Filosofia

Caro Narciso, la vita non è tutta un selfie

14 Dicembre 2014

Sulla strada che porta al Dio unico c’è una stazione senza Dio.

E. Levinas

 

A volte la vita ti costringe a fermarti e a chiederti chi sei. Ci sono incontri che ti fanno venire fuori per quello che sei, che ti costringono a fare il punto. Ci sono situazioni che ti rivelano, che ti mettono davanti ad uno specchio. E in queste occasioni puoi scegliere di fare luce, di fare verità, o di continuare a mentire a te stesso, di fingere, puoi continuare a dare un’immagine falsa di te.

 

La vita non è fatta solo di selfie: non sempre possiamo fotografarci nelle nostre pose migliori, nei momenti che preferiamo e come noi decidiamo di farci vedere. A volte la vita ci fotografa in pose scomode e imbarazzanti. E purtroppo sono foto che non possiamo cancellare.

 

Siamo tutti figli di Narciso. Narciso è il grande padre del selfie: pensiamo al celebre dipinto di Caravaggio, dove Narciso si fotografa in uno specchio d’acqua. Tutti vogliamo mettere in scena la parte più bella di noi. Se un alieno dovesse immaginarsi il mondo, avendo a disposizione solo le foto che pubblichiamo su Facebook, penserebbe che siamo tutti belli, sorridenti e in forma.

Se guardiamo i nostri profili virtuali, possiamo dire che dicono veramente chi siamo? Dicono veramente come siamo? E i nostri profili virtuali non sono forse la concretizzazione di come di fatto desideriamo presentarci agli altri? Forse ci rifugiamo in quel tipo di comunicazione proprio perché lì possiamo finalmente fingere. Diventiamo tutti persone di successo, di relazione, grandi cuochi, grandi viaggiatori, grandi amici. Ma siamo davvero così?

 

Il Vangelo di Giovanni ci presenta sempre personaggi che rappresentano e incarnano un’intera categoria di persone: il Battista, per esempio, è il discepolo, è il simbolo di tutti coloro che decidono di intraprendere un cammino di verità, è il simbolo di coloro che decidono di fare luce sulla propria vita (cf Gv 1,6-8.19-28).

Il Battista avrebbe potuto fingere sulla sua identità. Avrebbe potuto crearsi un falso profilo. Avrebbe potuto manipolare la verità. E invece ha il coraggio e l’umiltà di dire anche quello che non è: riconosce i suoi limiti, ammette che non è il protagonista, confessa di dipendere da un altro.

 

Il discepolo non è il protagonista della scena. Al centro della sua vita c’è la relazione con un altro: Gesù è la luce, il discepolo è il testimone della luce; Gesù è lo sposo, il discepolo è l’amico dello sposo; Gesù è la Parola, il discepolo dà voce alla Parola. A volte anche la vita spirituale rischia di diventare un teatro nel quale recitiamo copioni in cui noi siamo protagonisti.

 

Il discepolo è dunque l’anti-Narciso, è colui che non confonde i ruoli, è colui che non ha paura di far vedere quello che è veramente, è colui che sa riconoscere il suo limite, è colui che sa rimettere Cristo al centro.

 

Il Battista è l’anti-Narciso perché sa stare anche nel deserto, sa farsi da parte, sa stare nelle situazioni aride senza fuggirle. Sa stare nel deserto perché quel deserto è la sua storia, è il tempo lungo del suo cammino, è il tempo dell’esperienza della paura, dell’amore e del tradimento. Il deserto è l’esperienza emblematica per il popolo di Israele. È il luogo che riassume la vita. Il discepolo sa starci dentro, non fugge il deserto, anzi va a gridare proprio lì, va a gridare dentro la sua storia, a partire da quello che è.

Il discepolo sa stare sulle rive del Giordano, perché sa ricominciare: il Giordano è il simbolo dell’inizio perché da lì è cominciato l’ingresso di Israele nella Terra Promessa. Il discepolo non fugge gli inizi. Diventare discepoli vuol dire saper stare nel deserto e nell’inizio.

 

Il discepolo è colui che sa uscire dalle sue sicurezze e sa confrontarsi con il dubbio.

L’inizio del Vangelo di Giovanni sembra dire che per cercare la verità occorre uscire dal Tempio: sacerdoti e leviti, coloro che si occupano di custodire il sacro, vengono inviati da Gerusalemme, cioè dal luogo del Tempio, verso il deserto, per incontrare il Battista.

Il Battista appare allora come il contestatore, colui che cerca Dio in luoghi insoliti, colui che non veste con gli abiti della tradizione sacerdotale, colui che provoca e suscita domande.

All’inizio del Vangelo, i Farisei, i sacerdoti e i leviti, avevano accettato di lasciarsi interrogare dagli aspetti provocatori della realtà. Sembra quasi che poi nel corso del tempo abbiano preferito mettere a tacere le loro domande: quando le risposte che riceviamo sono scomode o scuotono le nostre sicurezze, preferiamo mettere a tacere il dubbio e tornare nei templi delle nostre sicurezze.

Molte volte è proprio il dubbio che mette in moto il cammino del vero discepolo.

 

Ora sarebbe il caso di andare a riguardare il mio profilo Facebook e chiedermi cosa dice di me.

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