Filosofia

Dei deliri e delle pene: perché è assurdo far pagare le cure ai non vaccinati

1 Settembre 2021

Sto per scrivere un articolo che vorrei non dover scrivere, perché il suo contenuto dovrebbe essere del tutto auto-evidente a chi abbia almeno un minimo di coscienza morale. Sia detto per inciso: sono profondamente convinto (e ho provato ad argomentarlo in vari luoghi) che esistano evidenze morali intuitive e che chi le nega propinando etiche chiacchierone, procedurali, basate su negoziazioni infinite di soggetti allo sbando e, soprattutto, riproponendo l’eterna litania delle molte culture diverse sia o in malafede, o talmente offuscato da ideologie e letture francesi da non saper più attingere a quelle che sono le semplici fonti della moralità, l’esperienza diretta della sofferenza ingiusta e della fioritura di se stessi e di altri esseri umani.

Chiuso l’inciso, il delirio a cui il titolo allude è quello ventilato dal cotanto senno dell’onnipresente Ilaria Capua e dall’assessore alla sanità del Lazio, Alessio D’Amato, secondo cui bisognerebbe far pagare di tasca propria le cure a chi rifiuta di vaccinarsi se dovesse ammalarsi seriamente di Covid-19. Sono apparsi diversi articoli sostenendo che questo sarebbe incostituzionale, ma qui vorrei suggerire che il problema è più profondo: se anche la Costituzione lo consentisse, sarebbe immorale.

Andiamo però per gradi. Anzitutto se il principio che sta dietro questa boutade fosse giusto, esso dovrebbe essere generalizzabile a tutte le malattie. Dovrebbero pagare di tasca loro i tossicodipendenti in overdose, i fumatori che si ammalano di enfisema, i bevitori che si ammalano di cirrosi, e financo i bambini che si ammalano di bronchite perché non hanno messo la felpa quando tirava vento al parco. A chi poi soffre d’asma o di altre malattie respiratorie croniche perché ha scelto di vivere nell’inquinatissima Pianura Padana dovrebbe venir pignorato il conto corrente. Prima di gravare sul sistema sanitario nazionale occorrerebbe un’istruttoria severa che accertasse la totale assenza di responsabilità del malato nell’aver contratto la malattia. Pura, palese follia. I nostri comportamenti, le nostre debolezze e le nostre convinzioni, magari errate, sono nella stragrande maggioranza dei casi per lo meno una concausa dei nostri malanni e il senso della medicina consiste nel prendersi cura di chi ne ha bisogno senza colpevolizzare né moraleggiare su cosa sarebbe stato giusto fare prima di ammalarsi. Prevenire sarà pure meglio che curare, ma questo non significa che se tu non hai prevenuto, io non ti curo. L’immoralità della proposta di Capua & co. comincia dunque a mostrarsi applicando il semplice test kantiano della generalizzabilità. Non posso volere che la massima “pagherai di tasca tua per curare malattie che sei colpevole di aver contratto” diventi una legge universale perché questo minerebbe alla base il senso stesso della pratica medica e renderebbe la malattia una sorta di colpa per cui il malato è tenuto a pagare una pena pecuniaria (come se non bastasse già il fatto di stare male).

A tutto questo si potrebbe obiettare che sto cavillando inutilmente: c’è una brutta malattia super-infettiva in giro, c’è un vaccino, se sei talmente ottuso da non volerti vaccinare e poi stai male arrangiati. Questo ragionamento è, a sua volta, profondamente immorale poiché tratta l’altro, in questo caso il non-vaccinato per scelta, come un mero mezzo in vista di un fine e non come un fine in sé (seconda formulazione dell’imperativo categorico kantiano docet). Agli occhi di chi invoca la pena pecuniaria (di solito gente che abita in ZTL e le cure se le paga sempre comunque di tasca propria per saltare le attese), i non-vaccinati per scelta sono degli esseri simil-bestiali che hanno rinunciato alla propria razionalità e come tali vanno esclusi dalla comunità degli ottimati che meritano le cure a carico dello Stato. Una prospettiva morale, di contro, riconosce che anche la scelta irrazionale di non vaccinarsi è espressione della razionalità, quella razionalità che rende gli esseri umani superiori rispetto a tutto il resto della natura e dunque non disponibili all’uso come semplice mezzo in vista di un fine, foss’anche quest’ultimo il più nobile dei fini concepibili. Per intendersi: se faccio una scelta irrazionale, allora sono un essere razionale e se sono un essere razionale, allora sono portatore di un valore assoluto, che chi si relaziona con me deve sempre e comunque riconoscere. Se poi oltre ad essere un soggetto razionale portatore di un valore assoluto pago pure le tasse, allora se mi ammalo mi devi curare, sempre e comunque, non infliggermi una pena perché bevo, fumo o non mi voglio fare il vaccino anti-Covid-19.

