Economia
Dieci frasi di Keynes per riflettere sul presente
“Non so cosa sia che rende un uomo più conservatore: non conoscere nulla tranne il presente, o nulla tranne il passato”.
Che si appoggino o meno le sue teorie economiche, è indubbio che il pensiero di Keynes, barone e mecenate, umanista e (poi) economista, abbia ancora molto da dire a cent’anni di distanza dalla pubblicazione de Le conseguenze economiche della pace, dove con lucida profondità di visione del tessuto socio-politico creatosi dopo la Prima Guerra Mondiale, anticipò l’arrivo di una seconda guerra simile prevedendo le reazioni di una Germania impoverita ed umiliata dalle condizioni dei vincitori.
Con i grandi pensatori capita spesso di trovare riflessioni che mantengano intatta la loro quota di verità nel tempo, o che addirittura quella riflessione assuma significati ancor più rilevanti proprio col passare del tempo; per questo motivo oggi più che mai, tra revisionismi storici, revival di atteggiamenti fascisti e approssimazione di pensiero, è importante fermarsi un attimo per recuperare quei pensieri di qualità troppo spesso chiusi nel dimenticatoio per essere sostituiti da pensieri più comuni, banali e orfani di struttura.
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1. Dire che il prodotto netto odierno è maggiore, ma il livello dei prezzi è più basso, di un anno o dieci anni fa è press’a poco come dire che la regina Vittoria fu, come regina, migliore della regina Elisabetta, ma non più felice come donna; proposizione non priva di significato né di interesse, ma inadatta a fornire materia per il calcolo differenziale.
2. Le persone timide in posizione di responsabilità sono un passivo per la nazione.
3. Se devi alla tua banca cento sterline, tu hai un problema. Ma se ne devi un milione, il problema è della banca.
4. La miseria fisica fornisce l’incentivo a cambiare le cose proprio in circostanze in cui il margine per nuovi esperimenti è assai ridotto. La prosperità materiale elimina l’incentivo proprio quando si potrebbe tentare il nuovo senza troppi rischi.
5. Il capitalismo non è intelligente, non è bello, non è giusto, non è virtuoso e non produce i beni necessari. In breve, non ci piace e stiamo cominciando a disprezzarlo. Ma quando ci chiediamo cosa mettere al suo posto, restiamo estremamente perplessi.
6. Noi [paesi all’avanguardia], invece, siamo colpiti da una nuova malattia di cui alcuni lettori possono non conoscere ancora il nome, ma di cui sentiranno molto parlare nei prossimi anni: vale a dire la disoccupazione tecnologica. Il che significa che la disoccupazione dovuta alla scoperta di strumenti economizzatori di manodopera procede con ritmo più rapido di quello con cui riusciamo a trovare nuovi impieghi per la stessa manodopera. Ma questa è solo una fase di squilibrio transitoria. Visto in prospettiva, infatti, ciò significa che l’umanità sta procedendo alla soluzione del suo problema economico.
7. L’espansione, non la recessione, è il momento giusto per l’austerità al Tesoro.
8. La saggezza del mondo insegna che è cosa migliore per la reputazione fallire in modo convenzionale, anziché riuscire in modo anticonvenzionale.
9. Quando l’accumulazione di ricchezza non rivestirà più un significato sociale importante, interverranno profondi mutamenti nel codice morale […] Dovremmo avere il coraggio di assegnare alla motivazione “denaro” il suo vero valore. L’amore per il denaro come possesso, e distinto dall’amore per il denaro come mezzo per godere i piaceri della vita, sarà riconosciuto per quello che è: una passione morbosa, un po’ ripugnante, una di quelle propensioni a metà criminali e metà patologiche che di solito si consegnano con un brivido allo specialista di malattie mentali.
10. […] Pertanto la nostra evoluzione naturale, con tutti i nostri impulsi e i nostri istinti più profondi, è avvenuta al fine di risolvere il problema economico. Ove questo fosse risolto, l’umanità rimarrebbe priva del suo scopo tradizionale. Sarà un bene? Se crediamo almeno un poco nei valori della vita, si apre per lo meno una possibilità che diventi un bene. Eppure io penso con terrore al ridimensionamento di abitudini e istinti dell’uomo comune, abitudini e istinti concresciuti in lui per innumerevoli generazioni e che gli sarà chiesto di scartare nel giro di pochi decenni.
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