Filosofia
Diario al tempo del virus
Terzo o quarto giorno di totale isolamento in casa (salvo alimentari e farmacia). Vivo in un piccolo paese del Trentino, di lavoro faccio l’insegnante e seguo il normale orario scolastico collegandomi con gli alunni e facendo video-lezione. Sono molto fortunato, perché, mi dicono colleghi di altre zone d’Italia, non tutte le situazioni scolastiche e sociali permettono questo smartworking.
Sicuramente le cose andranno migliorando, anche perché mi pare che i ragazzi siano più preparati di noi a interagire per via digitale (il termine “virtuale” è scorretto, anche il digitale è reale, e talvolta l’analogico può essere molto più irreale del reale effettuale, ma lasciamo stare la filosofia…)
Ho cambiato molte idee dall’inizio di questa epidemia, come quasi tutti del resto. Sto imparando cosa significhi “curva esponenziale” , relativamente alla crescita del contagio. Sto imparando che non c’è migliore precauzione che dire la verità sulle dinamiche sanitarie (a differenza di quanto pare stiano facendo altri governi, europei e non ); sto imparando che si può ammettere di essere ignoranti senza per questo passare per deficienti, e invece simulare una competenza di cui si difetta è il più certo modo per esserlo, deficienti.
Sto sentendomi vicino, nell’isolamento contingente, a tutti coloro che sono sempre in isolamento forzato: i malati cronici, i reclusi nelle carceri, i depressi, gli anziani, le persone fragili, fisicamente, emotivamente, psicologicamente…
Invidio chi ha un cane da accarezzare, un gatto da contemplare, o un criceto da vedere giocare: io non ce l’ho. Invidio anche chi vive in famiglia. Io da papà separato, vivo solo, circondato da libri e silenzio, e se normalmente questo può aiutare, alla lunga un po’ sfibra. Mio figlio si è ammalato di una virosi comune e adesso sta meglio, ma per comune precauzione lo vedrò solo dopo il 3 aprile. Intanto lo sento su watsap. Che in questo caso non è come averlo accanto, no.
Nel tempo che mi rimane libero, nonostante abbia molto da fare, in termini di studio, non solo per la scuola ma anche per ricerca personale, devo dire che sto passando molto tempo sentendo trasmissioni di informazione, in televisione o in radio, leggendo siti di giornali, in Italia e all’estero, e comunicando – via web o telefono – con amici che non sentivo da tempo. Ieri ho fatto quattro videochiamate, due ai mie genitori e miei zii, e due a due amici dell’adolescenza, con cui non mi sentivo da anni.
Forse questo periodo di “quarantena domestica” potrebbe portarci ad approfondire i legami autentici, e questo sembrerebbe apparentemente paradossale, ma non lo è. Il maggior motivo per cui non curiamo i legami non è la vicinanza o la distanza, ma la mancanza di tempo e di attenzione.
C’è una frase bellissima di Cristina Campo sull’attenzione.
«Perché veramente ogni errore umano, poetico, spirituale, non è, in essenza, se non disattenzione.
Chiedere a un uomo di non distrarsi mai, di sottrarre senza riposo all’equivoco dell’immaginazione, alla pigrizia dell’abitudine, all’ipnosi del costume, la sua facoltà di attenzione, è chiedergli di attuare la sua massima forma.
E’ chiedergli qualcosa di molto prossimo alla santità in un tempo che sembra perseguire soltanto, con cieca furia e agghiacciante successo, il divorzio totale della mente umana dalla propria facoltà di attenzione.»
Cristina Campo, Attenzione e poesia, in Gli imperdonabili, Milano: Adelphi 2002
Quanto a me, consigli agli altri di cose da fare in questo tempo non ne ho di particolari.
Diffidate sempre da chi dà consigli non richiesti, i cosiddetti influencer (mai come in questo tempo la parola è divenuta inquietante) , o dai professionisti del consiglio, filosofico, spirituale, morale.
Ma se proprio un amico me lo chiedesse, gli direi:
Impara ascoltare il tempo, la noia, la solitudine , quello che ha da dirti sugli altri e su te stesso.
Dedicati a quel libro la cui lettura hai sempre rinviato, leggiti la mano, o leggi le nuvole nel cielo;
lavati le mani, lava il pavimento, lava i maglioni che non usi più,
scrivi una lettera, una pagina di un diario, un appunto, un ghirigoro sul vetro,
accendi e spegni qualcosa: la radio, la luce, il rubinetto, un’emozione, una candela…
Passeremo il guado e andrà bene. In un modo o nell’altro, andremo oltre.
Devi fare login per commentare
Accedi