Dovrebbe essere buona cura dello Stato e dei mezzi di informazione continuare ad appellarsi alla capacità di discernimento di noialtri esseri razionali per cercare di persuadere che è meglio non fumare, bere con moderazione (ad esempio, 750 ml di vino a pasto, come suggeriva quel sant’uomo di Dom Pérignon) e vaccinarsi contro il Covid-19. La vera questione, che però rinuncio ad approfondire in questa sede, è: come mai lo Stato e la scienza medica hanno perso la fiducia dei cittadini in modo talmente irreversibile da non risultare più credibili quando intimano di vaccinarsi? Come fare a riprendersi da questa crisi di credibilità? Facciamo un esempio: vi ricordate il teatrino su Astrazeneca dello scorso marzo e poi di giugno? Io lo ricordo bene perché il giorno dopo che mi vaccinai con la prima dose, il 13 marzo, mentre ero ancora boccheggiante di febbre a letto, improvvisamente la somministrazione di questo farmaco venne sospesa per accertamenti. Il giorno dopo che ricevetti la seconda dose, cinque settimane dopo, arrivò invece la raccomandazione di usarlo solo per gli over 60. Se mai ci sarà una terza dose e mi somministreranno di nuovo Astrazeneca, non so più cosa aspettarmi il giorno successivo… a fronte di tutto questo, ritengo comunque ancora di aver fatto la scelta giusta e che vaccinarsi sia, al netto di tutte le incognite, la scelta più razionale e meno rischiosa. Ma non riesco proprio, scusate ma non ci riesco, a demonizzare chi non la pensa come me su questo tema. Le incognite sugli effetti di lungo periodo del vaccino ci sono eccome e chi non se la sente di esporsi a queste incognite credo vada al limite persuaso, non bullizzato, e sempre e comunque rispettato.

Chiudo con un’analogia storica piuttosto inquietante. Quando Agostino d’Ippona decise di sradicare l’eresia donatista (siamo nel IV secolo d.C.) sostenne che non si poteva pretendere di forzare la conversione degli eretici, perché la coscienza è, come tale, incoercibile. Tuttavia, ragionava Agostino, l’attacco ai beni degli eretici e le punizioni corporali potevano avere un effetto coadiuvante per una conversione assolutamente spontanea, aiutando i malcapitati a riconsiderare seriamente gli articoli di fede in questione e a riconoscere da sé stessi la verità del cattolicesimo. A distanza di secoli Ilaria di Florida e assessore di Lazio sembrano mettersi sulla stessa scia…la prospettiva di una pena pecuniaria in caso di malattia dovrebbe portare gli eretici del vaccino a riconsiderare seriamente la loro irrazionale posizione e finalmente a cedere in modo spontaneo alla vera fede. Chi non conosce la storia è condannato a ripeterla: in Occidente abbiamo già frequentato la mentalità dei nudges, per altro in modi particolarmente cruenti e disumani.

Combattere il Covid-19 e proteggere le fasce di popolazione più deboli è un dovere morale ma non può diventare l’altare su cui immolare quelle acquisizioni intellettuali e umane che la nostra civiltà ha maturato e difeso pazientemente nel corso di lunghi e dolorosi secoli. Scegliere di non vaccinarsi non è una colpa e come tale non va punita. Si tratta, al massimo, di una decisione sbagliata che va spiegata come tale e possibilmente rovesciata, con le armi della discussione e della persuasione, ma soprattutto adoperandosi a ripristinare una fiducia nelle istituzioni che chi le ha incarnate negli ultimi decenni ha fatto di tutto per minare alla base. Ci vorrà del tempo, magari rallenterà l’uscita dalla pandemia ma almeno, quando ne usciremo, non avremo spostato nostro malgrado le lancette della nostra cultura indietro di mille e settecento anni.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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