire a loro, sperimentassimo un “essere insieme”, che sia “faccia a faccia” o “fianco a fianco”?
Maria Luisa Petruccelli
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