Filosofia
Elogio della follia
Ha il dono di rallegrare gli uomini.
Porge le orecchie ai ciarlatani in piazza, ai buffoni, ai pazzerelli.
Il piacere è tale solo se vi è un pizzico di follia: dolcissima è la vita nella completa assenza di senno.
Anche gli dei pieni di grazia, di giovinezza e di felicità richiedono ed invocano la gaia follia.
La ragione porta rigore e severità e giunge all’approdo delle soluzioni per i suoi ferrei processi matematici. Ma è noiosa. Bella è invece la passione che sottende l’ira e colora l’amore, che spezza ogni catena avvinghiante. Ma sia l’ira, che occupa la rocca del petto, che la passione, che infinita sgorga dal cuore, sono imbevute dell’eterna follia.
Il riso, le facezie, le danze, gli scherzi che rompono la noia del simposio e irrorano la linfa del divertimento, invocano la follia.
Sono due i principali ostacoli alla conoscenza delle cose: la vergogna che offusca l’animo e la paura che, alla vista del pericolo, distoglie dalle imprese. La follia libera a meraviglia entrambe. Non vergognarsi mai e osare tutto.
La condizione dei folli, in fondo, è una felicità che costa poco.
È la verità che scintilla nella scia della sua impertinenza. Questi folli rompono l’uniformità della nostra educazione.
Se ne capita uno in qualche compagnia, è come un granello di lievito che fermenta e che restituisce a ciascuno una parte della sua individualità naturale.
Scuote, agita, fa approvare o biasimare, fa uscire la verità, smaschera i furfanti, ci ha detto Erasmo da Rotterdam.
La follia interrompe l’opera, apre un vuoto, scandisce un tempo di silenzio, impone una domanda senza risposta.
La follia scompagina il determinismo della necessità e si prende tutta la libertà dell’euforia.
Spariglia ogni regola, infrange ogni limite: è imbevuta di imprevedibilità. Dà lo Spirito alla danza ed alla preghiera di Dioniso.
Fa impazzire Orlando di Ludovico Ariosto, perché perde l’amore: la perdita d’amore è la sofferenza che fa passare tutte le altre. Il dolore non ha voce per lamentarsi o lacrime per piangere.
La follia rende possibile, come ci insegna Foucault, la connessione dell’eterogeneo, perché quella dell’omogeneo è scontata.
La follia è disparità, elogio del contraddittorio, separatezza dalla normalità.
È pienezza di presenza e forma del vano, del nulla, del vuoto.
La follia è libertà che può essere compresa solo dall’alto della fortezza che la tiene prigioniera, quando viene malamente internata.
È legittima stranezza, cifra inesorabile della condizione umana fatta di legni storti.
È il lirismo che irrompe nella poesia dei cantori del tempo che non potrà essere sempre uguale, come la putredine del mare: aspetta la tempesta e la involge tutta, è amore forsennato che fa cadere le stelle dal cielo.
Libera il silenzio stretto alla gola, la parola soffocata e spinge le rivoluzioni della storia, quando scacciano il potere.
È il linguaggio della disgregazione, il racconto dell’impudenza che smaschera le ipocrisie dei farisei e dei sepolcri imbiancati.
È la verità più alta nella scena del sapere, che ci libera dalle tenebre e ci dona la chiarità della luce.
È distinzione, distanza, coscienza della differenza.
È trasgressione, disvelamento di segreti, narrazione dell’inconfessabile.
Grida quando la legge non è giusta ed è imposta da un potere coercitivo non legittimo.
Ad essa spetta dire l’indicibile, per difendersi dall’infamia del potere e farsi carico dello scandalo giusto.
È spudoratezza, come lussuria dei corpi e dell’anima.
Essa governa tutto ciò che c’è di facile, di gioioso, di leggero nel mondo.
È lei che fa sollazzare gli uomini, proprio come agli dei essa ha dato Genio, Giovinezza, Bacco, Sileno.
La follia è la libertà del pensiero, lo spirito dell’eresia.
Biagio Riccio
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