Benessere

Dal senso di vuoto al senso del vuoto

4 Dicembre 2020

Caro Cigno Nero,

Ormai prossima al pensionamento, ma ancora con tanta energia e voglia di impegno nel sociale, mi prefiguro la mia vita da pensionata: lontana dalla scuola e dai miei alunni…Questo pensiero mi dà un senso di vuoto e di inutilità.E’ vero che posso leggere tanto, ma ritengo che neanche la lettura riuscirà a dare senso al molto tempo libero a disposizione.Gli altri mi trovano socievole, ma io ho sempre più paura dell’isolamento. Con le restrizioni sociali imposte dalla pandemia, poi, mi vedo ancora più limitata nelle mie possibili iniziative, volte ad un percorso di solidarietà con i più fragili. Ho pensato perfino alle lezioni private, da offrire gratuitamente ai bambini più sfortunati, ma neanche questa via mi sembra percorribile. Dal momento che saranno sempre più ridotti gli spostamenti sul territorio, non potrò neanche viaggiare o frequentare cinema e teatri. Non mi resta che dedicarmi a tempo pieno al giardinaggio, ma non penso di avere il necessario “pollice verde”. In questa situazione mi sembrano bloccate tutte le possibili vie di uscita.

Che posso fare?

Margherita

 

 

Cara Margherita,

Il senso di vuoto e inutilità di cui parli mi fa pensare al filosofo Blaise Pascal: “Siamo pieni di cose che ci spingono fuori di noi”, scrive nei Pensieri. Lavoro, impegni quotidiani, svaghi riempiono così tanto la nostra vita che ci sembra di non avere mai abbastanza tempo per fare nè spazio per accogliere altro. Non appena ci fermiamo, però, anche solo per un momento, ecco cosa accade: “Nulla riesce così insopportabile all’uomo quanto l’essere in riposo completo, senza passioni, senza preoccupazioni, senza svaghi, senza problemi. Egli allora avverte […] il suo vuoto”. E’ da questo vuoto che sopraggiunge la noia, e con lei la paura. Ma di cosa? Delle domande, che secondo Pascal sono connaturate a ogni essere umano. Domande che ci riportano a noi, quando invece è proprio da noi stessi che vorremmo distrarci: “Qual è il senso della mia esistenza?”, “Che ci faccio qui, in questo posto e in questo momento?”. A questi interrogativi non sappiamo rispondere, o forse sono proprio le risposte a spaventarci. Perché, chiedendoci chi siamo e che ci facciamo al mondo, saremmo costretti a fare i conti con un paragone da cui usciremo inevitabilmente sconfitti. Perché la nostra vita ci apparirà sempre troppo breve rispetto all’eternità dell’universo. Perché di fronte alla sua immensità e potenza ci scopriremo sempre troppo fragili, come “canne al vento”, ci dice Pascal, che, tuttavia, ci mostra anche la nostra di forza, e cioè la capacità di farcele quelle domande, di porci problemi tanto profondi. Proprio così ci riscopriamo, per quanto canne, comunque pensanti. Siamo minuscoli punti nell’universo, ma siamo capaci di comprenderlo in qualche modo, dandogli un senso con la dignità del pensiero, a patto di confrontarci con le domande difficili, a volte scomode, che la vita porta con sé.

Se Pascal ci mostra l’inutilità del troppo pieno, Lao-Tzu può dirci qualcosa sull’utilità del vuoto. Perché se a nulla serve “riempire” quel senso di vuoto, forse è proprio dal vuoto che dobbiamo ricominciare. Quando lo avvertiamo, ci sentiamo stranamente prigionieri, perché quella “mancanza” la viviamo come impossibilità: di progettare, di agire, di dare significato a qualcosa. Perfino la malinconia, che come il vapore non ha né forma né consistenza, ma assume quelle del contenitore che occupa, quando accompagna questo stato d’animo, prende la forma del vuoto.

Siamo così abituati a pensare in termini di “pieno” per ogni aspetto della nostra vita, che più cose possediamo, più impegni abbiamo da portare a termine, più la nostra vita ci sembra completa e realizzata.

Per il padre del taoismo, invece, è meglio essere vuoti, perché essere vuoti significa essere aperti alle possibilità, da quelle impensabili fino alle piccole cose, possibilità che dobbiamo vivere nel presente, e non rincorrere nel futuro. Quel vuoto può allora diventare un desiderio di cui accorgersi all’improvviso, una stanza da arredare (che sia dentro o fuori di noi), una finestra immaginaria da cui vedere il cielo, una porta senza maniglia da aprire, magari su un giardino da coltivare.

E se in quel giardino, tornando a Pascal, pianteremo e cresceranno canne, scoprendole cave al loro interno, flessibili e quindi resistenti anche alle più forti raffiche di vento, potremmo fare dei nostri pensieri il concime per trasformare il senso di vuoto nel senso di quel vuoto.

 

 

A proposito di giardinaggio, il giardino di Epicuro era stato concepito come il luogo in cui prendersi cura di sé lontano dal chiasso e dalla frenesia della polis, immersi nel silenzio. E per questo tipo di cura non abbiamo bisogno del pollice verde. Da “canna pensante”, quali pensieri coltiveresti nel tuo giardino?

Maria Luisa Petruccelli

 

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