Filosofia

cicatrici

21 Febbraio 2024

Di me lascio i segni della lotta contro un sempre oscuro nemico, e, insieme, di una resa indegna. La mia vita ha disceso una china, e la mia storia un’altra, al suo confine.                                        

 Pier Paolo Pasolini 

Sonetto Primaverile, XI (1955) 

 

Una debolezza di pensiero che si traduce in una fionda politica sul governo pervade l’evoluzione di Ultima Generazione. Dopo il clamore delle proteste spettacolari tra gli odiati blocchi del traffico e le vernici lavabili sulle opere d’arte, fanno capolino nei salotti televisivi i primi esponenti del movimento.

Un’alba simile a quella dei cinque stelle che, timidamente spavaldi, conquistarono un consenso grande come la delusione che ne seguì si sta profilando nei salottini televisivi, ormai annoiati dalle propaggini di un governo che ha potuto essere più tranquillamente “tradizionalista”, per non dire di meno, proprio perché con una donna al comando.

Ma il pensiero forte di una critica strutturale al sistema capitalistico che rovescia il rapporto dell’uomo con la natura da sfruttatore a protettore, viene politicamente scambiato con la richiesta di un fondo riparazione pronta sfidare il governo sul terreno dei conti prima che di quello dei mondi possibili.

La nascita di un movimento politico dovrebbe essere come l’innesto o meglio l’inception di un’idea di mondo che sbullona le coscienze e invece siamo alla solite schermaglie tra schemi dove di nuovo non c’è niente.

Se anche questo degli attivisti del clima fosse un trampolino, sembrerebbe già mancare l’acqua in cui buttarsi, poiché assistere alla solita pantomima tra le parti, senza mettere in discussione la nostra idea di sviluppo con proposte concrete, rende vano questo nuovo volo.

In un mondo dove ogni gesto quotidiano sembra generare un passo verso il baratro, l’allarmismo spettacolarizzato di UG potrebbe sortire un effetto placebo, simile a quello delle immagini sui pacchetti di sigarette.

Per quanto sembri impossibile inventare un mondo in cui ciò che conta non è quello che si può comprare ma quello che si può buttare e dove ogni singolo prodotto di consumo, dal cibo all’energia fino alla tecnologia sembra maturare un credito verso un ecosistema che non è compatibile con il consumismo. Per quanto impossibile, ripeto, non è col richiamo alla sopravvivenza o al risarcimento danni che si costruisce un’idea di cambiamento, anzi ci si arena nel solito agone.

Oltre Pasolini e prima di Bauman c’è un’idea di mondo che deve diventare sostenibile prima che seduttiva.

La china discesa dal poeta di Casarsa, che separava la sua vita dalla sua storia, sembra diventata la vita di tutti nella sua incompatibilità tra il viversi e il realizzarsi, tra l’etica necessaria al senso e l’estetica necessaria al bello.

Se questi ragazzi fossero un manipolo di supereroi in procinto di salvare il mondo allora la cicatrice evocata dal poeta diventerebbe la cerniera necessaria su cui costruire un’unica globalizzata comunanza che la tecnologia (la techne che Galimberti smaschera dalla presunta neutralità e che spaventa Heidegger quando vede il mondo fotografato dalla luna), quella stessa tecnologia dovrebbe salvarci.

Come?

Dando a ogni movimento, ogni viaggio, ogni pasto, ogni costruzione, ogni produzione un tasso di sostenibilità che trasformerebbe il prezzo consumistico in peso ecologico davanti al quale misurarci.

Non so se già esistono app in grado di fare questo, ma so che potrebbero esistere.

 

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